mercoledì 13 novembre 2019

Una politica femminista che viene da lontano



 E' appena uscito un libro che per me assolve due importanti funzioni, la prima è una sorta di compensazione, perché finalmente dopo  quarant'anni si torna a parlare  di una parte del Femminismo degli anni Settanta che ho vissuto in prima persona e che non ho quasi mai ritrovato nelle ricostruzioni di memoria del Femminismo, cancellata non solo dai mass-media, ma dalle stesse femministe di altri gruppi, quasi fosse imbarazzante parlarne.
La seconda è l'urgenza di riprendere il discorso -pur tenendo conto delle modificazioni di contesto- su nodi politici affrontati allora,  forse troppo in anticipo sui tempi, visto che i processi sociali ed economici dispiegatisi nell'ultimo quarantennio erano appena agli inizi, ma che sono diventati di attualità.
L'imbarazzo credo derivasse dal disagio di molte di fronte all' accostamento donne soldi, accostamento che richiamava alla mente un fantasma potentemente attivo, il fantasma della prostituzione, in una società ancora dominata dal principio patriarcale dello scambio sessuo-economico regolatore delle relazioni tra donne e uomini; una società nella quale il denaro, oltre a costituire una delle principali risorse di vita, è lo strumento fondamentale di mediazione materiale e simbolica nelle relazioni sociali e misura del valore di ogni realtà.
In questo senso la richiesta di salario fu fraintesa, l'obiettivo non consisteva  tanto nell'ottenere un po' di soldi in tasca da gestire autonomamente,  anche se elemento fondamentale  per una reale autonomia e indipendenza di pensiero, ma funzionare da leva politica per smascherare un sistema economico che poggia su una mole di lavoro non  riconosciuto in quanto lavoro, e quindi non pagato,  quantitativamente maggiore del lavoro di produzione, questo sì pagato, anche se poco e male, svolto in grande maggioranza da donne, dal quale il sistema capitalistico estrae ricchezza.
Oggi è acquisita la consapevolezza della  mole di lavoro domestico e di cura gratuito prestato soprattutto da donne su tutto il pianeta, istituzioni nazionali e internazionali misurano, quantificano, denunciano, sfornano addirittura tabelle in cui indicano quanto vale in denaro.
Naturalizzato nella dimensione essenziale della femminilità, il lavoro di riproduzione, nei molteplici aspetti: biologico, sociale, psicologico, sessuale è tenuto separato e contrapposto artificialmente al lavoro di produzione. Tutto quanto è riassunto nel concetto di “cura”, proposto oggi da vari filoni dei movimenti come elemento fondante per trovare un nuovo paradigma di convivenza, in grado di eliminare la divisione sessuale del lavoro, cioè la struttura portante delle relazioni tra uomini e donne all’origine del patriarcato, strettamente intrecciato con il neocapitalismo.
Ma venendo al libro, Antonella Picchio e Giuliana Pincelli in Una lotta femminista globale. L’esperienza dei gruppi per il Salario al Lavoro Domestico di Ferrara e Modena, 2019, Milano, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore, ricostruiscono la storia dei gruppi di Lotta Femminista e del Salario al Lavoro Domestico di Modena e Ferrara, una rete nazionale del femminismo degli anni Settanta, collegata alla International Wages for Housework Campaign.
Documenti, articoli, volantini, manifesti, foto, nazionali e internazionali, prodotti nel decennio di attività, con lo sforamento cronologico di un articolo del 1982, costituiscono la parte più rilevante del libro, e restituiscono la funzione più importante di un Archivio, che non si limita, come a volte si intende in maniera riduttiva,  a conservare la memoria, preservandola dalla dispersione, cancellazione, e falsificazione, ma a organizzarne i contenuti per attivare processi di riflessione sui nodi teorici e politici del presente.
