giovedì 19 dicembre 2019

La "questione maschile"

Forse c'è un non-detto che bisognerebbe  cominciare a considerare  accanto al  discorso che le donne sono inviolabili nel corpo e nella psiche in quanto esseri umani, che vanno rispettate le loro scelte conformi o non conformi alle aspettative sociali del momento storico e del luogo  nel quale vivono, concetti ai quali educare le bambine e i bambini, fin dai primi enni di età.
Iniziativa lodevole e da perseguire a partire dai primi anni di vita per tentare di arginare il moltiplicarsi delle strategie di maltrattamenti fino ai femminicidi negli ambiti familiare, lavorativo, amicale da parte di uomini.
Così come può essere apprezzabile il discorso portato avanti dai Centri Ascolto Uomini Maltrattanti che si concentra sulla responsabilizzazione degli individui dimostratisi incapaci di gestire la frustrazione indotta loro dalla crisi culturale, economica e sociale che stiamo vivendo. 
Anche questa si può considerare un'operazione necessaria per fronteggiare l'emergenza attuale dal momento che  un numero sempre maggiore di donne si sottrae al millenario compito di sostegno quotidiano e capillare a questi uomini deboli e fragili, che stanno perdendo progressivamente gli unici poteri dei quali rivalersi sulle donne, quello di essere protettori da nemici esterniin tempo di armamenti sempre più sofisticati, e quello di essere breadwinner, in tempi di precarizzazione del lavoro, abbassamento costante delle retribuzioni in relazione al costo della vita, aumento della disoccupazione
Palliativi, che non mettono l'accento sulla radice della questione, vale a dire che lo scambio sessuo-economico alla base delle relazioni tra donne e uomini in regime patriarcale non reifica solo i corpi delle donne, ma anche quelli degli uomini.
Questo è quello che intendo usando un'espressione che non mi piace ma che rende l'idea, la "questione maschile" che minaccia la nostra società.
Finora l'esercizio del potere, più o meno diretto e più o meno assoluto, su donne e bambini/e, considerati in qualche modo "minori", transitoriamente per i maschi,  o permanentemente per le femmine, è stato sufficiente a nutrire l'ego della maggior parte degli uomini, nascondendo il fatto che spesso non sono loro con la loro complessità di essere umano a stimolare amore, rispetto, stima, da parte di donne, ma la posizione che ricoprono, il potere economico, il successo riportato in qualche campo sociale, scientifico, artistico, politico, la possibilità di procurare vantaggi e privilegi, tutti aspetti esterni in qualche modo al loro corpo di uomo.
Se costoro cominciassero a avvertire l'umiliazione per il rifiuto totale, fisico e psichico di sé come persone, da parte  di mogli che ricorrono a vari espedienti per evitare il rapporto sessuale molesto e insoddisfacente; se si rendessero conto del fatto che amanti e prostitute sono costrette a sopportarli non per le loro qualità psico-fisiche, ma per i soldi elargiti al momento, pochi o tanti che siano. Se sapessero quanto si rendono ridicoli e sgradevoli agli occhi delle donne, sottoposte loro in qualsiasi settore di attività, che mostrano di ammirare i loro discorsi supponenti, di ridere alle facezie o alle battute, spesso stupide, mentre dentro di sé, o nel cerchio di amiche e colleghe fidate, li prendono in giro e li insolentiscono.
Se cominciassero a pensare a questo diminuirebbe un po' di boria e si affaccerebbe qualche considerazione sul loro effettivo valore agli occhi delle donne, e forse comincerebbe a serpeggiare  il timore che un numero sempre maggiore decida di farne a meno, abbandonandoli al loro triste destino.

lunedì 9 dicembre 2019

Scorza





Scorza

L’aveva conosciuta durante una gita scolastica al Museo del Deserto, a Tucson, due ore di viaggio in autobus, una breve sosta all’ingresso e poi via tra sentieri costeggiati da jumping cholla, grande il divertimento di fronte agli sforzi di turisti imprudenti alle prese con i ciuffi spinosi e dispettosi, all’inizio ridevano, dopo un po’ rimanevano sconcertati dal fatto di non riuscire di scuoterli via dalla stoffa, infine spazientiti e allarmati si guardavano le mani doloranti, piene di invisibile spini.

