giovedì 28 febbraio 2013

Donne in politica

Ci siamo, con queste elezioni siamo allineate alle altre  democrazie, anche se restiamo buoni ultimi, nel rapporto donne -uomini nelle istituzioni di rappresentanza politica.
C'è comunque da esserne contenti/e, se non altro per una questione di riequilibrio di genere, ancora alla fase iniziale.
Lascio alla stampa tutte le considerazioni più o meno entusiastiche su quella che viene rappresentata come "svolta epocale", insieme al contemporaneo svecchiamento del ceto politico. Così come tralascio le supposizioni su che cosa questo significherà in termini di influenza sulle politiche che metteranno in atto i vari partiti.
Ho letto in un  articolo che alcune giovani deputate e senatrici  hanno indicato in ordine sparso le priorità personali: abolizione totale della caccia, riforma della giustizia, diminuzione degli sprechi nella spesa pubblica, riforma del sistema carcerario. Non so come funzionerà per loro la lealtà al gruppo di riferimento, e se riusciranno a portare a termine gli obiettivi.
Speriamo di sì.
Credo che già questo coglierà alla sprovvista chi -uomo o donna- si ostina a considerare i temi relativi alla cura  dei viventi e del loro ambiente (nell'ambito quindi di politiche relative a welfare, sanità, istruzione....) propri delle donne, nel pubblico e nel privato.
Se il discorso si allarga a tutti i campi della vita sociale ecco che potrebbero cadere  baluardi consolidati e potrebbero rimettersi in gioco assetti teorici, pratici e di potere che finora apparivano inespugnabili.
E' stato osservato che almeno da noi l'ingresso non eccezionale di donne in istituzioni e professioni tradizionalmente maschili coincide in genere con la decadenza, economico e di prestigio, delle stesse cariche. E' avvenuto così ad esempio per la scuola superiore, e, se effettivamente questo Parlamento riuscirà a contenere tutti gli emolumenti dei quali gode ancora il ceto politico, sarà così anche in questo caso, dal punto di vista economico; della decadenza delle istituzioni rappresentative oggi in Italia poi non mette neanche conto di parlare.
Non a caso sono ormai decenni che la nostra democrazia si rivela sempre più bisognosa di allargamento a soggetti inediti, e da più parti si concorda sull'esigenza di perfezionarla in democrazia partecipata.
Come donne non siamo né un gruppo sociale, né una formazione politico-sindacale, in questo senso non condividiamo interessi comuni (di lobby), ma uno scenario comune sì, derivante direttamente dal nostro sistema patriarcale-capitalistico; su questo secondo me si potrà giocare per ottenere alleanze tattiche iniziali tra donne -e uomini altrettanto contrari al sistema- che mutino le regole del gioco, regole tarate su un soggetto maschile (bianco, eterosessuale) falsamente rappresentativo di uomini e donne.
Ricordo come esempio che più di vent'anni fa una brava dirigente del maggior sindacato metalmeccanico, promossa alla direzione nazionale, si trasferì a Roma, con la figlia piccola e trovò che le riunioni importanti, di programmazione delle attività, erano tutte convocate dalle 18 in poi! Dovette combattere a lungo per ottenere lo spostamento di orario, dal momento che non aveva una moglie a casa ad accudire alla figlia!
D'accordo che l'episodio può essere anche letto alla luce delle differenze tra le persone e le abitudini di vita: lei veniva da Torino, Nord, mentre a Roma e nel Sud gli orari di vita sono spostati verso sera, le differenze di posizione economica possono incidere nel permettere o nel non consentire  aiuti domestici, ma resta il fatto che se molte donne hanno rinunciato a certe carriere e lavori è stato non per automoderazione o mancanza di ambizioni personali, ma per il carico della "cura".
In questo senso è possibile che la quantità -più donne nei posti apicali e pubblici- si trasformi in qualità,  comportando un cambiamento delle regole consolidate di partecipazione, finora a misura di uomo, per permettere una reale competizione tra soggetti interessati alla guida del paese.
Questo sarebbe finalmente un elemento  di chiarezza e disambiguità, un obiettivo inizialmente unificante: organizzarsi socialmente in modo che le donne che lo vogliono godano delle condizioni materiali (condivisione della "cura" con gli uomini, in primis) per accedere alle responsabilità che desiderano, così come avviene per gli uomini (tralascio, ma non ignoro,  in questo amito del discorso il dato di classe, che incide anche sugli uomini in termini di accesso ai luoghi di potere).
E' da qui che comincia il bello e il vero conflitto, tra donne e donne, tra donne e uomini, tra uomini e uomini, politicamente parlando, sul mondo che ci prefiguriamo, che vogliamo abitare, sulle priorità da realizzare, sulle modificazioni da introdurre e sulle pratiche da scardinare.
Così si uscirà dalle due dimensioni nelle quali come donne siamo immobilizzate, simmetriche tra loro, e ugualmente stereotipate:  quella di  vittime, fragili e bisognose di tutela, oppure al contrario di onnipotenti, in grado con la nostra sola presenza nei luoghi che contano di raddrizzare i torti, far fiorire l'economia e la produttività delle aziende (il valore rosa aggiunto di cui tanto si parla oggi)  ingentilire i costumi, portare luce e civiltà nella barbarie incalzante.

