giovedì 19 gennaio 2012

Racconto 3

Ricordi distorti


Impegnata a sistemare nel bagagliaio dell’auto una scatola tra valigie, sacche e borse, non si accorge dell’uomo dietro di lei, immobile tranne che per il pomo d’adamo che sale e scende a intervalli regolari.
Si volta con un breve sorriso che accompagna lo sguardo interrogativo, l’uomo si riscuote e passa oltre, senza parlare, come preso da urgenza.
Anni dopo, tra una divagazione della mente e l’altra, ricorderà quando ha rischiato di esporsi a sguardi indiscreti, per quell’azzardo sporadico, tra spavalderia e ritegno, di girare in minigonna senza slip.
Ma forse è solo immaginazione, o l’ha sognato.
Al lavoro non ama distrazioni che non siano l’abbandono al fiume sotterraneo di pensieri-emozioni, nel quale immergersi e nuotare, ogni tanto.
Si racconta storie delle quali è protagonista, sorride o rabbrividisce alla narrazione.
Nessuno la disturba, osservandola attraverso l’opalescenza del vetro dell’ufficio sembra intenta a qualcosa che non può essere interrotta, al riemergere si sente soddisfatta, ha ampliato la vita.
Desidera con forza essere apprezzata, un po’ temuta anche, a volte si chiede quanto influisca sull’ammirazione, ricercata con meticolosità, l’aspetto fisico, l’intelligenza, esibita senza arroganza, nelle relazioni, anche occasionali, la cultura, la competenza, documentata dal master frequentato in California sulle comunicazioni  ai tempi del TIC, oppure un combinato di tutti gli aspetti..
Non sa se preferisce piacere agli uomini più che alle donne, o al contrario.
Nuota nell’acqua trasparente e calda, quasi immobile, sul fondo un giardino con fiori dal colore acceso; peccato per quel portone di vecchio legno, poggiato sul mare, largo quanto l’orizzonte, che le impedisce la vista, sa che oltre sono persone che vorrebbe raggiungere, soprattutto lui, che sente chiacchierare oltre il portone.
Teme che il mare aperto sia mosso, e indugia.