L’unico momento noioso della mattinata sarebbe stato la conferenza sui rettili, nella sala grande del Teatro, tappa obbligata del viaggio di istruzione, invece il Mostro di Gila l’aveva incantato. Appoggiato sul banco, molestato dal bastone brandito dall’erpetologa, che sollecitava i suoi lenti movimenti, lo rivoltava, lo pungolava per mostrare a un pubblico per metà affascinato e per metà disgustato la potenza delle mascelle, la lunghezza degli artigli arcuati, le squame della scorza dai brillanti colori aposematici, nero e giallo, con sfumature arancio, un Mostro così inerme di fronte a chi sghignazzava, chi mostrava orrore, chi lo irrideva, gli aveva fatto pena.

Gli risuonarono nelle orecchie per giorni le parole della donna che aveva illustrato la pericolosità del veleno, la presa dei denti incurvati, che si incastrano nella carne della vittima, senza che si riesca a allentare il morso, che aveva elencato, con un po’ di enfasi a suo giudizio, il numero di persone morte per il veleno e quelle sopravvissute, perché curate in tempo, ma a lungo in preda a atroci dolori.

Ne aveva parlato in casa, l’unico che si era interessato era stato il nonno, che ricordava i racconti dei vecchi ascoltati  quando era bambino  nella riserva nella quale era nato e cresciuto, storie popolate di Mostri di Gila che sputavano veleno contro i malcapitati che li incontravano, che uccidevano con il respiro chi passava accanto a loro senza accorgersi della presenza su un albero, sotto un cespuglio, dietro un cactus.

Ne aveva studiato sull’Enciclopedia il nome scientifico, Heloderma suspectum, l’habitat, le abitudini di vita, e aveva scoperto con quante esagerazioni e inesattezze fosse stato presentato al Museo un animale timido, che sta spesso nascosto, difficile da incontrare se non di notte o di mattina presto. Non risultavano neppure persone morte a causa del suo veleno, unica verità il dolore acutissimo e lo stato di intossicazione che provoca e  che richiede terapie tempestive e intensive in ospedale.

Negli anni si si era convinto che il Mostro del Museo fosse un esemplare femmina, qualche volta immaginava che fosse riuscita a fuggire dall’orrida erpetologa e si fosse rifugiata nel deserto circostante..

Aveva fantasticato di andare a rintracciarla, poi le vicende della vita l’avevano distolto dal proposito.

Infine vecchio e malandato, ormai in pensione decise di inoltrarsi nel deserto intorno a Phoenix, luogo consueto di passeggiate, scampagnate, biciclettate, prima con i compagni di scuola, poi con figli e infine con nipotini, per vedere almeno un esemplare fuori di cattività.
Scelse una mattina molto presto, si mise grossi scarponi, cappello, guanti e giacca di pelle, si armò di un robusto bastone per estrema difesa,  abbandonò i sentieri e le vie principali, consigliati dalle guide turistiche, per inoltrarsi tra cespugli, rocce e saguari, percorsi sempre accuratamente evitati fino ad allora.

Circondato dal silenzio, rotto da qualche fruscio e sibilo, cammina circospetto rischiando di inciampare in qualche radice affiorante dal terreno, di scivolare su un masso poco stabile, si azzarda perfino a scostare qualche grossa pietra, con grande circospezione, malgrado l’ora quasi antelucana non incontra nessun Mostro.

Stanco, deluso e affamato, si siede su una roccia, per mangiare il panino prima di tornare a casa, al momento di rialzarsi cerca con la mano il bastone che ha appoggiato per terra accanto a sé e viene colto da un dolore acuto, per mangiare si è tolto i guanti, distrattamente non se li è rimessi per  prendere il bastone. Il dolore si irradia immediatamente in tutto il corpo, un grosso Heloderma suspectum ha tra le mascelle metà del suo polso.

Per sua fortuna i figli l’hanno quasi costretto a indossare un telefono salvavita, con localizzatore incorporato, e pulsanti collegati al suo ospedale di riferimento e ai loro cellulari, non ne voleva sapere, ma ultimamente  si era reso era necessario per l'aggravarsi del diabete.

Spingere il bottone fu l’ultimo gesto prima di crollare svenuto per lo spavento e il dolore.

Si risvegliò dopo tre giorni di terapia intensiva, aveva camminato molto, ma fuori dei sentieri consigliati si era aggirato senza accorgersene in un’area  non distante dall'ingresso principale, i soccorsi dall’ospedale erano giunti in pochi minuiti.

