sabato 18 novembre 2017

Contesto relazionale 5. Far trovar buona la vita

Adoperarsi per alleviare sofferenze, aiutare le persone a superare difficoltà, badare a disabilità temporanee o permanenti, sopire conflitti, in una parola "far trovare buona la vita" (Sibilla Aleramo) dovrebbe essere lo scopo prioritario e reciproco di uomini e donne, l'ha cantato il poeta arrivato alla fine della propria breve vita.
In un sol colpo si eliminerebbero i mali, almeno quelli che affliggono l'umanità per colpa dell'uomo (inteso qui come pseudo-universale): dalla subordinazione delle donne, allo sfruttamento del lavoro,  dal consumo massiccio delle risorse del pianeta alle violenza alle quali sono sottoposti gli animali.
Il fatto è che il compito di consolare, riparare, mantenere, prendersi cura di persone, animali e cose è assegnato solo alle donne, come aspetto intrinseco della loro femminilità, mentre l'uomo può scegliere di condividerlo o disinteressarsene, la sua maschilità non verrà messa in crisi, anzi è data per scontata e quindi accettata e legittimata una dose di barbarie intrinseca alla propria natura di maschio che aspetta di essere frenata e ingentilita dalle donne che lo circondano.
In compenso all'uomo, inteso come parte maschile dell'insieme umano (e già il fatto di dovere segnalare la valenza contestuale del termine dovrebbe mettere in allarme) è assegnato come tratto identitario naturale l'occuparsi di quanto concerne le attività di carattere pubblico, economico, politico necessarie alla vita delle collettività.
La perfetta complementarietà, contraddetta poi nei fatti dalla priorità delle attività pubbliche e economiche rispetto alle attività volte a migliorare la qualità delle vite di tutte e tutti.
Questa suddivisione di funzioni ha prodotto la storia che conosciamo con la gerarchizzazione degli addetti e delle addette ai vari compiti, ha plasmato nei millenni soggettività di uomini e donne.
Innanzitutto ha comportato lo scambio sessuo-economico che è alla base delle relazioni umane: le donne, considerate negli aspetti e funzioni  di riproduzione fisica affettiva e sociale e di seduzione e soddisfacimento sessuale, sono diventate proprietà degli uomini che le avrebbero ripagate con il mantenimento economico, con la protezione dai pericoli esterni all'ambito domestico, dai nemici, dalle aggressioni pubbliche e private.....
Come è andata e come va è sotto gli occhi di tutte e tutti. 
Nel corso delle trasformazioni dei costumi, in seguito all'accesso di massa delle donne al lavoro per il mercato e contestualmente ad un disastroso  sviluppo produttivo distruttivo di ambiente e risorse, si sono moltiplicati  appelli che sottolineano l'indispensabilità delle donne e delle loro capacità, competenze e attitudini a salvare il mondo.
Nell'economia, nel management delle aziende, nella politica, nel sociale la risorsa per ristabilire equilibri, raddrizzare  situazioni pericolanti, ripristinare una perduta civiltà di rapporti tra persone e cose sta nel ricorso all'opera donne.
I giornali economici sono pieni di statistiche e ricerche volte a dimostrare che dare qualche responsabilità direttiva  a donne migliorano la qualità del lavoro e anche i profitti.
Il femminismo della seconda metà del Novecento ha svelato la trappola della compassione per le donne, vale a dire l'illusione che la potenzialità naturale sia in grado di civilizzare i barbari costumi maschili così nel pubblico come nel privato, illusione che ha alimentato il senso di onnipotenza affettiva e sessuale che è andato a compensare la reale irrilevanza sociale, e ultima cosa, ma non meno importante, ha messo impietosamente in luce la debolezza degli uomini, intesi come una categoria dell'insieme umano,  l'incapacità di sostenere se stessi e la vita di chi dipende da loro, nel pubblico come nel privato.
Di fronte a questa realtà il femminismo ha messo in guardia, le donne, e continua a farlo, dal cadere nella  trappola assumendo su di sé il compito appunto di sostenere gli uomini e il loro operato, continuando a occultarne la debolezza reale.
Occultamento d'altronde funzionale a mantenere la percezione di indispensabilità che dà senso a vite, altrimenti prive di valore sociale.
E' banale ma doloroso constatare che quanto più si progredisce nella conoscenza di meccanismi che si riproducono automaticamente, tanto più si intensifica la dose di violenza esercitata dagli uomini sulle donne.
Come si fa a rifiutarsi di  spendere forze, energie e intelligenze per migliorare la vita degli altri e la propria, pur sapendo che in tal modo si sostiene e si conferma il dettato patriarcale del quale si giovano gli uomini, che in tal modo evitano di prendere coscienza della propria inadeguatezza a rendere buona vita per tutte e tutti?
E se si continua nell'opera di prendersi cura di persone, animali, ambiente e cose, pur andando incontro a tutte le conseguenze generate dal sistema in cui viviamo e che sono state analizzate in modo approfondito dal femminismo, come si fa a rinunciare alle briciole compensative che vengono offerte?
Non sono neppure d'accordo con le varie ipotesi di sostituire  matria a patria, ad esempio, perché la madre e i valori di cui è portatrice questa figura, nel nostro ordine patriarcale, sono definiti in relazione al padre e alla paternità, e viceversa; la donna e i suoi valori sono definiti a in relazione all'uomo, e viceversa, in relazioni ora di complementarietà, ora di contrapposizione.
Ma sono figure simmetriche.
Occorre destrutturare tutte le figure patriarcali, non sostituire l'una all'altra, occorre uscire dai dualismi se non si vuole rischiare di approdare all'emancipazionismo, che non rovescia l'ordine patriarcale, ma lo modernizza.
L'unica via praticabile mi sembra quella di approfondire le consapevolezze maturate nel corso degli ultimi decenni, non solo da parte delle donne, ma anche degli uomini, perché tutti quanti ci si impegni prioritariamente a far trovare buona la vita.
Un contesto si cambia con il contributo  di tutti i soggetti che lo abitano, se si è destinati a convivere, altrimenti non resta che emigrare su un altro pianeta.






mercoledì 8 novembre 2017

Contesto relazionale 4, donne e uomini nella lingua

Commenta Virginia Woolf, nel corso di una conversazione radiofonica alla BBC del 1937: 
“ [... ] le parole, se usate con accortezza, sembrano capaci di vivere per sempre. […] Una frase delle più semplici risveglia l'immaginazione, la memoria, l'occhio e l'orecchio.
[…]Questo potere di evocazione è una fra le più misteriose proprietà delle parole.[…] Le parole sono piene di echi, di ricordi, di associazioni.[…] Sono tanti secoli che vanno girando sulle labbra della gente, nelle case, nelle strade, nei campi. E una delle maggiori difficoltà dello scrivere, oggi, è proprio che le parole hanno accumulato tanti significati, tanti ricordi, hanno contratto tanti matrimoni famosi.[…] Sono le parole le più selvagge, le più libere, le più irresponsabili, le meno insegnabili di tutte le cose. Naturalmente si possono acchiappare, scegliere e mettere nei dizionari in ordine alfabetico.Ma le parole non vivono nei dizionari: vivono nella mente.[…]E come vivono nella mente? In modo strano e diversificato, proprio come vivono gli esseri umani, andando qua e là, innamorandosi, e accoppiandosi. E’ vero che sono meno legate alle convenzioni, ai cerimoniali di quanto non lo siamo noi. Parole regali si accoppiano con le borghesi. Parole inglesi sposano parolefrancesi, tedesche, indiane, di colore, se viene loro l'uzzolo”.


