martedì 28 maggio 2019

Racconti della non località



La maschera

Cammina sull’argine sterrato del lago, oasi di riparo per uccelli di passo, immersa nei pensieri, nelle ansie, nelle abituali inquietudini. Rare bici la sfiorano, la sorpassano con il loro passo ritmato i camminatori, intenti alla corsa quotidiana, soprattutto uomini. Non può fare a meno di considerare quanto l’età renda più fragili non solo il fisico, ma anche la psiche.
Anni prima non temeva di andare da sola, a notte piena, sulla circonvallazione, armata di una tannica vuota, a cercare un distributore di benzina aperto, erano altri tempi, non ancora alimentati d
ai continui allarmi sulla sicurezza sparsi a piene mani da tutti i mezzi di comunicazione. Ora non può evitare di pensare che è una donna sola, in un luogo isolato, in mezzo a un bosco, da una parte l’acqua e il canneto, dall’altra l’intricato fogliame, consapevole che neppure l’età la risparmierebbe da una eventuale aggressione sessuale, anche se in un pomeriggio inoltrato.

Le fronde degli alberi stormiscono leggermente, ogni tanto un’anatra pare scoppiare in una risata, l’aria immobile l’avvolge come una cappa.
Una figura le viene incontro, alta, vestita con un cappotto nero lungo fino ai piedi, stivali neri, sul viso una maschera di lupo, non quelle di cartone che si indossano a carnevale o a Halloween, ben più raffinata, di una consistenza simile alla pelle, con una folta morbida peluria bianca e nera ai lati della bocca, dotata di denti aguzzi.
Quello che incanta è lo sguardo, due occhi di ambra chiarissima, che sembrano leggerle nei pensieri.
Un lieve cenno del capo di saluto e un gesto con la mano guantata che le propone di fare un tratto del sentiero insieme.
La diverte la coincidenza che il giorno precedente ha partecipato a una festa cittadina in maschera, molto ricca di travestimenti, anche da lupo, ma nessuno poteva paragonarsi a quello che le si è parato davanti.
Il fascino che gli occhi sprigionano e soprattutto il silenzio che accompagna la proposta la convincono ad accettare l’invito, la passeggiata riprende, lentamente.

La presenza così discreta e silenziosa, unita alla profondità dello sguardo indagatore, hanno su di lei un effetto tranquillizzante; comincia a sentirsi protetta da quel casuale accompagnatore, o accompagnatrice. Si sorprende a raccontare di sé, dopo le prime considerazioni sul tempo e sul luogo, a una persona che mai più incontrerà, qualcuno che in quel momento è assorbita totalmente da lei e dalle sue parole.
Si snodano le riflessioni su quello che le piace, che le sarebbe piaciuto, che la turba, espresse con una libertà raramente provata nei discorsi con amici e amiche.
Vorrebbe un cenno di riscontro, un gesto della testa o delle mani, di reazione alle sue parole, la sgomenta un po’ non capire almeno se sorride, se si annoia, solo quella costante attenzione, quegli occhi fissi .
Peccato non scambiare pensieri e opinioni. Contemporaneamente prova una sorta di compiacimento nel riuscire a tenere così desta l’attenzione di un’altra persona, donna o uomo che sia.

Arrivata al bivio del sentiero che porta in paese, quasi rammaricata della fine della passeggiata, gli/le porge la mano in segno di saluto, e si sente afferrare in una morsa ferrea.
Sorride, tenta di liberarsi senza riuscirvi, cerca nello sguardo un segno di comunicazione ma si trova davanti a due occhi freddi nella loro trasparenza, privi di espressione.
Assalita dal panico cerca di divincolarsi, i denti aguzzi da lupo affondano nel suo collo.

venerdì 24 maggio 2019

Racconti della non località



Desideri


La mattina si presenta fredda ma limpida; finalmente un giorno in armonia con l’immagine interiore della stagione, allora è tutto in ordine, la giornata scorrerà tranquilla.
Da quando ha smesso di lavorare si alza serena, può indugiare nel ricordo dei sogni appena fatti, le sensazioni sono le stesse di quando era bambina, ma ora non può evitare di interrogarsi non sul significato, ha imparato che un sogno vuol dire qualcosa e il suo contrario, ma sullo stato d’animo che l’ha determinato.
Solamente rimpiange la perdita della magia di allora.