mercoledì 27 febbraio 2013

Giovani contro vecchi: da guerra a conflitto

L'effetto spiazzante c'è stato, è innegabile e ha scatenato scenari diversi tra loro: disperazioni più o meno mascherate da rassegnazione, ricerca di colpevoli, ipotesi di governo, governissimo.
ODDIO!
Non sottovaluto il rischio di cambiamenti radicali, ma mi sento stranamente tranquilla, confido nella tenuta democratica, nel buon senso delle persone chiamate a compiti senz'altro difficili e impegnativi in clima di crisi economica e sociale.
Se non c'è esperienza, si impara.
Quando entrai io nella scuola, dopo l'università, avevo esperienza solo di ricerca, non di didattica, ho imparato nel tempo, certo un po' a spese dei miei primi allievi e allieve, ma dalle reazioni che hanno avuto, e dagli esiti negli studi che alcuni/e hanno in seguito ottenuto, non devo aver fatto loro troppo male.
C'è solo un aspetto che mi dispiace nella nuova situazione, perché lo ritengo immiserente dal punto di vista umano, la guerra -non il conflitto che comporta la ricerca di mediazione- ma la guerra nel senso di mors tua/vita mea tra "giovani" e "vecchi".
A me sembra un deleterio effetto di trasmissioni televisive: vecchi/giovani, uomini/donne, suocere/nuore., alti/bassi...., interisti/milanisti......e  dei talkshow dove "vince" chi ha più fiato in gola, e/o sbeffeggia meglio l'avversario.
Qui in gioco non c'è l'eliminazione fisica, per fortuna -come nel mito del buttare i vecchi nel Tevere, ai primordi di Roma- ma c'è l'annichilimento e l'umiliazione dell'avversario, e non è un bel vedere, anche perché i/le giovani hanno più forza, potenza e energia rispetto ai vecchi.
E non penso così solo ora, che sono vecchia, ma lo pensavo anche da giovane, pur mal sopportando l'arroganza di chi mi obiettava: sei troppo giovane, inesperta per capire.
Uno degli effetti distorcenti dai quali occorre liberarsi in fretta è secondo me proprio questa modalità di "guerra politica" riprendendo la pratica di "lotta politica"