La lingua costituisce i binari su cui viaggia il nostro pensiero, rispecchia l’ordine culturale e sociale delle/dei parlanti,  vale a dire la concezione del mondo di una popolazione.
La funzione modellante della lingua fa sì che le rappresentazioni sociali in essa sedimentate si traducano, a livello del senso comune, in forme ritenute obiettive di conoscenza.


Le lingue storico-naturali sono i luoghi in cui si costituiscono le soggettività delle donne e degli uomini, perché sono, come abbiamo visto, i depositi collettivi di valori, di giudizi  di idee, di atteggiamenti e  modelli di comportamento, di aspettative e sentimenti sui quali ci formiamo a partire dal nostro ingresso nel mondo e ai quali dovrebbero conformarsi le donne e gli uomini reali, secondo i canoni delle relative educazioni di genere.
Le lingue sono anche i luoghi della codificazione dei ruoli sessuali nelle diverse culture e società, ruoli vissuti come naturali e quindi spesso ritenuti immutabili, proprio perché appresi dalla e nella lingua materna.

Allo stesso modo, gli stereotipi sedimentati nelle lingue in relazione anche ad altre componenti discriminatorie oltre al sesso quali l’appartenenza a certe etnie,  il colore della pelle, la pratica di determinate religioni, l'esercizio di determinati mestieri o professioni, l'orientamento sessuale agiscono nel profondo delle/dei parlanti, trasformati in vere e proprie rappresentazioni culturali e sociali, fatte proprie, a volte a livello inconsapevole, dai/dalle parlanti/pensanti.


Norme e raccomandazioni servono poco a modificare modi di pensare e conseguenti comportamenti collettivi e individuali, e richiedono tempi lunghi.

La lingua italiana nella sua struttura di senso e funzionamento presenta un alto grado di androcentrismo, perché prevede un solo soggetto di pensiero e di discorso, apparentemente privo di determinazioni materiali e sensibili, quindi astratto e asessuato, e in quanto tale universale, adatto cioè a rappresentare sia gli uomini che le donne, in realtà strutturato secondo modalità ascritte, nella nostra cultura, al maschile


La natura androcentrica della lingua si manifesta nell’ uso del maschile come neutro universale per rappresentare entrambi i sessi; il che rende invisibili le donne reali e concrete, occultando sia la loro presenza che la loro assenza dai processi della vita sociale, politica e culturale, del passato e del presente, come rilevò Alma Sabatini già negli anni 80.

L'asimmetria  linguistica tra maschile e femminile influenza  l’economia psichica delle/dei bambine /bambini nel processo di individuazione di sé e di costruzione della propria soggettività, e comporta una  autosvalutazione da parte delle bambine, a cui corrisponde peraltro un’ altrettanto negativa sopravvalutazione di sé da parte dei bambini.
Una prova piccola, ma significativa, del fatto che l’asimmetria linguistica provoca una profonda asimmetria di valore si ha quando si provi a utilizzare un femminile generico per rappresentare anche i maschi: è infatti accettato -come naturale- da una ragazza all’esame di stato un modulo scolastico che la definisce il candidato, ma non è accettato da nessuno studente un modulo che lo definisca la candidata, non solo risulta impensabile, perché inconsueto, ma anche offensivo.
Le bambine e le donne, quindi, nella propria vita dovranno spesso fare i conti non solo con gli eventuali vincoli sociali opposti alla propria piena realizzazione e autodeterminazione, ma anche e soprattutto con le proprie schiavitù interiori, indotte dalla fragilità dei sentimenti di autostima e di stima per le donne in generale, interiorizzata attraverso le rappresentazioni depositate nella lingua.

Questa svalorizzazione costituisce il primo gradino verso la strutturazione psichica della dipendenza dagli uomini.

Anche nelle lingue in cui appare superata la distinzione in generi grammaticali, ad esempio l’Inglese, si assiste a fenomeni di  automatica attribuzione di ruolo femminile ai termini nurse, secretary, prostitute, virgin, e  di ruolo maschile a surgeon, pilot, taxi driver.

Ripropongo, a titolo esemplificativo, alcune osservazioni tratte dagli studi di Alma Sabatini sulle principali dissimmetrie dell’Italiano. 
Per quanto riguarda il campo grammaticale le dissimmetrie relative ai lavori e alle professioni, che sono ancora prevalentemente declinate al maschile, anche se negli ultimi tempi hanno fatto registrare una notevole presenza femminile: mentre per i mestieri esiste la regolare distinzione cameriere/cameriera, parrucchiere/parrucchiera, contadino/contadina, maestro/maestra, suonano male e non vengono usati i termini: ingegnera, dottora, ministra, per indicare le donne che esercitano tali professioni, termini che sarebbero autorizzati dalla morfologia dell’Italiano.
Per quanto riguarda poi il campo semantico, accenno soltanto al diverso significato che assumono alcuni sostantivi e aggettivi se riferiti a uomini o a donne: serio/seria, buono/buona, segretario/segretaria, maestro/maestra, pubblico/pubblica, onesto/onesta.

Salta all’occhio, in questo caso, il richiamo costante all'ordine simbolico patriarcale che ha confinato le donne nell’ambito della natura, del corpo, della sessualità, della riproduzione biologica e sociale, del privato affettivo-familiare come ambito proprio e prioritario, escludendone contemporaneamente gli uomini, confinati a loro volta nella mascolinità.

Di qui, allora, la necessità, che credo ineliminabile nel tempo breve, del raddoppio cacofonico e apparentemente ridondante delle desinenze femminile e maschile di sostantivi e aggettivi, e del raddoppio degli articoli che precedono i sostantivi invariabili (le/gli studenti, le/gli insegnanti, le/gli presidenti...), per dare concreta visibilità ai due soggetti.
Altrettanto importante la scelta, ove possibile, di preferire termini che indichino i soggetti reali e sessuati, rispetto a quelli astratti e neutralizzanti: bambine e bambini, invece che infanzia, uomini e donne invece che umanità o persone.


Anche se non è possibile modificare nell’immediato, e con semplici atti volontaristici, le strutture e i meccanismi di funzionamento di un sistema così complesso come la lingua, l’adozione di dispositivi che segnalino le dissimmetrie tra maschile e femminile aiuta a contrastare il fenomeno dell’ inerzia linguistica e quindi mentale di donne e uomini e abitua le/i parlanti alla continua consapevolezza che i soggetti del discorso sono due. 
Sono convinta che quest’attenzione contribuisce concretamente a rimuovere le forme di discriminazione delle donne che risiedono prima di tutto nell’ordine del discorso comune..




venerdì 3 novembre 2017

Contesto relazionale 3. Guerra e conflitto

Non è possibile, neanche auspicabile, rinunciare al conflitto, anima della democrazia, sopirlo, addormentarlo è l'obiettivo dei vari populismi che invitano ad accantonare divisioni e contrasti in vista di un noi compatto per perseguire qualche ideale politico e sociale, ma dovrebbe essere possibile rinuncia alla guerra, eppure la guerra è ormai esperienza quotidiana, diretta o indiretta di tutti noi, abitanti di questi sciagurati tempi.