Al momento della dimissione il medico del reparto, che nei giorni di degenza l’aveva sottoposto ai controlli periodici, gli disse che misteriosamente risultava guarito completamente dal diabete.

Non riuscivano a capacitarsene, non era mai accaduto che un diabete in fase così avanzata sparisse improvvisamente,  gli consigliavano di continuare a controllare con regolarità la glicemia, per vedere se fosse uno fenomeno occasionale o permanente.

Allora ricordò che nei racconti dell’infanzia accanto alle storie dei Mostri di Gila assassini, ce ne erano altre che invece narravano dei loro poteri curativi, poteri sciamanici,  che a volte esercitavano misteriosamente

mercoledì 13 novembre 2019

Una politica femminista che viene da lontano



 E' appena uscito un libro che per me assolve due importanti funzioni, la prima è una sorta di compensazione, perché finalmente dopo  quarant'anni si torna a parlare  di una parte del Femminismo degli anni Settanta che ho vissuto in prima persona e che non ho quasi mai ritrovato nelle ricostruzioni di memoria del Femminismo, cancellata non solo dai mass-media, ma dalle stesse femministe di altri gruppi, quasi fosse imbarazzante parlarne.
La seconda è l'urgenza di riprendere il discorso -pur tenendo conto delle modificazioni di contesto- su nodi politici affrontati allora,  forse troppo in anticipo sui tempi, visto che i processi sociali ed economici dispiegatisi nell'ultimo quarantennio erano appena agli inizi, ma che sono diventati di attualità.
L'imbarazzo credo derivasse dal disagio di molte di fronte all' accostamento donne soldi, accostamento che richiamava alla mente un fantasma potentemente attivo, il fantasma della prostituzione, in una società ancora dominata dal principio patriarcale dello scambio sessuo-economico regolatore delle relazioni tra donne e uomini; una società nella quale il denaro, oltre a costituire una delle principali risorse di vita, è lo strumento fondamentale di mediazione materiale e simbolica nelle relazioni sociali e misura del valore di ogni realtà.
In questo senso la richiesta di salario fu fraintesa, l'obiettivo non consisteva  tanto nell'ottenere un po' di soldi in tasca da gestire autonomamente,  anche se elemento fondamentale  per una reale autonomia e indipendenza di pensiero, ma funzionare da leva politica per smascherare un sistema economico che poggia su una mole di lavoro non  riconosciuto in quanto lavoro, e quindi non pagato,  quantitativamente maggiore del lavoro di produzione, questo sì pagato, anche se poco e male, svolto in grande maggioranza da donne, dal quale il sistema capitalistico estrae ricchezza.
Oggi è acquisita la consapevolezza della  mole di lavoro domestico e di cura gratuito prestato soprattutto da donne su tutto il pianeta, istituzioni nazionali e internazionali misurano, quantificano, denunciano, sfornano addirittura tabelle in cui indicano quanto vale in denaro.
Naturalizzato nella dimensione essenziale della femminilità, il lavoro di riproduzione, nei molteplici aspetti: biologico, sociale, psicologico, sessuale è tenuto separato e contrapposto artificialmente al lavoro di produzione. Tutto quanto è riassunto nel concetto di “cura”, proposto oggi da vari filoni dei movimenti come elemento fondante per trovare un nuovo paradigma di convivenza, in grado di eliminare la divisione sessuale del lavoro, cioè la struttura portante delle relazioni tra uomini e donne all’origine del patriarcato, strettamente intrecciato con il neocapitalismo.
Ma venendo al libro, Antonella Picchio e Giuliana Pincelli in Una lotta femminista globale. L’esperienza dei gruppi per il Salario al Lavoro Domestico di Ferrara e Modena, 2019, Milano, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore, ricostruiscono la storia dei gruppi di Lotta Femminista e del Salario al Lavoro Domestico di Modena e Ferrara, una rete nazionale del femminismo degli anni Settanta, collegata alla International Wages for Housework Campaign.
