venerdì 31 ottobre 2025

Una riflessione di Woolf quanto mai attuale

 

Per secoli le donne hanno avuto la funzione di specchi dal potere magico e delizioso di riflettere la figura dell’uomo ingrandita fino a due volte le sue dimensioni normali. Senza quel potere la terra forse sarebbe ancora tutta giungla e paludi. Le glorie di tutte le nostre guerre sarebbero sconosciute. Staremmo ancora a graffiare la sagoma di un cervo sui resti di ossa di montone e a barattare selci con pelli di pecora o con qualsiasi semplice ornamento attraesse il nostro gusto non sofisticato. Non sarebbero mai esistiti Superuomini o Figli del Destino. Lo Zar o il Kaiser non avrebbero mai portato corone sul capo né le avrebbero perdute. Quale che sia l’uso che se ne fa nelle società civili, gli specchi sono indispensabili ad ogni azione violenta od eroica. E’ questa la ragione per la quale sia Napoleone che Mussolini insistono con tanta enfasi sulla inferiorità delle donne, perché, se queste non fossero inferiori, verrebbe meno la loro capacità di ingrandire. Ciò serve a spiegare in parte la necessità che tanto spesso gli uomini hanno delle donne. E serve anche a spiegare perché gli uomini diventano così inquieti quando vengono criticati da una donna; e come sia impossibile per una donna dire loro questo libro è brutto, questo dipinto è debole, o qualunque altra cosa, senza procurargli molto più dolore e suscitare molta più rabbia di quanta non ne susciterebbe un uomo che facesse la stessa critica.Perché se lei comincia a dire la verità, la figura nello specchio si rimpicciolisce; la capacità maschile di adattarsi alla vita viene sminuita. Come farebbe lui a continuare ad emettere giudizi, a civilizzare indigeni, a promulgare leggi, a scrivere libri, a vestirsi elegante e pronunciare discorsi nei banchetti, se non fosse più in grado di vedere se stesso, a colazione e a cena, ingrandito almeno due volte la stessa taglia? A questo pensavo, mentre riducevo il pane in briciole e giravo il caffè e di tanto in tanto guardavo la gente che passava per strada.
Virginia Wolf
da Una stanza tutta per sè".

sabato 29 marzo 2025

Di chiacchiere e di altro, 2

 La radicalità del femminismo degli anni Settanta è stata colta subito  da uomini attenti al sociale e ai mutamenti che maturavano, studiosi che non si facevano distrarre dagli aspetti più superficiali e pittoreschi del movimento,  riportati dai giornali con intenzioni svalorizzanti.

Scrive Marcuse nel 1974 (Marxismo e femminismo): 

“Le potenzialità, gli obiettivi del movimento di liberazione delle donne si spingono... in regioni impossibili da raggiungere nel quadro del capitalismo, e di una società di classe. La loro realizzazione richiederebbe un secondo livello, nel quale il movimento trascenderebbe il quadro nel quale si trova ora ad operare. In questo stadio, ‘al di là dell’uguaglianza’, la liberazione implica la costruzione di una società governata da un differente principio di realtà, una società nella quale la dicotomia costituita tra il maschile e il femminile è superata nei rapporti sociali e individuali tra esseri umani”

 Pietro Ingrao 1978, conversando con Rossanda in una trasmissione di Radio tre:

".. affrontare le questioni dell’emancipazione femminile comporta affrontare punti di fondo dell’organizzazione della società in generale. Ti faccio un esempio: se vuoi affrontare davvero il rapporto donna/uomo, devi investire caratteri e dimensioni dello sviluppo, occupazione, qualità e organizzazione del lavoro, fino allo stesso senso del lavoro. Contemporaneamente – ecco dove la dimensione diventa diversa – vai a incidere sulle forme di riproduzione della società, sul modo di concepire la sessualità, i rapporti di coppia, i rapporti tra padri e figli, l’educazione, il rapporto tra passato e presente, forme e natura dell’assistenza, eccetera. Cioè una concezione storica, secolare del privato, tutta una concezione delle stato, tutto il rapporto tra stato e privato (…)"

Nel frattempo studiose in tutti i campi del sapere, filosofe, ricercatrici, sociologhe, epistemologhe, scienziate, economiste, psicologhe, teologhe...  affrontavano l'analisi delle radici storiche della asimmetria sociale, politica, economica, culturale tra donne e uomini, collettivamente e individualmente, producendo un ricco patrimonio di conoscenze, consapevolezze, teorizzazioni.