Nelle zone in cui la guerra guerreggiata non c'è, perché la si esporta altrove (guadagnandoci con la vendita di armi), si sono interiorizzate immagini belliche come le uniche pratiche per raddrizzare torti, porre fine a ingiustizie, rafforzare identità pericolanti, ricompattare fratellanze in crisi, lusingare narcisismi, riconfermare nei rispettivi ruoli tradizionali e patriarcali uomini e donne.
Nulla infatti più della guerra rimette a posto il disordine sociale creatosi rispetto ai compiti e alle funzioni di genere, nulla quindi, in ultima istanza, risulta più rassicurante dinanzi ai veloci cambiamenti di mentalità, atteggiamenti, comportamenti e costumi.

Forse è proprio questo il potere ipnotico della guerra su uomini e donne, non si spiega altrimenti la facilità con la quale moltitudini di persone si lasciano manipolare dai propri governanti e condurre a guerre sanguinose, pur conoscendone i rischi e gli orrori.

Gli uomini -guerrieri- rischiano la vita per la difesa di valori, persone, beni, ideali civili e/o religiosi, riconquistando una centralità e un'autorità che sentono messa in crisi dai tentativi di sottrarsi alla permanente subordinazione sociale e culturale da parte delle donne.

Le donne, in attesa del ritorno dei loro eroi da curare nel fisico e nello spirito, si attivano a ripulire ambienti, liberare luoghi fisici e mentale dalle macerie, ricostruire reti di solidarietà e relazione, e in questi momenti trovano riparo dalle fatiche di conquistare un'autonomia di pensiero e azione e dal senso di impotenza che spesso grava sulle spalle di chi intraprende questo percorso.

Il destino femminile, interiorizzato nell'educazione di genere, ritorna a essere risorsa sociale, collettiva e individuale, fattore di esaltazione e riconoscimento sociali, altrimenti negati.

Purtroppo concorrono all'incantamento nei confronti della guerra anche le narrazioni costanti del nostro passato collettivo e individuale, che pongono l'accento soprattutto su eventi bellici, pur mostrandone gli orrori, ma presentandoli come ineliminabili, quasi fossero tratti di specie, oscurando il fatto che molti conflitti furono risolti attraverso mediazioni, dialoghi, scambio di pensieri e parole tra uomini, e anche donne.

Innamoramento per la guerra, dicevo, che tacita ogni conflitto sociale e politico.

domenica 22 ottobre 2017

Donne, uomini e contesto relazionale, 2

E' dagli anni 80 che si susseguono analisi sull'uso sessista della lingua italiana, che ha al suo interno gli strumenti per correggerlo, se impiegata correttamente secondo la morfologia.
La ricerca di Alma Sabatini che tematizzò la questione in Italia, altrove era già avanzata, è del 1986.
Sono stati fatti convegni e seminari, sono stati aperti corsi universitari, attualmente alla Ca' Foscari siamo al secondo anno, di corso online, si sono scritte pagine sull'importanza della questione nella formazione delle soggettività di  donne e uomini fin dall'infanzia, a partire dalla semplice constatazione che titoli e professioni "nobili" sono al maschile, mentre mestieri e lavori "umili" hanno correttamente la forma femminile, operaio/ia, pastore/a, cameriere/a, parrucchiere/a, contadino/a....
Si è osservato che quando esistono le due forme per uno stesso termine, esse assumono agli occhi dei parlanti valenze diverse: segretaria (impiegata), segretario capo di un partito, di un sindacato.., maestra di scuola, maestro di vita e/o pensiero..
Tutte cose già dette nella ricerca di Sabatini, trent'anni fa.
L'Accademia della Crusca ha confermato l'anomalia del nostro sistema linguistico, autorizzando l'adozione dei termini morfologicamente corretti per il femminile, anomalia dovuta non certo a debolezze del sistema ma a ragioni esterne che guidano la pratica di comunicazione, ad esempio la storica esclusione delle donne dai posti pubblici di responsabilità sociali e politiche, che hanno fatto adottare solo la forma maschile, ma se solo questo fosse il problema più di cinquant'anni di accesso delle donne alle cariche pubbliche e alle professioni prestigiose l'avrebbe risolto.
Si è parlato di "inerzia linguistica e mentale", difficile perdere abitudini di lingua-pensiero interiorizzate  fin dai tempi di acquisizione della lingua materna a 12-24 mesi,  ma anche questa difficoltà è superata, pensiamo a quanti termini abbiamo accettato o provenienti da altre lingue o neologismi, che all'inizio ci "suonavano male, parevano brutti, estranei".
Allora la ragione dell'opposizione all'introduzione delle forme femminili  affonda in processi psichici profondi, ancora oggi si leggono e si sentono espressioni di sarcasmo,  di sufficienza, addirittura si ricorre al "benaltrismo", sempre utile per liquidare questioni fondamentali: con tutti i problemi che le donne hanno oggi "chi combatte per la loro liberazione, chi si limita a volere l'asterisco per segnalare la presenza di donne e uomini!!!", così su una pagina di facebook.
Essendo la lingua, allo stato attuale della nostra condizione di Sapiens, la forma principale dell'ordine simbolico nel quale siamo immerse/i, ed essendo anche uno dei principali strumenti di trasmissione dello stesso, una lingua androcentrica nella quale la forma base è il maschile, la parola "uomo" che rappresenta donne e uomini, la declinazione al femminile "donna" viene percepita come "variante" della forma base, così come Eva tratta dalla costola di Adamo
Questo è quello che si è chiamato il maschile come "universale", che in realtà rappresenta una parte sola dell'insieme, e non tutto l'insieme.
La gerarchizzazione di maschile e femminile così realizzata viene poi imposta come schema di rappresentazione e di autorappresentazione di sé e del mondo a donne e uomini,  quali processi  psichici metta in moto  nelle donne e negli uomini è cosa nota,