Documenti, articoli, volantini, manifesti, foto, nazionali e internazionali, prodotti nel decennio di attività, con lo sforamento cronologico di un articolo del 1982, costituiscono la parte più rilevante del libro, e restituiscono la funzione più importante di un Archivio, che non si limita, come a volte si intende in maniera riduttiva,  a conservare la memoria, preservandola dalla dispersione, cancellazione, e falsificazione, ma a organizzarne i contenuti per attivare processi di riflessione sui nodi teorici e politici del presente.
Il resto del libro consiste di due scritti delle autrici, nel primo Antonella racconta la propria esperienza di vita e di pensiero e le modificazioni intervenute negli anni della partecipazione al gruppo, alla luce delle consapevolezze maturate oggi, nell'altro Giuliana ricostruisce la storia dei gruppi, i rapporti internazionali, le difficoltà interne sorte per le differenze nel modo di intendere il salario, differenze che portarono conflitti e scioglimento finale di Lotta Femminista,  e anche la  vicenda della mancata ricezione di analisi, posizioni teoriche e pratiche all'interno del femminismo italiano.
Conclude il libro un Epilogo sotto forma di intervista dell’una all’altra che rende il senso dell’operazione.
Afferma Antonella alla domanda di Giuliana perché abbia deciso di aderire alla richiesta della Fondazione Badaracco di ripercorrere quell’esperienza politica:
“…l’ho fatto perché sento aleggiare un nuovo vento che rigenera e spinge a condividere le esperienze fatte, a riprendere un cammino che tanti anni fa ha cambiato le nostre vite, facendole fiorire. Sento anche un senso di urgenza e un bisogno di radicalità che però ha bisogno di molta forza collettiva per essere sostenuta. I diversi refoli di aria nuova devono essere incanalati in un forte vento, capace di spazzare via le correnti reazionarie che stanno ammorbando l’aria… Il problema è quello di costruire la forza collettiva in grado di rendere questa radicalità chiaramente dicibile e effettivamente agibile. Una forza in grado di incanalare a livello globale le tante correnti d’aria che stanno smuovendo il femminismo a livello globale in un uragano dirompente, senza confini.”
La bella immagine dei refoli d’aria che unendosi possono trasformarsi in uragano dirompente rimanda alla leggerezza e al contempo alla forza in grado di travolgere gli ostacoli opposti alle lotte delle donne in tutto il mondo e disperde la sensazione di smarrimento che può cogliere di fronte alle tragedie nazionali e internazionali che le coinvolgono oggi, in un clima culturale e ideologico che tende a riproporre regole e gerarchie economiche e sociali atte a ridare fiato a livello planetario a  un patriarcato traballante, pur con diversi gradi di intensità e violenza a seconda delle condizioni materiali di vita, intrecciato a un capitalismo che, alla ricerca continua di nuove fonti di profitto, intensifica le disuguaglianze sociali e appare sempre più determinato a giovarsi del lavoro non pagato  delle donne che, oltre a produrre gli esseri umani, la merce più preziosa, è anche di sostegno quotidiano e capillare a una massa di uomini deboli e fragili di fronte allo sfruttamento e alla frustrazione derivanti loro dal sistema, nonché alla perdita degli unici poteri dei quali rivalersi sulle donne, quello di essere i guerrieri protettori, in tempo di armamenti sempre più sofisticati, e quello di essere breadwinner, in tempi di smaterializzazione dei processi produttivi, causati dalla automazione.
Dai documenti pubblicati  nel libro e dalle parole delle autrici emerge che il fuoco delle analisi delle condizioni materiali di vita delle donne  e delle conseguenti lotte intraprese dai gruppi di Lotta Femminista e del Salario per il Lavoro Domestico era relativo ai temi del doppio lavoro, della violenza domestica, della salute, della maternità, della sessualità, dell’amore, della prostituzione.  Temi che troviamo oggi al centro  nel dibattito femminista, e non solo. 