L'apertura del conflitto sociale, politico e culturale generato dalla la nuova coscienza delle donne ha dato luogo a percorsi di lotta differenti tra loro e a volte contrastanti.

Riporto queste due riflessioni di intellettuali uomini prima di tutto perché siano conosciute, poi perché leggo costantemente articoli pieni di fraintendimenti e confusioni: si confonde il femminismo con l'emancipazionismo, bersaglio polemico fin dai primi tempi, volto a conseguire per le donne in ottica paritaria successi e privilegi finora esclusivi degli uomini, senza mettere in discussione la struttura portante della dissimmetria. 

Nei casi più reazionari si arriva a paventare una inversione dei ruoli tra dominanti e dominati, una situazione nella quale gli uomini sarebbero discriminati nel sociale per favorire le donne.

Analisi più raffinate avvertono che l'accento posto sui diritti civili e la frammentazione che ne consegue sarebbe diventata stampella per il sistema produttivo attuale con l'individualismo consumistico.

Ma il femminismo non si è mai risolto  in rivendicazioni in ottica  di emancipazione individuale e/o collettiva a prescindere dal contesto generale nel quale si vive e si opera, per questo ogni ipotesi di reale liberazione delle donne  dai vincoli opposti alla piena autorealizzazione  di ciascuna comporta necessariamente la liberazione di tutti gli altri, a causa dell'intreccio che lega  tutte le componenti umane nella vita sul pianeta.

La divisione ipotizzata all'origine  tra attitudini degli uomini e attitudini delle donne ha determinato due sfere distinte di esperienza di vita e di pensiero, nelle quali sono stati confinate sia le donne che gli uomini, ciascuno nella propria area di competenza, con possibilità di incursioni nell'altra  incoraggiate o ostacolate a seconda delle esigenze generali.
 
Divisione considerata naturale, e non storicamente determinata, in  grado di mantenere l' ordine simbolico e materiale fondato sullo scambio sessuo-economico, da quale derivano altre forme di dominio  che ancora sperimentiamo e messe a profitto dai vari sistemi sociali e culturali che conosciamo nel tempo e nello spazio.

Gli strumenti materiali e  concettuali alla base della nostra convivenza sul pianeta sono stati costruiti sulla base di quella concezione, che ha permeato di sé mentalità fantasie, angosce, immaginazioni, speranze, paure sedimentate nella nostra interiorità di donne e uomini.

Per questo è così difficile, lento, faticoso il tentativo di modificarli alle radici,  mettendo in discussione priorità di valori ritenute naturali e quindi inconfutabili.

Se il continuo richiamo alla  formulazione di ipotesi di convivenza civile e democratica  adatte a  contrastare il crescente autoritarismo e bellicismo non parte prima di tutto dalla messa a tema  delle "forme di riproduzione della società, del modo di concepire la sessualità, i rapporti di coppia, i rapporti tra padri e figli, ...." (Ingrao '78) ogni tentativo di reale mutamento della situazione  attuale di sfruttamento di persone, ambienti,  popoli, terre animali cose è destinato a infrangersi  su motivazioni apparentemente incontestabili.






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lunedì 24 marzo 2025

Di chiacchiere e di altro

Chiacchiera, definizione del Dizionario:

"Conversazione protratta più o meno a lungo, per passatempo o come sfogo a considerazioni e pensieri frivoli o banali oppure malevoli."

Agli inizi del femminismo, negli anni Settanta, quando si tentava di spiegare che cosa fossero le riunioni di presa di coscienza, maturate  in breve tempo in riunioni di "autocoscienza", si specificava che non si trattava delle solite chiacchiere di donne al mercato, ai giardini,  davanti alle scuole, luoghi frequentati dalle donne e legati al perimetro di attività di vita e di pensiero di molte, con il correlato di sfoghi, lamentele, consolazioni reciproche in situazioni di vita materiale e simbolica che risultavano simili tra loro, ma appunto di analisi di sé in relazione al mondo nel suo complesso, non solo in relazione agli uomini. 

Negli ultimi cinquant'anni molto è cambiato, l'ambito di vita e esperienza delle donne si è allargato a tutti gli aspetti e settori della società, il che comunque non esclude l'esercizio della chiacchiera tradizionale, anche se non  è più l'unica forma di comunicazione tra donne.