Racconto 2

Donne


La mattina si presenta fredda, ma limpida; finalmente un giorno in armonia con l’ immagine interiore della stagione, allora è tutto in ordine, la giornata scorrerà tranquilla.
Da quando ha smesso di lavorare si alza serena, può indugiare nel ricordo dei sogni, le sensazioni sono le stesse di quando era bambina, ma ora non può evitare di interrogarsi non sul significato, ha imparato che un sogno vuol dire qualcosa e il suo contrario, ma sullo stato d’animo che l’ha determinato.
Solo, peccato per la perdita di magia.
Nel parcheggio del Porto vecchio c’è posto, l’incontro con Mirko la turba un poco; perché poi vedersi in un luogo così denso di ricordi da mettere a rischio l’autocontrollo, che pena sarebbe essere tradita dall’emozione; la solita resistenza a rifiutare richieste rivolte con gentilezza, con la tenerezza di un momento, come se fossero soltanto i gesti arroganti quelli in grado di suscitarle l’amor di sé.
“Sono qui da un po’, temevo non venissi più. Camminiamo verso il molo?”
“Allora, che cosa c’è? Perché siamo qui?”
“E’ una banalità dire che sei cambiata poco in trent’anni?”
“Piuttosto, ma mi sta bene lo stesso il complimento”
La consapevolezza di modi e parole scontate non cancella del tutto il senso di leggera euforia, chissà se anche a ottant’anni sarò sensibile agli effimeri apprezzamenti dei quali, forse, sarò oggetto.
E’ in piedi su una roccia protesa nel mare, in un attimo le onde si fanno più agitate, questa volta decide di scendere nell’acqua, che si rivela azzurra e calma, il mare è chiuso, senso di appagamento, eppure, un momento prima, dalla finestra della sua casa di bambina aveva guardato con timore, misto a desiderio, il mare aperto, pulsante di un moto crescente.
Rientra a casa, lascia l’auto, esce per andare all’altro appuntamento della giornata; è stato piacevole ritrovarsi con un vecchio amore per una conferma, non cercata, di quanto fosse conclusa la relazione già al suo inizio. E’ stata bene, ha mangiato con appetito, chiacchierato del più e del meno, ricompensandosi, a distanza di anni, delle ansie e angosce che avevano segnato il tempo del suo innamoramento.
C’è curiosità per la riunione in libreria nel cuore di Nervi, le ha telefonato un’amica: “ Ci rivediamo, un po’ di vecchie e un po’ di giovani che vorrebbero conoscerci. Hanno letto qualche libro, ma non hanno capito molto, non c’è niente in giro in grado di trasmettere davvero quello che è successo. Quando vengono in libreria parliamo un po’, mi hanno quasi costretto a vederci, non ho saputo dire di no, si tratta di un paio d’ore. Vieni anche tu.”
Perché no, le piace sempre incontrare persone; quando lavorava si trattava di incontri obbligati, ora le sembra un lusso scegliersi le situazioni, anche quando si rivelano poco interessanti.
Si è rammaricata per anni di non avere avuto figli, prima era troppo occupata con il lavoro, l’amore, i viaggi, poi, quando ha deciso di fermarsi e provare non sono venuti; chissà come sarebbe andata con una femmina, si sarebbero trovate insopportabili l’una con l’altra, come da esperienza di amiche, salvo aiutarsi –dovere o piacere- in caso di reciproco bisogno, oppure avrebbero condiviso serenamente la loro condizione di bambina-ragazza –giovane donna e di donna adulta, scambiandosi pensieri, esperienze e amore?
Il vano sul retro della libreria, metà magazzino e metà soggiorno è confortevole, una decina di donne lo occupa, non si è perduta l’abitudine di portare qualcosa, qualche scatola di biscotti, salatini, acqua minerale, c’è anche una bottiglia di bianco, secco.
Saluti, presentazioni, l’inevitabile imbarazzo del prendere la parola; Caterina la più disinvolta, laureata in fisica, master a Ginevra, lavora in una multinazionale di progettazione di impianti idraulici per usi industriali, rompe il ghiaccio, fino ai vent’anni non si è interessata ai discorsi sulle donne, al liceo ha vissuto una situazione di eccellenza femminile, sua e di molte sue compagne di classe; apprezzata da insegnanti e studenti, ammirata e corteggiata, a volte è corsa in aiuto di ragazzi timidi e miti, maltrattati da coetanee in mille modi. Ha confortato amici inconsolabili, piantati all’improvviso dalle rispettive fidanzate, molto più numerosi i lasciati che non le lasciate.
All’università è stata sempre tra le migliori, ha studiato senza eccessivi tormenti e patimenti, divertendosi con amici e amiche, la specializzazione le ha permesso di trovare un lavoro discreto,
Autostima senza superbia, rapporti franchi con uomini e donne, lavora sodo, si diverte, individua con precisione e velocità il suo desiderio riguardo a persone, oggetti, situazioni.
E’ proprio una nuova donna, più emancipata di lei, in qualche modo figlia sua, ha scelto una carriera lontana dal lavoro di cura, mentre lei, pur con il pallino dell’emancipazion in testa fin da piccola, ha scelto come lavoro un’estensione del lavoro di cura.