Mi riferisco ad esempio alla denuncia dell’eterosessualità obbligatoria imposta dal patriarcato insieme all'obbligo sessuale  delle donne nei confronti degli uomini, dentro e fuori del matrimonio, mettendo in luce la continuità tra lavoro non pagato in casa, compreso le dovute prestazioni sessuali, e lavoro di prostituzione, tema questo lacerante nel Femminismo, allora, come oggi
Viene da chiedersi, e se lo chiedono anche Pincelli e Picchio, come sia possibile che una tale ricchezza di analisi e di  proposte politiche di un Movimento di dimensione nazionale, radicato in venti città italiane, collegato con realtà impegnate in lotte dello stesso tenore in Inghilterra, USA e Canada, abbia  avuto così poca risonanza mediatica e sia stata quasi ignorata dal resto del Movimento di allora in Italia, così da determinare una deplorevole separazione tra due filoni di pensiero e pratiche che avrebbero dovuto procedere strettamente connesse; una separazione che ha nuociuto non poco al contrasto di processi messi in atto dalle istituzioni politiche e sociali del paese, contro i quali ci 
troviamo a combattere.
L'altro filone del Femminismo è quello che faceva dell'autocoscienza la pratica fondamentale, perché considerava prioritaria per una reale modificazione dello stato delle cose la ricerca della complicità delle donne con l’ordine del discorso vigente, con il corredo di abilità, funzioni e compiti storicamente determinati ma naturalizzati come costitutivi del maschile e del femminile.
Le analisi e le pratiche dei gruppi di Lotta femminista e del Salario per il Lavoro Domestico mancavano -non in tutte le situazioni però- dello sguardo dentro le soggettività, in merito alle fantasie, alle paure, ai desideri, alle aspettative delle donne derivanti  dalla interiorizzazione dell'ordine patriarcale.
Il linguaggio usato nei documenti risentiva molto di quello delle lotte operaie in atto in quegli anni, periodo nel quale era diffusa la diffidenza nei confronti degli strumenti analitici marxiani impiegati nelle analisi, per timore di un assorbimento e conseguente neutralizzazione dei contenuti di lotta femministi nella più generale lotta di classe.
A questo proposito è interessante notare che invece i gruppi di Modena e Ferrara praticavano l’autocoscienza, come facevano i due gruppi di Lotta Femminista di Milano, bollati come eretici dalle donne dei gruppi padovani.
Sta di fatto che la mancanza di lavoro comune tra i due filoni del Movimento italiano non è stato un elemento positivo per il Femminismo italiano.
Una domanda e la risposta a conclusione del lavoro di Pincelli e Picchio illustrano il senso dell’operazione:
G. C’è qualche aspetto del movimento di lotta delle donne oggi, a livello globale, che ha legami e affinità con le posizioni teoriche e le prassi seguite negli anni Settanta dai gruppi per il Salario al Lavoro Domestico sia in Italia che nella rete internazionale?
 A. In realtà con il movimento di Non Una di Meno è facile trovare punti in comune per quanto riguarda gli obiettivi del Piano femminista contro la violenza maschile contro le donne e la violenza di genere, come si coglie dai documenti presentati nel capitolo precedente.   Temi ora ripresi con forza a livello globale, della violenza domestica, del lavoro non pagato, del lesbismo, della prostituzione, della intersezionalità, erano molto presenti nel dibattito dei gruppi del Salario al Lavoro Domestico in Italia e in precise azioni politiche portate avanti soprattutto dalle compagne di Wages for Housework in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Canada.
A livello globale, I carichi di lavoro domestico, e la conseguente mancanza di un reddito autonomo, condannano le donne a povertà, stanchezza, isolamento e disparità di potere in tutte le negoziazioni sociali, con gli uomini e con lo Stato, nelle città globali di New York e Londra come in quelle provinciali di Modena Ferrara.” L’incontro tra le due realtà di Movimento che le autrici vedono già in atto nei gruppi NUDM fanno sperare bene per il futuro.