martedì 26 febbraio 2013

Ogni cosa è illuminata. Ora si fa sul serio



Ogni cosa è illuminata



Tre mesi sono passati, molto intensi, sia per eventi personali che collettivi.
In occasione delle elezioni mi sono trovata a considerare questioni politiche in un'ottica  più pratica che teorica, il che ha richiesto un'accelerazione, con il rischio di qualche semplificazione.
Finalmente le elezioni ci sono state e hanno avuto il merito di mettere in luce la situazione di crisi delle forme e dei contenuti della politica tradizionale espressa fino ad oggi dai partiti, intenti ormai  a presidiare gli ultimi scampoli di potere.
I livelli numerici di astensione, schede bianche, schede annullate, sommati -non per contenuti, ma per novità di situazione- ai risultati del Movimento 5Stelle hanno indicato che la maggioranza -più del 50% di italiane e italiani- non è più d'accordo con il sistema finora  prevalente in Italia: metodi, contenuti, persone incluse.
Non conosco le analisi dei flussi, né le rilevazioni sociologiche a proposito, dei e delle partecipanti al voto, ma parlo per me, donna che ritiene necessario modificare l'attuale sistema della rappresentanza della nostra democrazia allargandolo, invece che restringerlo di fatto alle e agli esponenti di interessi consolidati, nel senso di una democrazia partecipativa.
Ma  la democrazia partecipativa si costruisce tutt* insieme, partendo dal conflitto ineludibile  in una società di persone autonome nell'esprimere la propria soggettività culturale, politica e materiale, 
persone quindi portatrici di interessi confliggenti tra loro, cerca il confronto fra gli interessi particolari contrapposti, alla ricerca di una loro composizione in vista di una convivenza abbastanza soddisfacente in uno stesso luogo (il paese) e nello stesso tempo. E non può essere un'etichetta vuota, da appiccicare ai programmi elettorali, una parola d'ordine per attirare consenso, in questo senso le persone  sono più intelligenti di quanto pensino i nostri attuali politici e politiche, e soprattutto non ci cascano più.
Soprattutto, una democrazia a un livello  migliore dell'attuale si costruisce in tempi medio-lunghi.
Non mi interessa neppure misurarmi con il falso problema: partiti sì, partiti no. I partiti, nati in Italia alla fine dell'Ottocento (!892 Partito socialista italiano) si sono costituiti proprio per allargare la partecipazione politica delle masse fino ad allora escluse dalla possibilità di incidere sull'organizzazione sociale, economica e politica del paese, dominate e sfruttate dai notabili locali e nazionali, che piegavano le classi disagiate ai propri interessi, detenendo soldi e poteri. I partiti hanno portato avanti un'opera meritoria di educazione, in un sistema di massimo analfabetismo, quale quello italiano, hanno aiutato a costruire lotte, hanno collegato realtà frammentate, sono stati un veicolo di democrazia.
Hanno dato voce agli esclusi, escludendo a loro volta le donne, questo il peccato originale, dal quale parte ogni male secondo me, e  che comporta conseguenze anche oggi.
E' vero che dal 1946 noi donne votiamo, ma il nostro voto serve a confermare un ordine simbolico, sociale e culturale patriarcale, che prevede ruoli sociali, compiti e funzioni definite in base all'appartenenza sessuale e ai modelli di uomo e donna, e delle loro relazioni, previste dalla società patriarcale, e capitalistica, che non viene scalfita, malgrado la modernizzazione dei costumi; modernizzazione spesso scambiata erroneamente per sovvertimento dei fondamenti ai quali si ispira.
Ma da quando i partiti si sono irrigiditi in organizzazioni volte ad assicurare il potere e i privilegi dei gruppi dirigenti, in accordo con i poteri forti (economici e finanziari) nazionali e internazionali, hanno smesso di costituire un elemento trainante della trasformazione dello stato di cose presenti, limitandosi a richiedere consenso in vista delle scadenze elettorali, per poi procedere come prima.
Questo aspetto coinvolge tutti gli attuali partiti, di destra, sinistra, centro; non so, ma non vorrei fosse così anche per le nuove formazioni, appena affacciatesi alla ribalta politica italiana.
Anche i punti qualificanti dei programmi hanno perso vigore e senso, tanto che li si può trovare, più o meno camuffati, in tutte le proposte delle varie formazioni politiche (mi limito a quelle  di natura democratica).
E' dalle iniziative esterne ai partiti, anche se poi questi ultimi a volte le fanno proprie, dai gruppi vari, dai movimenti che negli ultimi anni sono nate le proposte più innovative e in grado di mobilitare molte e molti, e qui torno alla vexata quaestio della partecipazione delle donne alla vita politica, intensa nelle fasi di lotta e organizzazione delle stesse, e minoritaria, o meglio marginalizzata nel momento dell'accesso ai luoghi di potere.
In queste elezioni c'è stat tutta una corsa, da parte delle formazioni che si sono presentate alle elezioni, a esibire il numero di donne in lista, tutti i partiti si sono rubati alternativamente il titolo di partito con un numero maggiore di donne; ma non è questo il punto.