Donne, uomini e contesto relazionale, 1


Abbiamo chiesto ripetutamente e da tempo, sia singole donne che Associazioni, che gli uomini prendessero la parola sula violenza degli uomini sulle donne a partire da sé, come autori dei vari livelli di abusi, dalla molestia al femminicidio. 
In genere stanno zitti, salvo esprimere individualmente generica solidarietà alle donne violate.
Ora, che non possono più  fare a meno di tacere a causa del clamore mediatico suscitato dal fatto  che  c'è  di mezzo lo star system internazionale, ora che i fatti non possono essere ignorati o sminuiti dalla stampa,  alcuni, non solo i e le giornaliste compiacenti con i potenti, ma esponenti dello stesso ambiente, si schierano con fermezza contro le donne, che hanno subito, ma soprattutto denunciato.
Le argomentazioni sono varie, ma tendono tutte a dare la colpa alle donne, che ricorrono alla seduzione per ottenere vantaggi, quando poi non si arriva a distinguere tra le "povere" operaie, impiegate, migranti che sono ricattate sul posto di lavoro e meritano "comprensione", e invece le ambiziose star e starlette, che usano il sesso per fare carriera.
Per ora non si conoscono denunce pubbliche di donne che hanno subito abusi e molestie in contesti più alti che non l'ambiente dello spettacolo, istituzioni politiche e sociali, grandi compagnie industriali e finanziarie, accademia e quant'altro.
E' vero che alcuni uomini si "scusano",  per aver saputo, e aver taciuto, che sensibili!
Altri, meno ipocritamente, confermano la legittimità del contesto prostitutivo vigente, che ha le sue regole di comportamento, più o meno aggiornate all' evolversi dei costumi e alle modificazioni dello stigma sociale: fino a cinquant'anni fa sarebbero state considerate tutte puttane, ora si misura il grado di puttanaggine sul grado di fama, successo, potere ottenuti, l'uno è inversamente proporzionale agli altri tre.
Il contesto prostitutivo è quello indotto dallo scambio "sessuo-economico" tra uomini e donne: l'area di pertinenza delle donne "per natura" è la sfera del corpo, del sesso, della riproduzione in tutti i suoi aspetti (biologici, emotivi, sociali, ...), i rapporti tra donne e uomini sono modulati da millenni rispetto a questa realtà, improntata alla divisione sessuale del lavoro, che determina regole di comportamento, aspettative, valori, paure, desideri, metafore e costruzioni simboliche, immaginari che  tutti e tutte le conoscono, perché vengono educati/e a questi dalla nascita.
Lo scambio sessuo-economico è alla base della struttura di relazioni tra donne e uomini che abbiamo chiamato patriarcato, sul quale si è costruita la nostra civiltà di Sapiens,; è quello che ha decretato fin da subito la distinzione tra donne perbene e donne permale, entrambe queste figure sono la faccia di una stessa medaglia.
Nella seconda metà del Novecento il patriarcato è stato smascherato, è venuto allo scoperto grazie alla riflessione decennale di donne in tutti i campi del sapere e del sociale  che non è una struttura naturale e quindi immutabile , ma una costruzione storico sociale culturale che ha gerarchizzato maschile e femminile,  instaurando un ordine simbolico che costringe le donne e gli uomini a adeguarsi a modelli di genere derivati.
Non sempre e non tutti e tutte vi si sono adeguati/e, la storia è piena di esempi in tal senso, ma chi non si adegua deve sempre pagare un prezzo di esclusione, emarginazione, stigma sociale.
Se oggi, dopo decenni di sottovalutazione, irrisione e sarcasmi verso chi continua a portare avanti le analisi sul patriarcato, anche gli uomini sono costretti a prendere la parola in merito alla relazione donne uomini (abbandonando la maschera dei "difensori" dei deboli, le donne vittime appunto) per ribadire che questa realtà è inoppugnabile, vuol dire che abbiamo imbroccato la strada giusta!
L'apertura del conflitto a tutto campo.
La strada sembra quella della denuncia pubblica, ma non solo quella della violenza degli uomini sulle donne manifesta, in tutti i suoi gradi e livelli, ma  la messa a tema di tutti i nodi del vivere nei quali si possono leggere i termini dello scambio, sia nella vita collettiva di donne e uomini, sia in quelle individuali.
Un lavoro di analisi enorme, anche perché investe aspetti insospettati e insospettabili di azione e accettazione/complicità più o meno consapevoli da parte di tutte e tutti in grado di destabilizzare soggettività e identità, individuali e collettive, sia di donne che di uomini,.
Ma più siamo a intraprendere questo percorso, senza illusioni di rapide soluzioni,  e più ci diamo forza per abbattere il sistema patriarcale.
Così, tutti i temi più affrontati su periodici e social network relativi a prostituzione (regolamentazione/abolizione), GpA, stupri e molestie sessuali, fino al culmine di violenza, il femminicidio, pur nella grande differenza di livelli di violenza e orrore, sono  riconducibili al  contesto relazionale, questo vuol dire che non ci si può limitare all'analisi di questi fenomeni isolandoli, cercando vittime e carnefici, astraendo dal contesto prostitutivo nel quale siamo immerse e immersi, ma allargare il discorso a tutti i fenomeni interessati.
A tutto campo, appunto, per inventare strategie e tattiche di opposizione.
Non  sarà una passeggiata rovesciarlo ma oggi, dopo decenni di riflessione delle donne, si possono intravedere gli strumenti adatti, a patto che non ci si presti al gioco di disperderci in divisioni e lotte intestine tra noi donne, lotte intese a farci perdere di vista il vero  obiettivo del conflitto,  quello aperto contro chi,  uomini e donne vogliono mantenere l'ordine patriarcale, per paura, per potere, per ignoranza e inconsapevolezza.