Il resto del libro consiste di due scritti delle autrici, nel primo Antonella racconta la propria esperienza di vita e di pensiero e le modificazioni intervenute negli anni della partecipazione al gruppo, alla luce delle consapevolezze maturate oggi, nell'altro Giuliana ricostruisce la storia dei gruppi, i rapporti internazionali, le difficoltà interne sorte per le differenze nel modo di intendere il salario, differenze che portarono conflitti e scioglimento finale di Lotta Femminista,  e anche la  vicenda della mancata ricezione di analisi, posizioni teoriche e pratiche all'interno del femminismo italiano.
Conclude il libro un Epilogo sotto forma di intervista dell’una all’altra che rende il senso dell’operazione.
Afferma Antonella alla domanda di Giuliana perché abbia deciso di aderire alla richiesta della Fondazione Badaracco di ripercorrere quell’esperienza politica:
“…l’ho fatto perché sento aleggiare un nuovo vento che rigenera e spinge a condividere le esperienze fatte, a riprendere un cammino che tanti anni fa ha cambiato le nostre vite, facendole fiorire. Sento anche un senso di urgenza e un bisogno di radicalità che però ha bisogno di molta forza collettiva per essere sostenuta. I diversi refoli di aria nuova devono essere incanalati in un forte vento, capace di spazzare via le correnti reazionarie che stanno ammorbando l’aria… Il problema è quello di costruire la forza collettiva in grado di rendere questa radicalità chiaramente dicibile e effettivamente agibile. Una forza in grado di incanalare a livello globale le tante correnti d’aria che stanno smuovendo il femminismo a livello globale in un uragano dirompente, senza confini.”
La bella immagine dei refoli d’aria che unendosi possono trasformarsi in uragano dirompente rimanda alla leggerezza e al contempo alla forza in grado di travolgere gli ostacoli opposti alle lotte delle donne in tutto il mondo e disperde la sensazione di smarrimento che può cogliere di fronte alle tragedie nazionali e internazionali che le coinvolgono oggi, in un clima culturale e ideologico che tende a riproporre regole e gerarchie economiche e sociali atte a ridare fiato a livello planetario a  un patriarcato traballante, pur con diversi gradi di intensità e violenza a seconda delle condizioni materiali di vita, intrecciato a un capitalismo che, alla ricerca continua di nuove fonti di profitto, intensifica le disuguaglianze sociali e appare sempre più determinato a giovarsi del lavoro non pagato  delle donne che, oltre a produrre gli esseri umani, la merce più preziosa, è anche di sostegno quotidiano e capillare a una massa di uomini deboli e fragili di fronte allo sfruttamento e alla frustrazione derivanti loro dal sistema, nonché alla perdita degli unici poteri dei quali rivalersi sulle donne, quello di essere i guerrieri protettori, in tempo di armamenti sempre più sofisticati, e quello di essere breadwinner, in tempi di smaterializzazione dei processi produttivi, causati dalla automazione.
Dai documenti pubblicati  nel libro e dalle parole delle autrici emerge che il fuoco delle analisi delle condizioni materiali di vita delle donne  e delle conseguenti lotte intraprese dai gruppi di Lotta Femminista e del Salario per il Lavoro Domestico era relativo ai temi del doppio lavoro, della violenza domestica, della salute, della maternità, della sessualità, dell’amore, della prostituzione.  Temi che troviamo oggi al centro  nel dibattito femminista, e non solo. 