Tutte noi vecchie abbiamo sperimentato  da piccole la noia di assistere accanto alle nostre madri alle chiacchiere con amiche, alle loro lamentele, che in qualche caso hanno scatenato dentro di noi desideri di  riscattare da adulte la loro figura interiorizzata. 

A questo riguardo mi tornano alla mente certe considerazioni di V. Woolf in merito alla scrittura delle donne :
"...poiché un romanzo ha questa corrispondenza con la vita reale, i valori che lo animano sono entro certi limiti gli stessi della vita reale. Ma è ovvio che i valori delle donne molto spesso differiscono da quelli che sono stati inventati dall'altro sesso; è naturale che sia così. Eppure sono i valori maschili a prevalere. Parlando grossolanamente, il calcio e lo sport sono 'importanti', il culto della moda, acquistare vestiti sono 'frivolezze'... Ecco un libro importante, pensa il critico, perché parla di guerra. Quest'altro invece è un libro insignificante perché ha a che fare con i sentimenti delle donne in un salotto."*

Woolf continua a analizzare la posizione delle scrittrici in conflitto tra lo scrivere come scrivono le donne, rimanendo fedeli a se stesse, quindi sorde alle voci ostinate che volevano insegnare loro come scrivere e come pensare, o scrivere come scrivono gli uomini.

Abbandonando la prospettiva letteraria di Woolf, la sua osservazione coglie un punto fondamentale, la gerarchizzazione fatta dagli uomini  di valori da loro 'inventati'- calcio e guerra- ritenuti "naturali "e "universali' contrapposti a sentimenti, aspetti del lavoro casalingo, di cura di persone, animali, ambienti, oggetti. Argomenti secondari, anche se sono quelli che permettono il proseguimento della vita umana e animale.  

Allora ripensando ai nostri discorsi degli anni Settanta  è chiaro che la critica che rivolgevamo non era ai valori in sé, quanto all'accettazione -spesso forzata-  della gerarchizzazione e delle convinzioni che questi valori veicolavano: la costrizione delle donne nella sfera prioritaria, perché 'naturalmente femminile', della cura delle funzioni materno-seduttiva, con la libertà di prendersi rivincite  nell'ambito degli affetti, senza sottoporre a analisi e mettere in discussione il dato dello scambio sessuo-economico alla base della relazione e responsabile del  dominio degli uomini sulle donne. 

Lo stato delle cose è per fortuna modificato rispetto allo scenario del quale parla Woolf, 1929, Inghilterra, nucleo della cultura e della società emancipata del nostro Occidente, ma la sua riflessione continua a essere purtroppo quanto mai preziosa. 

* Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, Milano, 1995, Mondadori




lunedì 24 febbraio 2025

Piccolo dizionario dell'inuguaglianza femminile

In una lettera  del 1976 all'amica Michèlle  Causse  Alice Ceresa scrive  a proposito di un libro  che sta elaborando da qualche anno, dopo la pubblicazione di La figlia prodiga

"Ho scoperto che non posso scrivere un libro tutto di seguito... Credo che le donne non dovrebbero mai scrivere libri tutti di seguito, vale a dire per es. romanzi, perché ho il forte sospetto che non corrisponda loro questa forma presuntuosa di 'creazione' organizzata banalmente come la banale vita che ci hanno fatta. Forse le donne dovrebbero fare filtri, come le streghe. Io, per ora, distillo." (p. 7)

ll lavoro al quale si sta dedicando durerà tutto il resto della vita, non sarà mai completato a causa delle continue varianti, limature.  

Sarà pubblicato postumo nel 2007, sulla base degli inediti ritrovati nell'Archivio in Svizzera,  sei anni dopo la morte,   con il titolo Piccolo dizionario dell'inuguaglianza femminile, Roma, nottetempo, 2007.

Si tratta di una quarantina di voci, scritte nel suo stile ironico e provocatorio, che affrontano criticamente i temi delle vita, i linguaggi dei saperi disciplinari,  le relazioni donne uomini, i sentimenti, i luoghi comuni sotto forma di brevi narrazioni.