sabato 6 maggio 2017

Azzeccagarbugli è vivo e lotta insieme a noi

Che l'Italia sia la patria di illustri giurisperiti, da secoli, è ormai concezione comune, non solo per l'alto numeri di avvocate e avvocati, ma per ragioni storiche.
Quando ho cominciato a insegnare avevo ben due avvocati colleghi di lettere, senza abilitazione specifica, che di pomeriggio esercitavano nel loro studio privato e di mattina insegnavano "Cultura generale" in un professionale di una città lombarda, credo insegnassero quello che ricordavano del Liceo, a quei tempi, prima della riforma degli organi collegiali del 1974, non c'erano riunioni pomeridiane (Consigli di classe, di Istituto, Programmazione.....), solo gli scrutini.
Erano anche anzianotti, rispetto a me appena laureata!!
Negli anni Settanta nella scuola accadeva anche questo!
Ultimamente la schiera di avvocati si è infoltita in Parlamento, forse a causa della necessità di tenersi vicino i propri difensori da parte di onorevoli che sono incorsi o temono di incorrere in incidenti giudiziari.
A noi la figura di Azzeccagarbugli è familiare fin dalle scuole medie, ma a causa dell'ironia della quale l'ha circondata l'autore, ironia accentuata dalle rappresentazioni successive e distorta fino al grottesco, si è un po' perso il significato reale del personaggio: la possibilità di giustificare, in termini di disposizioni di legge, sia una parte che l'altra di due contendenti in un processo.
Veniamo all'oggi, quasi duecento anni dopo Azzeccagarbugli, che le proposte di legge siano scritte in modo diversamente interpretabile sembra un errore, una svista, ma probabilmente non è così, e non è neppure frutto di stupidità o incompetenza, come potrebbe apparire a prima vista.
L'esempio è la proposta di legge sulla  legittima difesa.
Sulla questione  della limitazione alla "notte" si sono giustamente scatenate le beffe del Web, molto divertenti, ma si è subito svelato il  il trucco, il termine "ovvero", in disuso nella attuale lingua colloquiale, può intendersi come  "oppure" o come "vale a dire" "cioè", un doppio significato l'uno il contrario dell'altro.
Azzeccagarbugli è vivo e lotta insieme a noi!
Più complesso è il concetto di "grave turbamento", inevitabilmente sarà da accertare lo stato emotivo che ha indotto una persona a ritenersi  in pericolo di vita per sé e i propri familiari, tralascio il discorso dei beni, che mi sembra feroce. e che pertanto ha sparato a un ladro.
Penso all'affollamento di perizie psicologiche, che dovranno certificare se il grave turbamento ha indotto a sparare alle spalle ai malviventi mentre fuggivano, di notte o di giorno che sia.
Altro punto poi è la dichiarazione di resa dello Stato, non ce la faccio a difendervi tutti e tutte, "arrangiatevi". Ma allora il monopolio della violenza, sulla quale si regge l'idea moderna di Stato, a vantaggio della collettività è non serve più?
Eppure gli esempi di altre democrazie,  USA prima di tutto, insegnano che  più si ricorre alle armi e ai fai da te, più esplode la violenza, perché anche i delinquenti si armano di più, visto che rischiano di essere ammazzati anche per un furto semplice.
Chi poi volesse sottrarre ai tribunali il giudizio di legitttimità della difesa messa in atto si dimostra o in malafede o ignorante, digiuno degli elementari principi di giustizia: uno stesso comportamento va valutato alle luce del contesto nel quale è stato adottato, altrimenti c'è solo la legge della giungla.
Le rincorse affannosa e affannate a intercettare voti e paure di populismi in espansione, di destra o sinistra poco importa, fa prendere decisioni ridicole, inefficaci e quindi pericolose.
Il non voler/poter affrontare la questione alla radice della barbarie incombente, questione strutturale delle nostre società, questione che tira in ballo determinate scelte politiche nazionali e internazionali, quali la prepotenza degli interessi finanziari a discapito della vita delle persone nel I II III e IV mondo, le guerre scatenate per motivi economici che disastrano persone e ambiente, provocando esodi di massa, le chiusure securitarie, che tentano di escludere masse di affamati, che diventeranno sempre più violente e incazzate, il traffico d'armi in crescita esponenziale anche verso paesi e realtà che fanno politiche aggressive nei confronti di altri paesi,  l'egoismo sociale incrementato dall'attuale sistema economico inducono i vari governi a cercare di arginare allagamenti sociali con mezzi di fortuna.
Speriamo di essere in tanti e tante a contrastare queste tendenze.

mercoledì 26 aprile 2017

Riflessione su Non Una di Meno

Lotto Marzo era solo l'inizio, come abbiamo detto in molte, infatti i lavori agli otto tavoli di Non Una di Mebo sono continuati in molte città italiane, fino all'Assemblea di Roma, del 22-23 aprile, che ha funzionato da momento di verifica dei lavori.
Il sito di NUDM ha pubblicato le registrazioni dell''incontro nel sito: https://nonunadimeno.wordpress.com/.,https://nonunadimeno.wordpress.com/.,
le ho ascoltate e mi sono trovata d'accordo con le analisi e le iniziative condotte a partire da questo autunno, da quando ho conosciuto il Movimento. D'accordo con i contenuti espressi nelle varie assemblee tenute in prospettiva di Lotto Marzo, al quale ho partecipato con entusiasmo, e nell'Assemblea di Roma. Importante per me è continuare il confronto, verbale e operativo, in tutte le sedi italiane e estere.
L'unico punto che mi rendo conto sia difficile da toccare in momenti necessariamente sintetici come questi, ma ineludibile, è il discorso tratta/prostituzione, con l'inevitabile corollario della GpA.
Non che nei vari tavoli non si accenni al discorso dello sfruttamento dei corpi, specie delle donne, ma non solo, ma non si tocca il problema nelle sue sfaccettature particolari.
Non si potrà evitare ancora, a lungo, perché tratta e prostituzione sono sì due cose distinte, ma accomunate nell'ordine patriarcale fondato scambio sullo sessuo-economico tra donne e uomini. Scambio che fu oggetto di riflessione a partire dagli anni Settanta (mogli/prostitute due ruoli della stessa medaglia).
Negli ultimi 50 anni le trasformazioni sociali e le lotte per l'emancipazione  hanno permesso a molte donne di una parte del mondo di sottrarsi in parte a questo scambio, ma hanno aggravato le condizioni di altre donne, non solo in molte regioni del pianeta, ma nelle nostre stesse società; la questione si è aggravata con l'instaurarsi della fase neoliberista, che ha messo a profitto corpi, emozioni e sentimenti di tutti, donne e uomini, ribadendo la funzione riproduttiva delle donne - biologica, sociale, psicologica, sessuale...-come fonte primaria di sostentamento per loro, ma presentandola non più come destino sociale, ma come opportunità di autodeterminazione, e quindi scelta autonoma.
Il discorso tira in ballo una miriade di situazioni che costituiscono un groviglio asfissiante per molte di noi.
Ho detto che il tema diventa sempre più ineludibile, perché diventa arma impugnata da detrattori, e molte detrattrici vecchie e nuove del movimento femminista, che accusano le partecipanti a NUDM di aver "tradito" il vero femminismo, considerato unico  -ma chi ha stabilito quale sia -, di essersi "vendute" -a chi? al sistema, agli uomini, al potere?- ricorrendo a giudizi sommari e neofondamentalisti che fanno molta presa e aumentano la confusione già alta sotto il cielo. 
Queste accuse sono rivolte principalmente alle femministe di vecchia data, mentre le giovani sono considerate tutt'al più inconsapevoli e confuse. 
Fin qui niente di nuovo, una sorta di comune modo di sentire, riflettere e operare tra le neo-femministe, come si chiamarono le donne dei primi anni Settanta per distinguersi dalle partecipanti all' UDI, CIF e commissioni femminili dei partiti di allora,  durò veramente lo spazio di un mattino, da subito si delinearono analisi e teorizzazioni diverse, anche se poi ci si trovava riunite nella pratica delle manifestazioni pubbliche.
Una prima grossa divisione si manifestò tra chi cominciò la pratica dell'autocoscienza, dal 1972..., e chi la rifiutò, poi dal 1974, tra chi pose l'accento sul tema del doppio lavoro delle donne: domestico-familiare e lavoro fuori casa, e chi privilegiò nelle analisi le relazioni tra donne e donne e uomini le complicità interiorizzate  con l'ordine patriarcale. 
La dimensione comune a tutti i filoni del femminismo di allora restava il rifiuto di logiche di emancipazione, nel senso di integrazione nel sistema culturale-sociale-politico dato, per migliorarlo, renderlo più equo, quello che col tempo si sarebbe chiamato femminismo delle pari-opportunità, femminismo istituzionale.
I vari femminismi procedettero con i loro tempi e modi, magari ignorandosi l'un l'altro.
Nacquero Riviste, Centri, Biblioteche, Librerie, Case delle donne, dove si continuarono riflessioni e elaborazioni, in genere trascurate dai mezzi di comunicazione di massa, che si affrettavano a dichiarare ripetutamente che il femminismo era morto, ma non si registrò il livello di accuse e livore che si registra oggi nei confronti di NUDM.
Penso che un nodo fondamentale sia proprio riprendere il discorso dello scambio sessuo-economico tra donne e uomini oggi, calandolo nella vita concreta di donne e uomini, senza slittamenti su astrazioni d carattere etico-morali; il sistema con la globalizzazione di merci, beni e servizi, con le guerre scatenate per motivi economici, con la miseria imposta a vaste zone del paese a vantaggio di uno sviluppo e un arricchimento degli e delle abitanti di una piccola parte del pianeta, ha reso evidente quello che tempo era accuratamente nascosto dai mezzi di informazione.
In questo quadro vanno ripresi oltre  a questo discorso anche altri temi di drammatica attualità: il discorso dei diritti, che è impugnato come clava nei confronti di chi mette in discussione un sistema improntato a un'etica individualistica e egoistica, il discorso delle libertà, giocato come libertà  di accumulare privilegi a discapito delle condizioni di vita di  masse di persone e di animali  e a discapito delle risorse comuni del pianeta.
Non sono discorsi nuovi, si trovano in molte elaborazioni di donne del recente passato e dell'oggi, ma a volte fanno fatica a emergere dal frastuono dal quale siamo circondate; diverse possono essere le strade che intendiamo percorrere, un confronto  efficace non è mai privo di contrasti, mi sembra che nello spazio di NUDM sia possibile portarlo avanti.
Spero di non illudermi.