Racconto 1


Tavola imbandita thailandese

La panetteria-focacceria  è piena di clienti,  le commesse  ora  con  una battuta in dialetto ora con  un’osservazione sul tempo  contengono  l’inquietudine che comincia a serpeggiare per  lo scorrere dei minuti..
Le forme di pane croccante sulle  mensole infarinate,  le teglie di focaccia oleosa e profumata di salvia e cipolle solleticano nasi e smuovono salive; è l’ultima fermata questa, tutto il necessario per la cena è stato comprato; non è ancora mezzogiorno e fino alle  otto di sera ci sarà il tempo per prepararla con calma.
Il vento, all’uscita del forno, investe di un profumo di mare selvaggio non ancora addomesticato  dai languori  fruttati  e appiccicosi degli oli  solari.
Nel tratto verso casa, ripassato l’ordine delle portate, la preoccupazione diventa come apparecchiare.
Negli ultimi tempi è sorto il desiderio di stupire, anche, amiche e amici imbandendo  la tavola secondo stili tradizionali di cucine orientali, ci starebbe bene lo stile cinese questa sera, che però richiederebbe cibi difficili da preparare per adattarli al vasellame;  vada allora per lo  stile thailandese;  le scodelle con i piatti rettangolari, le tovagliette in bamboo,  le mini-salsiere  smaltate a colori vivaci, le  due composizioni di fiori al centro del tavolo  diffonderanno buonumore, uniche eccezioni : l’assenza dell’altarino a Buddha,  la presenza di  cibi cucinati all’italiana.
Contaminare la scena  con gli  amati centrini ricamati  all’uncinetto, regalo della nonna  centenaria ?
Abbandona malvolentieri  i carruggi per tornare a casa, gli alti edifici che sembrano congiungersi  verso il cielo assicurano protezione  mista a quel senso di trasalimento che  coglie  ogni volta che svolta  un angolo, nell’attesa –timore di incontrare l’imprevisto.
Sensazione analoga a quella provata nel ricorrente sogno di discesa in una cantina  buia, dal pavimento sconnesso, dai muri sgretolati, resa affascinante  dai percorsi  labirintici che conducono  all’incontro con il mostro da combattere, ogni volta presentito e mai incontrato.
Mentre dispone i piatti in lavatrice riflette sulla propria fragilità emotiva, dono recente  dei suoi sessant’anni, che si traduce in  ansia da prestazione, appena mitigata dalla consapevolezza della  consolidata esperienza culinaria. Neppure la mancanza di tempo giustifica l’insicurezza che ormai l’accompagna in questi casi, diverso era quando lavorava, ma da quando  ha lasciato l’ufficio il tempo non è più un problema oggettivo.
Tra i  pensieri  oziosi che preparano il sonno si affaccia  accanto alla   soddisfazione  per la buona riuscita della serata una fitta di angoscia:  quanto ci  metterà a disfarsi dell’illusione che i momenti di tenerezza  ricevuti anche  questa sera e  dovuti al  suo prestare la spalla su cui piangere,  si trasformino  finalmente  in carezze d’amore?
Illusione anche un po’ ridicola alla sua età.
L’unica  soluzione per dissipare  il sottile filo di disperazione è  decidere di  prendere il largo in barca domani.
In mezzo al mare e solo si  sentirà appagato, come al solito.