Sempre in una lettera a Michèlle  Ceresa espone il nucleo ispiratore del suo pensiero:

"Adesso ti spiego come la vedo io: per me l'"inuguaglianza femminile non è fatta dei temi delle rivendicazioni, ma è ancorata nell'intera visione del mondo; ergo, se io faccio un dizionario (che comprende le parole dello scibile), devo fare il giro anzitutto delle radici di quest'albero dell' inuguaglianza. Anzi, ti dirò che la mancanza di questo giro d'orizzonte è la maggiore debolezza delle femministe anche se capisco che chi si batte (fortunatamente per noi tutte) nelle strade non può avere di queste preoccupazioni. Io però le posso avere, anzi, direi che debbo... Perché dovremmo parlare soltanto delle foglioline di questa pianta? Con il rischio che poi ci ritroveremo con un 'ibrido' fatto su nostra misura (ovvero sulla misura delle nostre richieste) in uno di quei loro laboratori misogini? [...] Non vorrei che la somma tutto sommato finita delle 'rivendicazioni femminili' finisca con un'altra fregatura che sarebbe molto peggiore della prima. 

Conclusione: il piccolo dizionario io non lo scrivo per le donne; lo scrivo perché va scritto. E siccome io scrivo difficile, ebbene, sarà difficile; non mi risulta che le cose (e neanche quelle da capire) siano facili."(pp. 13-14)

Quasi cinquant'anni fa Ceresa congiunge la sua sensibilità di artista  con la sua dimensione di  donna del Novecento.

È una grande scrittrice, di nicchia, stimata e ammirata da critici e critiche, in misura minore da lettrici e lettori comuni, convinta della funzione indispensabile dell'arte, in grado, per chi la pratica e per chi la gode di svelare la "vera voce della vita", altrimenti muta.

Basti una scheda per entrare nel mondo del Piccolo dizionario:

"Letterario (personaggio femminile il): curiosamente le opere letterarie, benché da lontanissimi tempi preponderantemente stese da penne o macchine da scrivere maschili, abbondano di personaggi letterari femminili che parlano, pensano e agiscono pertanto per bocche e menti maschili.

Pertanto il personaggio letterario femminile, ivi comprese le sue ambasce e i suoi aneddoti, va considerato alla stregua di un travestito nei casi migliori e corrisponde a semplice farneticazione in quelli peggiori, quando esca, magari per giunta in prima persona, dalla penna o macchina da scrivere maschile. Come tale costituisce un'importante chiave di lettura della considerazione maschile in fatto di donne, e ne raffigura fedelmente opinioni, desideri e incomprensione. 





venerdì 7 febbraio 2025

Dominio maschile, struttura produttiva, femminismo

 Una delle acquisizioni più importanti del femminismo degli anni Settanta è che considerare le donne soggetti al pari degli uomini in ogni ambito di vita e di  pensiero, smettendo di rappresentarle interne alla categoria di umanità declinata al maschile inteso come neutro universale, ha costretto a confrontarsi con le parzialità che costituiscono l'umanità, a partire dalla prima distinzione tra donne e uomini. Questo ha implicato una rivoluzione di sguardi, di punti di vista, di convinzioni create da tempi immemorabili, di certezze consolidate, di sicurezze assimilate oltre che nella vita quotidiana, nella vita pubblica e sociale, nei campi e settori di studi e ricerche, nei conflitti e nelle lotte.

Il  lavoro definito come produttivo di merci e servizi è strettamente intrecciato con il lavoro di cura, anzi si basa su quest'ultimo per la propria sopravvivenza, ma le due sfere sono state separate -come fossero autonome l'una dall'altra- dalla divisione patriarcale del lavoro: alle donne la sfera della cura corrispondente alle loro attitudini e capacità presupposte "naturali"e agli uomini quella della produzione, secondo altre attitudini  supposte come "naturali". 
Divisione che oggi è stata messa fortemente in crisi  dalle modificazioni economiche, sociali, culturali e di costumi, ma permane la struttura della divisione sedimentata in secoli nelle mentalità di donne e uomini, nell'immaginario, struttura ancora documentabile nella lingua di comunicazione, e pronta a riemergere nelle contingenze pratiche e nelle ideologie. 