venerdì 24 marzo 2017

Gpa e nuovi dualismi

Eccomi di nuovo schiacciata tra due schieramenti in merito a una questione così drammatica e gravida di conseguenze come la Gpa.
Molto si discute, si parla e si scrive, ma invece di cercare di approfondire il più possibile il nodo complesso delle vite in gioco, già formate e in formazione, si impugnano come armi principi e diritti per condurre battaglie. tra opposte fazioni.

Da una parte c'è chi afferma (1) che "la maternità non è un peso di cui liberarsi ma una potenza da affermare politicamente e socialmente", accanto a chi insiste che non c'è "qualcosa di più crudele che privare una madre dei propri figli e convincere tante ragazze nel mondo occidentale che privarsi dei propri figli sia un dono". Quando poi non si arriva a commentare in modo strumentale che :

"Il commercio riguarda i corpi dei bambini, quelli che non sono difettosi, perché per gli altri ci pensano le assicurazioni o i contratti redatti dagli avvocati. In questa affermazione lanciata così, per suscitare orrore, non si capisce bene a che ci si riferisce: alle indagini sulle malformazioni del feto, con conseguente interruzione di gravidanza? Oppure alla mancanza di indagini, che comporta la conduzione della gestazione fino a termine con relativo scarto del bambino non perfetto?


Non so, detto così è qualcosa di allusivo e terrorizzante.


Il tutto condito con richieste di divieti, censure, multe a chi lo fa all'estero e poi rientra in Italia: "Servono politiche dissuasive: chi va all’estero e torna con un figlio deve subire una sanzione amministrativa".


Multe? Basta pagare una multa come per le infrazioni minori?

La nostra storia occidentale è piena purtroppo di donne costrette con le buone o con le cattive a rinunciare ai propri figli per le più varie ragioni, dinastiche, civili, sociali, economiche, senza stare neppure a scomodare le norme sociali dell'antichità greca e romana, o della schiavitù in età moderna nel Nuovo Mondo.

Dall'altra invece c'è chi si appella ai diritti inviolabili delle persone, ad esempio al diritto di genitorialità e in questo modo fa strame di tutto quello che può opporsi alla realizzazione di questi.
Già in merito all'interruzione di gravidanza ci siamo scontrate con lil dibattito sui diritti contrapposti, destinato a naufragare nella realtà complessa e dolorosa delle donne che decidono di non diventare madri in quel momento. 
Alcune/alcuni ricorrono alla distinzione tra gravidanza e maternità, nel senso di tenere a bada e separato dal processo in corso nel corpo e nella psiche tutto il carico affettivo e emotivo attivato in una donna dal momento che si accorge di essere incinta. Carico di emozioni positive, di attese e anche di paure, di fantasie sulla futura maternità e sul futuro del/della bambin* che si attende, 
Distinzione possibile a quanto si legge in un libro recente (2) che riporta le interviste a una trentina di donne che hanno partorito per altr* , testo che documenta la capacità delle gestanti, spesso già madri, di separare proprio l'attività di gestazione dalla sfera della propria  affettività, nel senso di non considerare il figlio o la figlia nell'ambito dei propri affetti. 
C'è chi ha affermato di non ricordare nulla neppure della data del giorno del parto, del travaglio (e già qui a me sembra un po' strano, vista l'esperienza personale),  c'è chi invece dice di di essersi soffermata durante la gravidanza prevalentemente sulla gioia dei genitori futuri.

Tra l'esaltazione della funzione materna e l'idealizzazione della relazione madre figlio/a, tenuta peraltro in grande considerazione in questo caso, e completamente trascurata in altri momenti di vita quotidiana di donne e bambini/e, e l'affermazione dell'individuo autonomo e legittimato a conquistare quello che ritiene appunto il proprio diritto inalienabile,  c'è poco spazio, a mio parere, per una riflessione meno estremizzante e estremista.

C'è anche da osservare che questa situazione è balzata negli ultimi decenni agli onori della cronaca a causa degli sviluppi tecnologici che l'hanno permessa su larga scala, ne hanno consentito l'industrializzazione e la globalizzazione, come  è avvenuto negli ultimi decenni per tutto l'insieme delle attività relative alla produzione e alla riproduzione.
Tutte conosciamo le pratiche, queste sì antiche, di gestazione per altri in zone  e contesti socio-familiari ridotti  in Italia come in altre parti del mondo; consuetudini che non hanno mai comportato pubblicizzazione.

Due cose ho chiare; la prima è che non si può affrontare una questione così rilevante con la lingua dei diritti, lingua che astrae dalla vita delle persone concrete e del contesto sociale, economico, culturale, politico in cui donne e uomini sono immersi nella loro quotidianità.
La seconda, per me più importante e che non si può analizzare la questione della Gpa isolandola dal tema complessivo della  relazione  donne  uomini,  della divisione sessuale del lavoro e del conseguente  scambio sessuo-economico interno all'ordine patriarcale da un lato,  ma neppure separandola dalla esasperata estrazione di profitto messa in atto dal neoliberismo.

1) Cito alcuni interventi dalla recensione di Monica Ricci Sargentini al Convegno tenutosi a Roma, Maternità al bivio: dalla libera scelta alla surrogata. Una sfida mondiale, 
http://27esimaora.corriere.it/17_marzo_23/dall-italia-raccomanzione-all-onu-l-utero-affitto-reato-universale-f4969ecc-1010-11e7-94ba-5a39820e37a4.shtml

2) Madri comunque, Serena Marchi , ed. Fandango, 2015

venerdì 24 febbraio 2017

Lo sciopero internazionale dell'8 Marzo è già un successo



Prima ancora della sua attuazione lo Sciopero Internazionale dell'8 Marzo è già un successo, indipendentemente dal numero di donne che vi aderiranno, indipendentemente dal valore simbolico, molto alto, di cui è portatore, il successo sta nella quantità e soprattutto nella qualità e profondità delle analisi e nella ricca articolazione delle proposte emerse nei vari incontri e assemblee preparatorie in Italia e negli altri paesi.