martedì 17 gennaio 2012

Il sessismo non è nella lingua ma nelle mentalità



Seguendo qualche  articolo del blog  27esima ora, sul Corriere della Sera, e sopratutto leggendo i commenti delle donne e degli uomini, se si regge a dare un' occhiata a tutti, si osserva un panorama di stereotipi mentali, fastidio e livore nei confronti delle modificazioni di linguaggi e ruoli sociali, in poche parole un rancoroso sessismo da parte di uomini e donne (meno), che individuano nel femminismo e nelle femministe le ragioni prime di molti mali del mondo.
Questi sentimenti sono espressi in tutti i post, che abbondano particolarmente quando si parla della lingua, allora diventa manifesto il fatto che che il  sessismo non è nella lingua, ma nelle mentalità di uomini e donne, che oppongono strenua resistenza al cambiamento, quando si tratti di correggere l'uso androcentrico della lingua,  pur  accettando serenamente trasformazioni linguistiche indotte da incroci con termini provenienti da altre lingue, gerghi, codici, sottocodici. 
Ma le resistenze ai cambiamenti di ordine sociale e culturale di un società sono destinate a essere vinte.
La lingua è un organismo vivente e collettivo che si evolve,  come si evolvono gli esseri viventi e i loro costumi. Non può rimanere come l’hanno creata nella notte dei tempi e come è stata tramandata, quindi  riflette ogni miglioramento che si verifichi nelle relazioni umane all'interno di una comunità di parlanti, ma può essere vero anche il contrario
L'obiezione più comune che viene opposta quando si propone di usare il linguaggio di genere, modificando così alcune storture sedimentatesi in secoli di asimmetria culturale e sociale tra uomini e donne, è che le parole da introdurre sono ridicole e scorrette, e che in questo modo si sconvolgerebbe la lingua italiana.
Così sindaca, pretora ecc. vengono considerate ridicolissime, ma non vedo perché dovrebbero essere più strane del corrispondente maschile. Il motivo è che, avendo avuto in passato poche o nessuna sindaca, ministra e pretora, non era stato necessario usare il femminile e perciò non c’è l’abitudine a sentirlo e le prime volte suona strano, quasi sgradevole. Più verrà usato, più diventerà comune e non susciterà più alcuna reazione.
Chi poi dichiara che le parole proposte sono grammaticalmente scorrette evidentemente non conosce la grammatica. Quello che è veramente scorretto è usare l’articolo o l’aggettivo maschile per un nome femminile e viceversa (es: la sindaco, il direttore Maria Bianchi), mentre è pleonastico aggiungere donna per specificare il sesso (es: scrittrice donna). 
Il femminile più corretto per la maggior parte delle parole è in -a, quello in -essa è stato usato quasi sempre in senso derisorio (es: deputatessa, vigilessa) e rimane accettabile -anche se non mi piace-  se è ormai entrato nell’uso senza alcun intento peggiorativo (es: professoressa); molte parole hanno il femminile in -ice ed è ugualmente corretto come la forma in -a (es: direttrice, autrice) e inoltre non ha né ha avuto intento peggiorativo; altre parole sono uguali al femminile e al maschile (parole epicene) ed è sufficiente anteporre l’articolo corretto (es: la presidente, la vigile, un’artista, un’atleta).
Quando poi sono le stesse direttrici, avvocate presidenti a pretendere il titolo al maschile,  si può senz'altro notare  che il maschile vale di più del femminile nelle mentalità di molte donne, oltre che di molti uomini, e quindi è considerato di maggior prestigio.
L'altra obiezione principe è che ci sono problemi ben più importanti di questi, che sono solo formali, come se l'ambiente della lingua, la base dell'ordine simbolico, non fosse  la nostra caratteristica di specie.

martedì 10 gennaio 2012

8 marzo: festa o giornata di lotta? Pacificazione o conflitto?

Mi rendo conto che siamo in largo anticipo, ma fra poco si tornerà a parlare dell' 8 marzo.
Tra l'altro mi risulta che la ministra dell'Interno abbia dichiarato che se fosse per lei l'abolirebbe. 
Non c'è più bisogno? Parità ottenuta?
La ricorrenza è divenuta popolare negli anni Settanta, grazie al femminismo; precedentemente era una "giornata" celebrata dalle  donne dell’Udi, e quindi quasi esclusivamente da appartenenti all'area di PSI-PCI, che l’avevano voluta introdurre in Italia nel 1946, in nome delle battaglie per i diritti civili,  politici e sociali, dopo la dittatura fascista.
E’ stata -e è tuttora-  poco amata da molte femministe, sia perché si osserva che molti uomini si mostrano leziosamente gentili e premurosi in questo giorno e prepotenti nel resto dell’anno; sia perché mantiene una  prospettiva di emancipazionismo 
acritico, nel senso di accettare di essere cooptate in un mondo a impronta maschile e di portarvi i propri valori, ingentilendo costumi e sentimenti; sia perché, soprattutto negli ultimi trent'anni, ha assunto la caratteristica di modernizzazione dei costumi, ad esempio con l'introduzione di cene di sole donne con contorno di spogliarelli pubblici di uomini, divertimento del tutto mimetico di forme e modalità di socializzazione maschili, conseguenza dell’opera di espropriazione di contenuti e forme di lotta esercitata dal conformismo di massa che si è andato affermando a partire dagli anni Ottanta in Italia, a causa della caduta di tensione generale verso gli aspetti conflittuali e libertari che hanno animato la società e la cultura degli anni precedenti.
Il  progetto del femminismo è  invece rivoltare dalle radici il mondo delle relazioni sociali, politiche, familiari, mettendo sotto critica atteggiamenti e comportamenti, di uomini come di donne.
Quindi non piace l’aspetto insistito di festa, piuttosto che di lotta, con il corredo di strumentalizzazione consumistica di mimose, fiori che in Italia divennero il simbolo di questa giornata proprio perché crescevano spontanei nei dintorni di Roma.
Un'altra particolarità  dell'8 marzo è la continua ripetizione, anche da parete di giornaliste/i competenti, della frottola in merito all’ episodio che l’avrebbe ispirata: l’incendio di una fabbrica a mano d’opera femminile (con cifre di vittime varianti da 29 a 129) scoppiato a New York, piuttosto che a Boston o Chicago.
Non che episodi del genere non ce ne siano stai, allora come oggi, specie nei paesi dove manca qualunque attenzione alla vita dei lavoratori e delle lavoratrici, ma l'istituzione della giornata è opera di  Clara Zetkin, al termine di un Congresso internazionale di donne, nel 1910.
Ormai non si contano i libri di ricostruzione storica, perché continuare a propalare da giornali e televisioni questa balla? Perché così fa effetto? Spettacolarizzazione della politica?
Che dire oggi di questa ricorrenza, nel panorama desolante attuale, forse ce ne è ancora bisogno.