lunedì 11 novembre 2019

Le parole della violenza degli uomini sulle donne

La non sorprendente affermazione alle elezioni spagnole del partito di destra Vox, partito che ha promesso, durante la campagna elettorale, di lottare contro immigrazione, gay, autonomisti catalani, e soprattutto femministe, ha il pregio di fare chiarezza, senza ipocrisie e infingimenti di sorta, sulle vere intenzioni della destra che si sta affermando in modo davvero preoccupante in Europa.
Le femministe  sono definite nei documenti e nei discorsi a volte suprematiste, altre volte nazi-femministe, che vorrebbero mettere il burqa ideologico alle donne, con l'accusa ricorrente di  denunciare ingiustamente gli uomini per violenze mai subite. Quest'ultima espressione richiama alla memoria, e spiega purtroppo, le vergognose sentenze che hanno assolto i delinquenti stupratori in caso la vittima di violenza sia drogata e quindi incosciente. Sentenze che hanno provocato le manifestazioni di protesta di migliaia di donne in tutto il paese.
Il fatto poi che a Madrid il partito sia capeggiato da una donna quarantenne, fondatrice di un'associazione di giovani donne che si dichiarano tra l'altro contro l'aborto, la critica al patriarcato, la criminalizzazione degli uomini conferma la triste realtà di donne complici degli uomini nella speranza di guadagnare qualche vantaggio personale.
Ho detto che il programma ha il pregio della chiarezza, perché afferma esplicitamente quale è il sottofondo comune a tutte le istituzioni politiche della attuale destra radicale europea, pur declinato con parole differenti a seconda delle diverse situazioni economiche dei rispettivi paesi. 
La crisi di sistema è generale, non solo in Europa, i livelli di welfare finora adottati dai vari governi risultano insostenibili se si vogliono mantenere i profitti dei gruppi dirigenti economici e finanziari nazionali e internazionali, il pericolo che si diffonda il rifiuto delle donne di continuare a considerare come prioritaria la dimensione  di cura e sostegno emotivo, psicologico, amoroso dei componenti della famiglia, caricandosi sulle spalle l'enorme carico di lavoro domestico e di cura non pagato,  base economica del lavoro di produzione mondiale, spaventa davvero, di qui il richiamo ai soliti vecchi ruoli e alle funzioni patriarcali, considerati come la soluzione al disorientamento e alla frustrazione di uomini che perdono sempre più potere e autorità. 
Le armi di distruzione sempre più sofisticate, impiegate in guerre ad alta e bassa intensità, hanno tolto agli uomini anche l'ultimo alibi a cui aggrapparsi per sembrare necessari: la figura di guerriero difensore, così  come  l'automazione dei processi produttivi, con il carico di disoccupazione e precarietà che  comportano, l'hanno spodestato da quella di breadwinner.
Ma non basta questo a spiegare la rabbia e il livore di questa destra nei confronti delle donne che si liberano della subalternità all'uomo di turno, amante, marito, figlio, che reagisce sempre più con il femminicidio.
Questa destra è  infatti diversa dalla destra tradizionale, di impianto liberale, nostalgica dei vari quadretti idilliaci della donna sorridente e sollecita ad accogliere a casa i figli/e i mariti; bozzetti peraltro validi solo nell'affluente Occidente, il linguaggio usato nei manifesti e nei discorsi documenta livore  e delirio. 
Trovo accostati termini quali: suprematismo, nazifemminismo, burqa che alludono a realtà diverse tra loro. Il suprematismo non è certo quello artistico, ma quello dei bianchi degli USA, il nazismo sappiamo che cosa è, il burqa è un capo d'abbigliamento imposto alle donne in certi paesi. Tutti termini che denotano politiche e comportamenti  volti a impedire la libertà di espressione di sé, l'autodeterminazione, la possibilità di vivere secondo le scelte proprie. 
In altre parole, le battaglie e le lotte per l'indipendenza e l'autonomia delle donne dal comando maschile comporterebbero per gli uomini l'essere vittime di suprematismo (femminile?), dittatura feroce (nazismo) da parte delle donne?
E' questo che temono, perché è questo l'unico modo di intendere le relazioni tra donne e uomini, l'annichilimento o degli uni o delle altre? senza che siano possibili altri modi di convivenza?
Se non è questa l'origine della violenza degli uomini sulle donne.