Mi riferisco ad esempio alla denuncia dell’eterosessualità obbligatoria imposta dal patriarcato insieme all'obbligo sessuale  delle donne nei confronti degli uomini, dentro e fuori del matrimonio, mettendo in luce la continuità tra lavoro non pagato in casa, compreso le dovute prestazioni sessuali, e lavoro di prostituzione, tema questo lacerante nel Femminismo, allora, come oggi
Viene da chiedersi, e se lo chiedono anche Pincelli e Picchio, come sia possibile che una tale ricchezza di analisi e di  proposte politiche di un Movimento di dimensione nazionale, radicato in venti città italiane, collegato con realtà impegnate in lotte dello stesso tenore in Inghilterra, USA e Canada, abbia  avuto così poca risonanza mediatica e sia stata quasi ignorata dal resto del Movimento di allora in Italia, così da determinare una deplorevole separazione tra due filoni di pensiero e pratiche che avrebbero dovuto procedere strettamente connesse; una separazione che ha nuociuto non poco al contrasto di processi messi in atto dalle istituzioni politiche e sociali del paese, contro i quali ci 
troviamo a combattere.
L'altro filone del Femminismo è quello che faceva dell'autocoscienza la pratica fondamentale, perché considerava prioritaria per una reale modificazione dello stato delle cose la ricerca della complicità delle donne con l’ordine del discorso vigente, con il corredo di abilità, funzioni e compiti storicamente determinati ma naturalizzati come costitutivi del maschile e del femminile.
Le analisi e le pratiche dei gruppi di Lotta femminista e del Salario per il Lavoro Domestico mancavano -non in tutte le situazioni però- dello sguardo dentro le soggettività, in merito alle fantasie, alle paure, ai desideri, alle aspettative delle donne derivanti  dalla interiorizzazione dell'ordine patriarcale.
Il linguaggio usato nei documenti risentiva molto di quello delle lotte operaie in atto in quegli anni, periodo nel quale era diffusa la diffidenza nei confronti degli strumenti analitici marxiani impiegati nelle analisi, per timore di un assorbimento e conseguente neutralizzazione dei contenuti di lotta femministi nella più generale lotta di classe.
A questo proposito è interessante notare che invece i gruppi di Modena e Ferrara praticavano l’autocoscienza, come facevano i due gruppi di Lotta Femminista di Milano, bollati come eretici dalle donne dei gruppi padovani.
Sta di fatto che la mancanza di lavoro comune tra i due filoni del Movimento italiano non è stato un elemento positivo per il Femminismo italiano.
Una domanda e la risposta a conclusione del lavoro di Pincelli e Picchio illustrano il senso dell’operazione:
G. C’è qualche aspetto del movimento di lotta delle donne oggi, a livello globale, che ha legami e affinità con le posizioni teoriche e le prassi seguite negli anni Settanta dai gruppi per il Salario al Lavoro Domestico sia in Italia che nella rete internazionale?
 A. In realtà con il movimento di Non Una di Meno è facile trovare punti in comune per quanto riguarda gli obiettivi del Piano femminista contro la violenza maschile contro le donne e la violenza di genere, come si coglie dai documenti presentati nel capitolo precedente.   Temi ora ripresi con forza a livello globale, della violenza domestica, del lavoro non pagato, del lesbismo, della prostituzione, della intersezionalità, erano molto presenti nel dibattito dei gruppi del Salario al Lavoro Domestico in Italia e in precise azioni politiche portate avanti soprattutto dalle compagne di Wages for Housework in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Canada.
A livello globale, I carichi di lavoro domestico, e la conseguente mancanza di un reddito autonomo, condannano le donne a povertà, stanchezza, isolamento e disparità di potere in tutte le negoziazioni sociali, con gli uomini e con lo Stato, nelle città globali di New York e Londra come in quelle provinciali di Modena Ferrara.” L’incontro tra le due realtà di Movimento che le autrici vedono già in atto nei gruppi NUDM fanno sperare bene per il futuro.






lunedì 11 novembre 2019

Le parole della violenza degli uomini sulle donne

La non sorprendente affermazione alle elezioni spagnole del partito di destra Vox, partito che ha promesso, durante la campagna elettorale, di lottare contro immigrazione, gay, autonomisti catalani, e soprattutto femministe, ha il pregio di fare chiarezza, senza ipocrisie e infingimenti di sorta, sulle vere intenzioni della destra che si sta affermando in modo davvero preoccupante in Europa.