giovedì 5 gennaio 2012

Ossessione per il sesso 2

Leggo che in Arabia Saudita è vietato agli uomini vendere biancheria intima femminile. E noi  che ridevamo del fatto che in Inghilterra, durante l'età vittoriana, coprivano le gambe dei tavoli per non suscitare pensieri erotici negli uomini.
Ma credo che perfino gli animali siano in grado di distinguere un oggetto da un loro simile e quindi non si eccitino sessualmente per una foglia, un ramo di un albero e quanto possono incontrare nel loro ambiente di vita.
E' vero che l'erotismo umano passa più attraverso il cervello che solo attraverso l'istinto, è vero che proviamo sensazioni diffuse di eccitazione anche fisica, sensazioni di benessere e languore  in determinate situazioni, per esempio di fronte a un panorama coinvolgente, ma via, di fronte a un reggiseno o a un paio di slip, anche se tanga o perizoma, alle gambe di un tavolo, che si può provare?
Certi uomini perdono la testa così facilmente?
E come ci si può fidare di persone così?
Troppo fragili e instabili psichicamente!

lunedì 2 gennaio 2012

L'Occidente ossessionato dal sesso

Per una di quelle coincidenze imprevedibili incrocio, nel giro di pochi giorni, i deliri dei fanatici ortodossi ebrei che impongono la separazione dei marciapiedi a donne e uomini, dopo aver aggredito una bambina, vestita in modo non conforme ai loro dettati, con la notizia di  di analoghe richieste, proprio in merito alla separazione dei marciapiedi, da parte di fanatici islamici.
Mi ha colpito l'assoluta identità delle richieste, in questo caso, ma suppongo che sia così anche in altri casi, che non conosco.
All'interno del Tempio mi pare ci sia ancora la separazione di posti, così come, quando ero bambina io alla Messa gli uomini sedevano da una parte e le donne dall'altra. Non so che cosa avvenga nelle chiese protestanti, credo che la separazione sia anche nelle moschee, anzi spesso vedo pregare folle di islamici, magari in strada per mancanza di luoghi di culto appropriati, che sono composte solo da uomini.
A parte la connotazione folkloristica di questi comportamenti, non posso non ricondurli a una matrice comune: l'essere conseguenze, pur arbitrarie, distorte e magari anche illegittime, di un'appartenenza a tre religioni che hanno la stessa origine teologica, non a caso alcuni tratti della cosmogonia coincidono in tutte e tre le religiomi.
E' indubbio che esse, insieme con la tradizione greco-romana costituiscono la base culturale della nostra civiltà mediterranea, cuore e culla dell'Occidente.
Dietro le motivazioni di queste imposizioni c'è l'assunto che  al disordine sessuale corrisponda il disordine sociale, infatti mettere in crisi la codificazione dei ruoli sessuali in una determinata società  mette in crisi la divisione del lavoro, sulla quale si è organizzata la società stessa.
Questo meccanismo di controllo e difesa della struttura sociale scatta anche al di fuori delle religioni, più o meno rivelate, certo è però che la legittimazione soprannaturale impedisce spesso una mediazione tra istanze diverse e contrapposte, di qui la violenza materiale e simbolica che accompagna ogni prescrizione che si appoggi a concezioni religiose.