Nel parcheggio del Porto Antico c’è posto, l’incontro con Mirko la turba un poco; perché poi vedersi in un luogo così denso di ricordi da mettere a rischio l’autocontrollo, che pena sarebbe essere tradita dall’emozione.
Si rimprovera la sua solita resistenza a rifiutare inviti rivolti con gentilezza, l’abbandono alla tenerezza di un momento le impedisce di assecondare il proprio desiderio, come se fossero soltanto i gesti arroganti quelli in grado di suscitarle per reazione l’amor di sé.

“Sono qui da un po’, temevo non venissi più. Camminiamo verso il molo?”
“Allora, che cosa c’è? Perché siamo qui?”
“E’ una banalità dire che sei cambiata poco in trent’anni?”
“Abbastanza, ma mi sta bene lo stesso il complimento”
Il fastidio per i modi e le parole scontate non cancella del tutto il senso di leggera euforia, che la invade chissà se anche a ottant’anni sarà sensibile agli effimeri apprezzamenti dei quali, forse, sarà ancora fatta oggetto.
Non  si è ancora liberata delle insicurezze adolescenziali.

E’ in piedi su una roccia protesa nel mare, le onde si fanno più agitate a vista d’occhio, questa volta decide di scendere nell’acqua, che si rivela azzurra e calma, il mare è chiuso, senso di appagamento, eppure, un momento prima, dalla finestra della sua casa di bambina aveva guardato con timore, misto a desiderio, il mare aperto, pulsante di un moto crescente.

E’ stato piacevole ritrovarsi con un vecchio amore per una conferma, non cercata, di quanto fosse conclusa la relazione già al suo inizio. E’ stata bene, ha mangiato con appetito, chiacchierato del più e del meno, compensando, a distanza di anni, le ansie e angosce provate al tempo del suo innamoramento.

Prova curiosità per la riunione in una vecchia libreria nel cuore della città. Le ha telefonato un’amica: “ Ci rivediamo, un po’ di vecchie e un po’ di giovani che vorrebbero conoscerci. Hanno letto qualche libro, ma non hanno capito molto, non c’è niente in giro in grado di trasmettere davvero quello che è successo trent’anni fa. Quando vengono in libreria parliamo un po’, mi hanno quasi costretto a vederci, non ho saputo dire di no, si tratta di un paio d’ore. Vieni anche tu.”
Perché no, le piace sempre incontrare persone; quando lavorava si trattava di incontri obbligati, ora le sembra un lusso scegliersi le situazioni, anche quando si rivelano poco interessanti.

Si è rammaricata per anni di non avere avuto figli, prima era troppo occupata con il lavoro, l’amore, i viaggi, poi, quando ha deciso di fermarsi e provare non sono venuti. Chissà come sarebbe andata se avesse fatto coppia stabile con una donna, avrebbero deciso e ottenuto di avere figli? Si sarebbero trovate insopportabili l’una con l’altra, salvo aiutarsi –dovere o piacere- in caso di reciproco bisogno? Oppure avrebbero condiviso serenamente le loro condizioni di bambine-ragazze –giovani donne e donne adulte, scambiandosi pensieri, esperienze e amore?

