lunedì 14 ottobre 2019

Donne, soldi, potere, poteri

Molte donne rivelano spesso nella quotidianità atteggiamenti e/o comportamenti ambivalenti e contraddittori nei confronti dei soldi, per eccesso o per difetto di attenzione, anche se poi nel lavoro si dimostrano efficienti amministratrici finanziarie. Qualche tempo fa, nel corso di una Assemblea, la Presidente di un'Associazione femminile alla perenne e faticosa ricerca di finanziamenti che permettano lo svolgersi delle attività, ha dichiarato: "Meno male che siamo povere, se no guai!", dando per scontato un inevitabile inquinamento delle relazioni tra le socie, peraltro tutte volontarie, provocato da un eventuale, e sempre sperato, afflusso di soldi.
Donne, anche manager, mi hanno confermato che a volte si confondono nel compilare assegni cospicui nel privato, mentre nel lavoro sono ineccepibili; altre delegano a uomini di fiducia, anche se con competenze finanziarie pari alle loro, la gestione di somme personali da investire. Ho inoltre riscontrato, anche in prima persona, una punta di imbarazzo in alcune professioniste al momento di richiedere il pagamento delle parcelle, qualcuna mi ha confessato di aver lasciato perdere in qualche caso, dopo una prima richiesta andata a vuoto.
A questi comportamenti è da aggiungere la frequente contrapposizione, spesso inconsapevole, tra le attività  del lavoro di cura prestate nell'ambito familiare-privato, e in quanto tale considerate gratuite e quindi dettate da nobili sentimenti (amicizia, affetto, amore) e le altre della stessa natura, ma  appartenenti al mondo del lavoro fuori casa, svilite socialmente e economicamente, come se, essendo motivate dal desiderio/necessità di guadagno, in qualche modo si deludessero  le aspettative sociali, smentendo una qualità ritenuta propria delle donne: la tendenza all'oblatività, all'offerta gratuita e "disinteressata".
L'immagine di genere interiorizzata da donne e uomini di una femminilità socialmente riconosciuta e incoraggiata deriva in questo caso dal  paradigma storicamente determinato del materno, nel quale lo scambio avviene tra due soggetti asimmetrici rispetto al potere: madre onnipotente e neonato debole, indifeso e dipendente - secondo questo modello la sopravvivenza del debole dipende dall'amore e dalle cure materne.
Il discorso chiama in causa le varie forme, gradi e livelli di poteri e contro-poteri giocati nei rapporti tra donne, e tra donne e uomini, in un società in cui il denaro, oltre a costituire una delle principali risorse di vita, è lo strumento fondamentale di mediazione materiale e simbolica nelle relazioni sociali, misura del valore di ogni realtà
Il disagio a cui si è accennato sembra una possibile conseguenza del conflitto tra i due modelli con cui si confrontano le donne oggi: quello di un femminile a lungo dominante nel nostro immaginario collettivo, anche se in realtà spesso contraddetto anche in passato nella pratica sociale, e quello delle pratiche economiche che conosciamo e con le quali ci misuriamo, che si fondano su un presunto rapporto paritario tra soggetti, caratterizzato dall'utilità reciproca e dalla razionalità. Se non viene riconosciuto, il conflitto porta molte donne a autoridurre l'autonomia che deriva loro dalla conquistata indipendenza economica, per conformarle, almeno nell'ambito del privato, ad un modello rifiutato a livello di coscienza, ma ancora operante nel profondo, e comunque garante di certe, secolari e sperimentate rendite di posizione, nicchie di privilegio, gratificazioni sociali, in cambio di un certo grado di dipendenza.
La forza di inerzia del modello dominante prolunga certe posizioni mentali, anche quando vengono meno le condizioni materiali che l' hanno prodotto.
C'è poi da considerare che, malgrado siano in parte mutate per le donne e gli uomini nel corso degli ultimi trent'anni le condizioni materiali di vita e gli universi simbolici di riferimento, a livello profondo in molte agisce ancora come deterrente la potente sanzione sociale che nel passato colpiva quelle che non accettavano di sottomettersi alle rigide regole della comunità di appartenenza, principalmente nella sfera dei comportamenti sessuali.
Questa condanna sociale, con un'operazione di estensione a tutti gli aspetti della vita delle donne, ha costituito per secoli una minaccia, in presenza della codificazione patriarcale dei ruoli sessuali (scalfita sì, oggi, ma non ancora completamente demolita), secondo la quale le donne sono considerate prima di tutto in relazione al loro sesso, e alle funzioni socialmente diversificate che storicamente ne derivano. Si comprende in tal modo l'origine dell' "insulto di genere" per eccellenza, rivolto alle donne e profondamente inscritto nella lingua, così da dar vita ad automatismi linguistici e quindi di pensiero: qualunque sventatezza, ingiustizia, errore, cattiveria compia una donna, di qualunque età, professione e stato sociale, la prima ingiuria che si sente rivolgere, sotto l'urgenza della collera è puttana, troia...., e questo indifferentemente sia da uomini che da donne.
Un fantasma potentemente attivo, dunque, il fantasma della prostituzione, orienta molti degli atteggiamenti e determina parecchi comportamenti ambigui rispetto ai soldi, anche nelle donne più avvertite e consapevoli, inducendo in molte la sensazione che mostrarsi interessate ai soldi, o peggio, tanto ai soldi quanto ai sentimenti, faccia nascere il sospetto di essere disponibili a scambiare sesso contro denaro, per necessità, o peggio per  vizio.