Le femministe  sono definite nei documenti e nei discorsi a volte suprematiste, altre volte nazi-femministe, che vorrebbero mettere il burqa ideologico alle donne, con l'accusa ricorrente di  denunciare ingiustamente gli uomini per violenze mai subite. Quest'ultima espressione richiama alla memoria, e spiega purtroppo, le vergognose sentenze che hanno assolto i delinquenti stupratori in caso la vittima di violenza sia drogata e quindi incosciente. Sentenze che hanno provocato le manifestazioni di protesta di migliaia di donne in tutto il paese.
Il fatto poi che a Madrid il partito sia capeggiato da una donna quarantenne, fondatrice di un'associazione di giovani donne che si dichiarano tra l'altro contro l'aborto, la critica al patriarcato, la criminalizzazione degli uomini conferma la triste realtà di donne complici degli uomini nella speranza di guadagnare qualche vantaggio personale.
Ho detto che il programma ha il pregio della chiarezza, perché afferma esplicitamente quale è il sottofondo comune a tutte le istituzioni politiche della attuale destra radicale europea, pur declinato con parole differenti a seconda delle diverse situazioni economiche dei rispettivi paesi. 
La crisi di sistema è generale, non solo in Europa, i livelli di welfare finora adottati dai vari governi risultano insostenibili se si vogliono mantenere i profitti dei gruppi dirigenti economici e finanziari nazionali e internazionali, il pericolo che si diffonda il rifiuto delle donne di continuare a considerare come prioritaria la dimensione  di cura e sostegno emotivo, psicologico, amoroso dei componenti della famiglia, caricandosi sulle spalle l'enorme carico di lavoro domestico e di cura non pagato,  base economica del lavoro di produzione mondiale, spaventa davvero, di qui il richiamo ai soliti vecchi ruoli e alle funzioni patriarcali, considerati come la soluzione al disorientamento e alla frustrazione di uomini che perdono sempre più potere e autorità. 
Le armi di distruzione sempre più sofisticate, impiegate in guerre ad alta e bassa intensità, hanno tolto agli uomini anche l'ultimo alibi a cui aggrapparsi per sembrare necessari: la figura di guerriero difensore, così  come  l'automazione dei processi produttivi, con il carico di disoccupazione e precarietà che  comportano, l'hanno spodestato da quella di breadwinner.
Ma non basta questo a spiegare la rabbia e il livore di questa destra nei confronti delle donne che si liberano della subalternità all'uomo di turno, amante, marito, figlio, che reagisce sempre più con il femminicidio.
Questa destra è  infatti diversa dalla destra tradizionale, di impianto liberale, nostalgica dei vari quadretti idilliaci della donna sorridente e sollecita ad accogliere a casa i figli/e i mariti; bozzetti peraltro validi solo nell'affluente Occidente, il linguaggio usato nei manifesti e nei discorsi documenta livore  e delirio. 
Trovo accostati termini quali: suprematismo, nazifemminismo, burqa che alludono a realtà diverse tra loro. Il suprematismo non è certo quello artistico, ma quello dei bianchi degli USA, il nazismo sappiamo che cosa è, il burqa è un capo d'abbigliamento imposto alle donne in certi paesi. Tutti termini che denotano politiche e comportamenti  volti a impedire la libertà di espressione di sé, l'autodeterminazione, la possibilità di vivere secondo le scelte proprie. 
In altre parole, le battaglie e le lotte per l'indipendenza e l'autonomia delle donne dal comando maschile comporterebbero per gli uomini l'essere vittime di suprematismo (femminile?), dittatura feroce (nazismo) da parte delle donne?
E' questo che temono, perché è questo l'unico modo di intendere le relazioni tra donne e uomini, l'annichilimento o degli uni o delle altre? senza che siano possibili altri modi di convivenza?
Se non è questa l'origine della violenza degli uomini sulle donne.