Limitandoci alla realtà italiana a questo indirizzo, https://nonunadimeno.wordpress.com/portfolio/tavoli-tematici/ si possono trovare i rapporti degli otto Tavoli tematici dell'Assemblea del 4-5 febbraio a Bologna; basta dare loro un'occhiata per rendersi conto dei contenuti teorici e pratici elaborati dalle partecipanti ai vari Tavoli, che credo non potranno essere d'ora in poi più ignorati o trascurati, dato il livello di consapevolezze raggiunto.

Il lavoro messo in piedi con tanto impegno darà frutti ben oltre la data dell'8 Marzo, grazie ai contatti consolidati in questo arco di tempo.

Quello che mi sembra si possa cogliere nelle elaborazioni proposte ai Tavoli è la realtà incontestabile di un patrimonio femminista ormai consolidato negli anni, arricchito dalle riflessioni e dalle esperienze più recenti, portate avanti in tutti gli ambiti della vita pubblica e privata delle donne, e nei settori della produzione e della riproduzione.

Mi riferisco ad esempio all'affermazione di un'economista femminista, Antonella Picchio, che porta avanti il discorso nella sua produzione teorica da decenni:

"La produzione non si regge senza una massa di riproduzione che supera il pagato, la riproduzione è il grande aggregato del lavoro".

Non c'è bisogno di aggiungere altro! E' un'evidenza che non si vuol vedere!!

Non a caso tutta l'attività di riproduzione è stata definita dal sistema patriarcale attitudine naturale delle donne, tratto costitutivo della femminilità, e quindi il campo della loro realizzazione primaria.

Questo aspetto è stato comunque interiorizzato da donne e uomini, ha formato le soggettività, anche se è stato contestato in faticosi percorsi di vita individuale, perché costituisce la base del nostro sistema culturale, base sulla quale si sono costruiti tutti i discorsi scientifici e disciplinari, i valori, le fantasie, le aspettative sociali, le paure, i sentimenti e le emozioni.


Così è difficile anche per noi donne uscire dal discorso patriarcale, perché non esiste un' autenticità femminile incontaminata, ci siamo organizzate, nei millenni del patriarcato, in funzione o complementare o contrastiva con il "maschile".


Un esempio della conflittualità e contraddittorietà tra donne è l'insieme dei discorsi e delle posizioni attorno al tema della maternità, discorsi che oscillano tra l'esaltazione e la recriminazione, e attorno al concetto di istinto materno, considerato da molte e molti un universale femminile.


Succede che si consideri quasi contro-natura la donna che dichiara di non volere essere madre e si esaltino le "martiri della maternità", oblative fino alla dimenticanza di sé, per "amore" dei figli, magari trascurando il potere di ricatto sentimentale messo in atto più o meno coscientemente da molte madri oblative.

Ci si dibatte in un circolo vizioso di giudizi etici, senza riuscire a uscirne.

Succede anche che nella pratica quotidiana si continui a ostacolare, da parte delle istituzioni politiche e sociali, la possibilità di interrompere una gravidanza non voluta da parte di una donna, dopo quasi quarant'anni di esistenza di una legge che lo consente, legge comunque frutto di mediazione tra varie culture e sensibilità laiche e religiose.

E' troppo semplice attribuire l'ostilità nei confronti dell'attuazione della legge soltanto all'influenza del clero, che pure esiste, ma ha avuto meno successo ad esempio nel caso del divorzio, osteggiato dalla chiesa in tutti i modi, ma affermatosi come possibilità di scelta per donne e uomini.

C'è una resistenza più profonda rispetto alla possibilità di autodeterminazione di una donna del proprio corpo e della propria vita, resistenza che affonda nel sostrato profondo della nostra cultura d'origine.

Il femminismo si è proposto di trovare le strade per uscire da questa situazione, da questo circolo vizioso.

Non mi illudo che in Italia, e negli altri paesi dove è stato proclamato lo sciopero, milioni di donne interrompano le attività lavorative e soprattutto quelle riproduttive, chi abbandona i bambini piccoli, i malati o le persone anziane, il lavoro magari precario, per un'intera giornata?

Ci sarà chi dedicherà qualche ora a qualche manifestazione, magari dopo aver accompagnato i figli a scuola!

Chi eviterà magari di cucinare, sempre se non ci sono bambini in giro, uscirà e parteciperà a qualcuna delle molte iniziative organizzate nelle città.

Prevedo un'alta partecipazione di pensionate, sempre che non abbiano nipotini a carico o possano contare sulla disponibilità del loro compagno a svolgere l'attività di cura.

Comunque sia sarà un successo per la visibilità dei temi inerenti il rapporto uomo donna, finalmente usciti dalle singolarità delle case, delle riviste, dei Centri e dei luoghi di incontro delle donne, dove hanno continuato a essere analizzati nel corso degli anni, per confluire in un momento collettivo di presa di coscienza e di formulazione di proposte.





domenica 5 febbraio 2017

Alleanze di corpi per lo Sciopero globale delle donne



La situazione sociale e politica attuale nazionale e internazionale appare particolarmente ricca di eventi, e per questo interessante, ma risulta anche appesantita da identitarismi risorgenti, più o meno mascherati, identitarismi (uso un –ismo per accentuarne la natura ideologica) imbracciati come armi da quanti/e si definiscono oppositori/trici del sistema dato, contro chi non condivide esattamente le stesse tattiche e strategie di lotta.
Una situazione costellata di istanze moralistiche, di fondamentalismi laici e religiosi, di divisioni tra soggetti e formazioni che avrebbero interesse a allearsi in prospettiva di cambiamenti e che invece confliggono aspramente tra loro.

Butler nel suo libro di imminente uscita in Italia  L'alleanza dei corpi, a cura di F. Zappino, ed. Nottetempo, 2017 affronta Il rapporto tra la performatività del genere e la precarietà delle vite concrete di uomini e donne con considerazioni che contemplano la possibilità di alleanze tra soggetti antagonisti, salvaguardando la dimensione soggettiva di ciascun*, propone infatti l’autrice di pensare
"....cosa significhi, politicamente, vivere insieme, attraverso le differenze, talvolta in una prossimità che non è frutto di una scelta deliberata, specialmente in quei casi in cui vivere insieme, per quanto difficile, resta un imperativo etico e politico. La libertà, d’altronde, è qualcosa che si esercita il più delle volte insieme agli altri, e non necessariamente in modo unitario o conforme. Tale esercizio non presuppone né produce un’identità collettiva, quanto, piuttosto, un insieme di possibilità e di relazioni dinamiche che includono forme di supporto reciproco, conflitto, rotture, gioia, solidarietà." (1)

In particolare mi sembra che le lotte delle donne degli ultimi mesi abbiano fatto registrare picchi di visibilità e risultati tali da spaventare i fautori dell’ordine sociale patriarcale e neoliberale, che, specie in Italia, si affannano o a tacere le iniziative di lotta, o a parlarne travisandole nei contenuti, o a catalogarle come pratiche vecchie, fuori tempo e fuori luogo.
Mi riferisco alle ultime racchiuse nello spazio di quattro mesi, a partire dallo sciopero delle donne in Polonia contro il tentativo di mettere fuori legge l’aborto e allo sciopero in Argentina contro la violenza maschile , tutti e due in Ottobre, alla Manifestazione di Roma contro la violenza degli uomini sulle donne in Novembre, fino alla Marcia mondiale delle donne, la "Women's march" , organizzata per protestare pacificamente contro le discriminazioni di genere e in favore dei diritti delle donne. Sembra siano state 670 le manifestazioni in tutto il mondo con due milioni e mezzo di partecipanti.