La soggettività delle donne si è storicamente plasmata durante la nostra evoluzione nelle attività di accudimento di persone, animali, piante e oggetti, di raccolta e preparazione di cibi, di riparazione e mantenimento di ambienti di vita,; la comunità degli uomini ha perimetrato l'ambito di attività e realizzazione delle donne nel campo della maternità reale e simbolica e della seduzione, .
Il riconoscimento e l'apprezzamento di familiari e estranei, quando c'era, compensava dell'insignificanza sociale caratteristica della maggioranza delle donne, che impediva di mettere voce nelle decisioni importanti di vita individuali e collettive.
L'alibi generale per l'esclusiva attribuzione dei compiti di cura  era costituito dal  fatto che le loro fatiche erano dettate dall'amore, l'arma potente di assoggettamento delle donne.

Quando poi le  attività di cura sono entrate nel mercato sono state svalutate socialmente, proprio perché femminili, e quindi poco pagate, anche se svolte da uomini.
Un esempio per tutti la situazione delle e degli insegnanti, almeno nel ciclo della scuola primaria e delle medie,  connotata da aspettative di tipo materno.

Analogamente la soggettività maschile ha assunto caratteristiche "adatte" alla produzione, alla politica, alle  istituzioni, senza doversi preoccupare delle attività fondamentali del lavoro di cura, consegnate totalmente  alle donne. 
Questo impoverimento  psichico e fisico degli uomini è diventato una causa della loro fragilità complessiva, che sfocia in molti casi in violenza e prepotenza quando la donna preposta a tali compiti si sottrae.

Il mondo della produzione, così come si è venuto configurando negli ultimi tre secoli, è stato egemonizzato da un sistema di produzione, il capitalismo, che ha puntato esclusivamente all'incremento dei profitti dei maggiori detentori dei mezzi di produzione, e ha estratto ricchezza oltre che dalla forza-lavoro impiegata,  anche dalle attività del lavoro di riproduzione erogate dalle donne in tutto il mondo, con carichi di lavoro diversi a seconda delle situazioni economiche e sociali. 
Inoltre  il capitalismo, nelle sue varianti nel tempo e nello spazio, ha saccheggiato fino all'inverosimile  terre, acque, animali e piante. 
Il mondo della cura è stato pretestuosamente offerto come contrapposto alla ferocia considerata indispensabile a quello della produzione,  pertanto è stato idealizzato come luogo appagante e  irenico,  il luogo dell'affetto disinteressato, dove ritemprare le forze e le energie spese nelle attività pubbliche. 
In questo consiste l'intreccio attuale tra capitalismo e  dominio maschile. 

Negli ultimi decenni si sono prodotti molti cambiamenti nella struttura economica, la femminilizzazione del lavoro ha  preteso  che le attitudini "naturali" e le capacità tradizionalmente maturate dalle donne nell'ambito della cura fossero apprese anche dagli uomini  ed esercitate nel campo della produzione, fino a arrivare alla richiesta di lavoro gratuito in certi casi, così come è gratuito il lavoro domestico.

Si moltiplicano i tentativi da parte delle donne di sottrarsi agli obblighi derivanti dal modello tradizionale di famiglia, ma al mutare delle condizioni storiche non corrisponde un altrettanto veloce cambiamento di mentalità, di sensibilità, di comportamenti. 
La forza di inerzia del modello dominante prolunga certe posizioni mentali, anche quando vengono meno le condizioni materiali che l' hanno prodotto. 

Quindi occorre affiancare alle lotte sociali le battaglie culturali per l'eliminazione delle immagini interiorizzate relative alla relazione donne e uomini, che sono la base delle rappresentazioni e autorappresentazioni di donne e uomini, principali responsabili dell'inerzia linguistico-mentale.

Ecco perché per cambiare alle radici il sistema di produzione che ci affligge occorre lottare contro il dominio maschile, che è un suo potente sostegno e viceversa per rovesciare il dominio occorre abbattere il sistema economico che  vi si è intrecciato; non sono possibili scorciatoie.


mercoledì 4 dicembre 2024

Guerra tra i sessi, espressione abusata per contrastare la "marea di donne" incalzante

 

I tentativi di delegittimare  nel senso comune la valenza politica delle lotte  nazionali e globali delle donne con l'argomento che il patriarcato non esiste più franano davanti a prove e argomentazioni anche semplici.

Scendono in campo filosofi, l'eccellenza del pensiero, per convincerci che il femminismo, definito come un tutt'uno omogeneo negli  intenti e nei metodi, è il migliore alleato del neo-liberismo e che ha lo scopo di mascherare  le vere diseguaglianze, di classe, economiche...

Per sostenere questa tesi si ricorre a manipolazioni di  parole e concetti base, ed ecco il ricorso all'espressione "guerra tra i sessi".

