venerdì 3 novembre 2017

Contesto relazionale 3. Guerra e conflitto

Non è possibile, neanche auspicabile, rinunciare al conflitto, anima della democrazia, sopirlo, addormentarlo è l'obiettivo dei vari populismi che invitano ad accantonare divisioni e contrasti in vista di un noi compatto per perseguire qualche ideale politico e sociale, ma dovrebbe essere possibile rinuncia alla guerra, eppure la guerra è ormai esperienza quotidiana, diretta o indiretta di tutti noi, abitanti di questi sciagurati tempi.

Nelle zone in cui la guerra guerreggiata non c'è, perché la si esporta altrove (guadagnandoci con la vendita di armi), si sono interiorizzate immagini belliche come le uniche pratiche per raddrizzare torti, porre fine a ingiustizie, rafforzare identità pericolanti, ricompattare fratellanze in crisi, lusingare narcisismi, riconfermare nei rispettivi ruoli tradizionali e patriarcali uomini e donne.
Nulla infatti più della guerra rimette a posto il disordine sociale creatosi rispetto ai compiti e alle funzioni di genere, nulla quindi, in ultima istanza, risulta più rassicurante dinanzi ai veloci cambiamenti di mentalità, atteggiamenti, comportamenti e costumi.

Forse è proprio questo il potere ipnotico della guerra su uomini e donne, non si spiega altrimenti la facilità con la quale moltitudini di persone si lasciano manipolare dai propri governanti e condurre a guerre sanguinose, pur conoscendone i rischi e gli orrori.

Gli uomini -guerrieri- rischiano la vita per la difesa di valori, persone, beni, ideali civili e/o religiosi, riconquistando una centralità e un'autorità che sentono messa in crisi dai tentativi di sottrarsi alla permanente subordinazione sociale e culturale da parte delle donne.

Le donne, in attesa del ritorno dei loro eroi da curare nel fisico e nello spirito, si attivano a ripulire ambienti, liberare luoghi fisici e mentale dalle macerie, ricostruire reti di solidarietà e relazione, e in questi momenti trovano riparo dalle fatiche di conquistare un'autonomia di pensiero e azione e dal senso di impotenza che spesso grava sulle spalle di chi intraprende questo percorso.

Il destino femminile, interiorizzato nell'educazione di genere, ritorna a essere risorsa sociale, collettiva e individuale, fattore di esaltazione e riconoscimento sociali, altrimenti negati.

Purtroppo concorrono all'incantamento nei confronti della guerra anche le narrazioni costanti del nostro passato collettivo e individuale, che pongono l'accento soprattutto su eventi bellici, pur mostrandone gli orrori, ma presentandoli come ineliminabili, quasi fossero tratti di specie, oscurando il fatto che molti conflitti furono risolti attraverso mediazioni, dialoghi, scambio di pensieri e parole tra uomini, e anche donne.

Innamoramento per la guerra, dicevo, che tacita ogni conflitto sociale e politico.

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