Da ultima l’iniziativa, che si sta preparando sempre a livello globale, di 8 Marzo Sciopero Internazionale delle Donne. Non una di meno.

Non è la prima volta che è stato indetto uno sciopero delle donne, questo dell'8 Marzo 2017 sembra poter diventare un fatto epocale per estensione della mobilitazione e radicalità dei contenuti.
Finora gli scioperi di donne che sono stati proclamati sono state iniziative confinate nei loro paesi, poco conosciute, perché i mezzi di comunicazione di massa le hanno trascurate, ma adesso lo strumento dello sciopero di tutte le attività di produzione e riproduzione svolte dalle donne è entrato nell'agenda dei movimenti di oltre trenta Stati, grazie anche alla tempestività e alla puntualità delle notizie circolanti nella rete e grazie ai contatti sperimentati in gennaio per organizzare la Women's March.
Si stanno svolgendo assemblee e incontri preparatori comuni tra donne dei diversi paesi che hanno aderito allo sciopero, in più di trenta Stati, donne impegnate nell'organizzazione sulla base della piattaforma formulata dalle argentine, per mettere a punto contenuti relativi alle specificità locali..
Lo sciopero, globale questa volta, torna ad essere uno strumento di lotta politica, contro tutti i tentativi di depoliticizzare i movimenti antagonisti e può funzionare da un momento di alleanza di tutte le nuove soggettività alternative all'attuale sistema, singole o organizzate in gruppi.

Ma mi interessa anche riflettere sulle divisioni tra donne, le più segnate da consapevolezze femministe, che si sono registrate in occasione dei recenti momenti di lotta.
La questione si fa davvero complessa per i nodi costituiti dagli interessi e dai fini eterogenei e contrastanti che confluiscono comunque nelle iniziative di massa.
Rispetto alla Women's march la situazione è stata complicata, negli USA che l’hanno indetta, dal fatto che l’opposizione al nuovo presidente, che si rivela nelle parole e nei fatti maschilista, sessista e razzista, è stata organizzata insieme alle esponenti del partito che ha perso le elezioni e ai sostenitori e alle sostenitrici di Rodhan Clinton (rappresentante del sistema neoliberista patriarcale, pronta a cavalcare istanze espresse dai movimenti femministi nella campagna elettorale), innestando in tal senso un obiettivo di natura politica distorcente e in qualche modo allontanante da una valenza femminista.
Condivisibili le critiche portate da femministe USA, e reperibili in questo articolo (2) che pongono tra l’altro l’accento sul tentativo di depoliticizzazione e di addomesticamento del femminismo attuato dall’Onu a partire dagli anni Settanta”, tentativo, spesso riuscito, da parte delle istituzioni politiche e sociali volto a trasformare le richieste più radicali avanzate dai movimenti delle donne in domande di diritti, di egualitarismo, di emancipazionismo, che migliorino il sistema, rimuovendo i tratti più penalizzanti e marginalizzanti le donne, trasformandole in un femminismo della parità. Così come ampiamente condivisibile è la critica a un’idea di Stato Nazione, da salvare e sostenere, da parte di una improponibile unità tra donne, intese come come gruppo sociale omogeneo.

Il discorso dei diritti: politici, civili, sociali e la loro estensione al massimo di persone si inserisce all’interno del sistema, per migliorarlo e quindi mantenerlo
Le donne che portano avanti il femminismo della parità, o femminismo delle pari opportunità, o femminismo istituzionale, ritengono che i problemi di relazione tra donne uomini si risolvano riconoscendo il merito delle donne in tutti i campi pubblici, oltre che nel privato.
Io credo comunque che ogni provvedimento, politica o scelta che migliori la situazione sociale e personale delle donne in generale siano ben accetti e sostengo le lotte collettive condotte dalle donne per migliorare la qualità della loro vita, in ogni campo e settore, ma ritengo che non si possa limitarsi a accomodarsi nel sistema attuale di vita e di lavoro, senza cercare contemporaneamente modi e strumenti per cambiarlo radicalmente

Un’altra divisione si è verificata al momento della Manifestazione di Roma contro la violenza sulle donne, da un lato le femministe separatiste non hanno partecipato alla manifestazione proprio per la presenza "attiva" di uomini, paventando la possibilità che potenziali o reali vittime di abusi si trovassero a sfilare insieme potenziali o reali abusanti. Sono donne contrarie a mediazioni con le istituzioni e ostili a richieste di riconoscimenti e di provvedimenti a un sistema che si basa sulla divisione patriarcale del lavoro, sulla discriminazione delle donne.

Dall’altro le femministe, anch’esse contrarie a ogni discorso "dei diritti" non hanno partecipato alla manifestazione di Roma perché troppo generica, volta a rappresentare le donne come gruppo sociale omogeneo, teso a obiettivi comuni, che cancellano le componenti di classe, etnia, religione. 
Un femminismo nel quale si è  appena tolleranti, quando non ostili, nei confronti di donne dai comportamenti non conformi, quali le trans, le sex workers,, e altre soggettività.

Divisioni che spero si superino in occasione dello Sciopero Internazionale dell’8 marzo, in nome di un femminismo intersezionale, che non cancella certo le differenze comportate dall’’appartenenza simultanea di ogni persona a diverse categorie, come il genere, la razza, la classe, la cultura, la religione, l’abilità o disabilità, l’orientamento sessuale ecc., appartenenze che determinano la specifica collocazione sociale, culturale e politica di ognuna e ognuno, ma permette "alleanze di corpi" nel senso delle osservazioni di Butler.





1 http://operaviva.info/lalleanza-dei-corpi/. L’alleanza dei corpi, Note per una teoria performativa dell'azione collettiva, febbraio 2017

 2 https://incrocidegeneri.wordpress.com/2017/01/23/marciate-in-quanto-femministe-non-in-quanto-donne/, Marciate in quanto femministe, non in quanto donne


3 Il manifesto di convocazione dello sciopero, tradotto in italiano si trova a questo indiirizzo: https://nonunadimeno.wordpress.com/2017/01/27/chiamata-allo-sciopero-internazionale-delle-donne-8-marzo-2017-di-ni-una-menos/