Non si finirà mai di contrastare questo concetto volto a spaventare e quindi neutralizzare presso l'opinione pubblica le acquisizioni pratiche e teoriche  del neo-femminismo degli anni Settanta del secolo scorso.

La guerra tende all'annichilimento, l'asservimento, la distruzione fisica e psichica, la mortificazione del nemico  per ridurlo in potere del vincitore, limitandone autonomia e libertà.

C'è qualcosa di analogo  a come le donne vivono nella situazione di dominio maschile?

L'idea che il dominio maschile sulle donne finisca con il far trascurare  le altre forme di dominio in atto  è falsa, dal momento che proprio dall'analisi dell'asservimento delle donne ha preso campo l'analisi di molti altri settori nel quale si esercita il dominio.

Forse c'è la paura, più o meno consapevole in molti, del rovesciamento dei ruoli sull'esempio di quello che hanno fatto gli uomini alle donne, e quindi di trovarsi a loro volta in quella situazione.

Le donne che accettano di restare nei perimetri assegnati dal dominio maschile, perimetri sempre più ampi, aggiornati alle esigenze sociali, modernizzati almeno da noi,  godono di tutele, privilegi esaltazioni retoriche, diventando le migliori alleate dei maschi e dell'ordine socio-culturale vigente.

Invece Il conflitto può anche essere aspro, disturbante la quiete e l'ordine sociale dato, lungo e apparentemente insanabile, ma tende a una mediazione, che si spera la più  equa possibile, non alla distruzione dell'avversario.

I documenti femministi degli anni Settanta non parlavano di guerra, bensì di di conflitto tra i sessi, il termine guerra semmai lo si leggeva in testi giornalistici, che condannavano donne del movimento come  portatrici di disordine sociale,e etico, donne isteriche, odiatrici degli uomini...

Alla voce  "conflitto"  nel Thesaurus costruito sulla lingua naturale di documenti del Movimento delle donne degli anni Settanta e Ottanta si legge:"conflitto tra i sessi U (Usa)  contraddizione tra i sessi", mentre alla voce guerra troviamo: "guerra Va (Vedi anche lotta armata, pace)".

Linguaggiodonna. Primo thesaurus di genere in lingua italiana, Adriana Perrotta Rabissi e Maria Beatrice Perucci, ed. Centro di Studi storici sul movimento di liberazione della donna in Italia, Milano, 1991, ora consultabile in rete al sito 

https://www.fondazionebadaracco.it/wp-content/uploads/2021/05/Linguaggiodonna.pdf


martedì 3 dicembre 2024

Diritti, una parola abusata per depotenziarne la politicità

 Diritti, una parola abusata per depotenziarne la politicità

Che i  Governi propinino una serie di frottole per rabbonire  le cittadinanze estenuate, disilluse, frustrate.è cosa comune.

Che le frottole siano facilmente smentibili, ma richiedano almeno curiosità e ricerca, invece di lamentele e recriminazioni, è altrettanto comune.

Ma che  si strumentalizzino concetti fondamentali della coesistenza fra le persone -i diritti-  puntando sull'ignoranza  e sull'indolenza di molte e molti è criminale.

È senso comune che affermare diritti, anche per legge, non comporta che le persone alle quali questi diritti sono rivolti possano accedervi per un infinità di ragioni, a partire dalle condizioni materiali di vita.

Se finora si è parlato di diritto di emigrare da parte di chi rischia la vita, la sicurezza fisica, economica, sociale, religiosa...in paesi e situazioni  estreme, da qualche tempo il nostro governo  stravolge l'espressione, per sostenere la propria irresponsabile e crudele politica nei confronti di migranti, a Diritto a non emigrare!

Non val neppure la pena analizzare l'infelice espressione dal punto di vista logico, filosofico, storico, antropologico, sociale...

Denuncia l'arroganza di chi ritiene tutti cittadini e tutte  le cittadine  pari al proprio livello  intellettivo-conoscitivo.

Denuncia l'impotenza di mettere mano in modo minimamente civile e responsabile a un emergenza   di dolore e sofferenza per migliaia di persone.

Un'ultima questione è la separazione che è attuata nel discorso pubblico tra diritti civili e diritti sociali, di questi ultimi non si parla, si enfatizzano i primi, con la massima attenzione  a porre i limiti opportuni.