Non siamo noi donne un gruppo sociale, non abbiamo gli stessi interessi, ci sono quelle alle quali il patriarcato va bene così com'è, perché assicura loro vantaggi e allora al momento dell'azione e delle decisioni  condividono metodi e contenuti con gli uomini delle loro formazioni.
Ci sono quelle, e per fortuna sempre più quelli, ai quali non va bene il sistema patriarcale-capitalistico ma non riescono a uscire da una dimensione di nicchia e a far sentire fino in fondo la propria voce, per la sordità a questi temi delle formazioni in campo.
Ma dopo queste elezioni il sistema imbalsamato che abbiamo avuto fino a oggi è saltato, si sono aperte nuove prospettive

Ora si fa sul serio
Io adesso parlo delle situazioni di analisi, teorizzazioni e conflitto che conosco, sapendo che ce ne sono molte, anche espressione di soggettività e sensibilità politiche diverse dalla mia, che vanno indicate e seguite, perché destinate a mobilitare la vita di noi tutt* nei prossimi tempi.
Nei tre mesi di preparazione alle elezioni ho contribuito alla stesura del Manifesto degli obiettivi immediati, scritto da Iole Natoli, in collaborazione con me, Teresa Pezzi e Ilaria Tarabelli (http://agendadonneitalia.blogspot.it/), rivolto a candidate e candidati, d'accordo sulla necessità di smantellare il sistema patriarcale-capitalistico come un sistema irriformabile, violento, ingiusto nei confronti di molte e molti,  a favore di pochi e poche privilegiati/e, rispetto alla totalità degli abitanti del pianeta.
Il Manifesto in questione contiene un primo pacchetto di proposte dettate dalla considerazione che i problemi di convivenza riguardano allo stesso modo donne e uomini, cancellando finalmente l'idea che le donne siano interessate e competenti in certe tematiche relative alla cura del vivere e al mantenimento di relazioni civili tra le persone (ambiente, natura, accudimento di persone e animali,  e manutenzione di cose) e gli uomini in altre: le vicende politiche nazionali e generali che riguardano la collettività.
Sono attenta a quanto si muove nell'ambito delle formulazioni riguardanti le tematiche dei "beni comuni", sia dal punto di vista giuridico, che sociale, guardo con simpatia a formazioni quali ALBA e "Cambiare si può", per le analisi che avanzano, ma sono sicura che se non si approprieranno della prospettiva di genere -non tanto dal punto di vista del numero di donne da presentare nei momenti organizzativi, oppure del fatto di accettare qualche obiettivo inerente il lavoro femminile, la partecipazione alla vita pubblica, la lotta al femminicidio, da introdurre nelle loro proposte come fiori all'occhiello- ma nel senso  affrontare tutte le problematiche prese in esame: sociali, politiche culturali, scientifiche..... dal punto di vista delle relazioni di genere, neanche queste formazioni e altre analoghe riusciranno a contrastare la  progressiva distruzione  di ogni possibilità di convivenza pacifica e democratica.