lunedì 14 ottobre 2019

Donne, soldi, potere, poteri

Molte donne rivelano spesso nella quotidianità atteggiamenti e/o comportamenti ambivalenti e contraddittori nei confronti dei soldi, per eccesso o per difetto di attenzione, anche se poi nel lavoro si dimostrano efficienti amministratrici finanziarie. Qualche tempo fa, nel corso di una Assemblea, la Presidente di un'Associazione femminile alla perenne e faticosa ricerca di finanziamenti che permettano lo svolgersi delle attività, ha dichiarato: "Meno male che siamo povere, se no guai!", dando per scontato un inevitabile inquinamento delle relazioni tra le socie, peraltro tutte volontarie, provocato da un eventuale, e sempre sperato, afflusso di soldi.
Donne, anche manager, mi hanno confermato che a volte si confondono nel compilare assegni cospicui nel privato, mentre nel lavoro sono ineccepibili; altre delegano a uomini di fiducia, anche se con competenze finanziarie pari alle loro, la gestione di somme personali da investire. Ho inoltre riscontrato, anche in prima persona, una punta di imbarazzo in alcune professioniste al momento di richiedere il pagamento delle parcelle, qualcuna mi ha confessato di aver lasciato perdere in qualche caso, dopo una prima richiesta andata a vuoto.
A questi comportamenti è da aggiungere la frequente contrapposizione, spesso inconsapevole, tra le attività  del lavoro di cura prestate nell'ambito familiare-privato, e in quanto tale considerate gratuite e quindi dettate da nobili sentimenti (amicizia, affetto, amore) e le altre della stessa natura, ma  appartenenti al mondo del lavoro fuori casa, svilite socialmente e economicamente, come se, essendo motivate dal desiderio/necessità di guadagno, in qualche modo si deludessero  le aspettative sociali, smentendo una qualità ritenuta propria delle donne: la tendenza all'oblatività, all'offerta gratuita e "disinteressata".
L'immagine di genere interiorizzata da donne e uomini di una femminilità socialmente riconosciuta e incoraggiata deriva in questo caso dal  paradigma storicamente determinato del materno, nel quale lo scambio avviene tra due soggetti asimmetrici rispetto al potere: madre onnipotente e neonato debole, indifeso e dipendente - secondo questo modello la sopravvivenza del debole dipende dall'amore e dalle cure materne.
Il discorso chiama in causa le varie forme, gradi e livelli di poteri e contro-poteri giocati nei rapporti tra donne, e tra donne e uomini, in un società in cui il denaro, oltre a costituire una delle principali risorse di vita, è lo strumento fondamentale di mediazione materiale e simbolica nelle relazioni sociali, misura del valore di ogni realtà
Il disagio a cui si è accennato sembra una possibile conseguenza del conflitto tra i due modelli con cui si confrontano le donne oggi: quello di un femminile a lungo dominante nel nostro immaginario collettivo, anche se in realtà spesso contraddetto anche in passato nella pratica sociale, e quello delle pratiche economiche che conosciamo e con le quali ci misuriamo, che si fondano su un presunto rapporto paritario tra soggetti, caratterizzato dall'utilità reciproca e dalla razionalità. Se non viene riconosciuto, il conflitto porta molte donne a autoridurre l'autonomia che deriva loro dalla conquistata indipendenza economica, per conformarle, almeno nell'ambito del privato, ad un modello rifiutato a livello di coscienza, ma ancora operante nel profondo, e comunque garante di certe, secolari e sperimentate rendite di posizione, nicchie di privilegio, gratificazioni sociali, in cambio di un certo grado di dipendenza.
La forza di inerzia del modello dominante prolunga certe posizioni mentali, anche quando vengono meno le condizioni materiali che l' hanno prodotto.
C'è poi da considerare che, malgrado siano in parte mutate per le donne e gli uomini nel corso degli ultimi trent'anni le condizioni materiali di vita e gli universi simbolici di riferimento, a livello profondo in molte agisce ancora come deterrente la potente sanzione sociale che nel passato colpiva quelle che non accettavano di sottomettersi alle rigide regole della comunità di appartenenza, principalmente nella sfera dei comportamenti sessuali.
Questa condanna sociale, con un'operazione di estensione a tutti gli aspetti della vita delle donne, ha costituito per secoli una minaccia, in presenza della codificazione patriarcale dei ruoli sessuali (scalfita sì, oggi, ma non ancora completamente demolita), secondo la quale le donne sono considerate prima di tutto in relazione al loro sesso, e alle funzioni socialmente diversificate che storicamente ne derivano. Si comprende in tal modo l'origine dell' "insulto di genere" per eccellenza, rivolto alle donne e profondamente inscritto nella lingua, così da dar vita ad automatismi linguistici e quindi di pensiero: qualunque sventatezza, ingiustizia, errore, cattiveria compia una donna, di qualunque età, professione e stato sociale, la prima ingiuria che si sente rivolgere, sotto l'urgenza della collera è puttana, troia...., e questo indifferentemente sia da uomini che da donne.
Un fantasma potentemente attivo, dunque, il fantasma della prostituzione, orienta molti degli atteggiamenti e determina parecchi comportamenti ambigui rispetto ai soldi, anche nelle donne più avvertite e consapevoli, inducendo in molte la sensazione che mostrarsi interessate ai soldi, o peggio, tanto ai soldi quanto ai sentimenti, faccia nascere il sospetto di essere disponibili a scambiare sesso contro denaro, per necessità, o peggio per  vizio.