Il vano sul retro della libreria, metà magazzino e metà soggiorno  con una ventina di seggiole in legno, è confortevole, una decina di donne lo occupa, non si è perduta l’abitudine di portare qualcosa, una scatola di biscotti, salatini, acqua minerale, c’è anche una bottiglia di bianco, secco.
Saluti, presentazioni, l’inevitabile imbarazzo del prendere la parola. La più disinvolta, laureata in ingegneria meccanica, lavora in una multinazionale di progettazione di impianti idraulici per usi industriali, rompe il ghiaccio.
Fino ai vent’anni non si è interessata ai discorsi delle donne sulle donne, al liceo ha vissuto in classe una situazione di eccellenza femminile. Apprezzata da insegnanti e studenti, ammirata e corteggiata, a volte è corsa in aiuto di ragazzi timidi e miti, maltrattati da coetanee in mille modi. All’università è stata sempre tra le migliori, ha studiato senza eccessivi tormenti e patimenti.
Ha confortato amici inconsolabili, piantati all’improvviso dalle rispettive fidanzate, molto più numerosi gli abbandonati che non le abbandonate.
E’ proprio una donna nuova, emancipata, lontana, per quanto le è possibile, dal lavoro di cura, autostima senza superbia, rapporti franchi con uomini e donne, individua con precisione e rapidità il proprio desiderio riguardo a persone, oggetti, situazioni.
Mentre lei, pur con il pallino dell’emancipazione in testa fin piccola, ha scelto una professione che è  pur sempre un’estensione del lavoro di cura.

Un misto di ammirazione e di angoscia la invade, se non si fosse lasciata andare all’automoderazione, se si  fosse ascoltata con maggiore attenzione, chissà quale sarebbe stata la sua vita. A dieci anni, quando aveva conosciuto a scuola la chimica, aveva deciso che avrebbe studiato chimica industriale, per andare a dirigere un' azienda nel deserto. Questo ha sostenuto per tutte le medie e il liceo. Al momento di iscriversi all’Università si è iscritta a Lettere.

Si sente rincorrere mentre si avvia verso casa: “Non ho avuto modo di dirlo prima, parlavamo tutte insieme, volevo dire che vi ammiro molto, voi di una certa età, avete vissuto in momenti più difficili di noi, minori libertà di costumi e maggiori difficoltà ad affermarvi nel lavoro. Ma siete state così brave a riconoscere i vostri desideri, che siete riuscite a ottenere quello che volevate. Vi invidio anche un po’, io ho buon lavoro e soddisfazioni nella vita, ma volte mi sembra di lasciarmi un po’ troppo trasportare dalla corrente, dal momento, dalle aspettative degli altri. Credo di non avere la vostra forza di volontà e determinazione”.

mercoledì 22 maggio 2019

Racconti della non località



Distorsioni

Impegnata a sistemare nel bagagliaio dell’auto una scatola tra valigie, sacche e borse non si accorge dell’uomo fermo dietro di lei, immobile tranne che per il pomo d’Adamo che sale e scende a in modo rapido. Si volta con un breve sorriso che accompagna uno sguardo interrogativo, l’uomo si riscuote e passa oltre, senza parlare, come preso da urgenza.
 Tra una divagazione della mente e l’altra ripensa a quando ha rischiato di esporsi a sguardi indiscreti per quell’azzardo sporadico, oscillante tra spavalderia e ritegno, di girare in minigonna senza slip.
Ma forse l’ha immaginato, o l’ha sognato.

Al lavoro non ama distrazioni che non siano l’abbandono al fiume sotterraneo di pensieri-emozioni nel quale immergersi e nuotare, ogni tanto.
Si racconta storie delle quali è protagonista, sorride o rabbrividisce durante la narrazione.
Nessun disturbo o interruzione, all'esterno, osservando attraverso il vetro opalescente dell’ufficio, sembra si stia svolgendo qualcosa che non può essere interrotto.
Quando riemerge constata con soddisfazione di aver ha ampliato per qualche tempo l’arco di vita.

Desidera con forza essere apprezzata, un po’ temuta anche, a volte si chiede quanto influisca sull’ammirazione che ricerca con meticolosità, l’aspetto fisico, o l’intelligenza esibita senza arroganza, la cortesia dimostrata nelle relazioni anche occasionali, la competenza nel suo lavoro
Non sa se preferisce gli uomini o le donne.

Nuota nell’acqua trasparente e calda, quasi immobile, sul fondo un giardino con fiori dal colore acceso; peccato per quel portone di vecchio legno, poggiato sul mare, largo quanto l’orizzonte, che impedisce il passaggio. Sa che dall'altra parte ci sono persone che vorrebbe raggiungere, soprattutto una, di cui sente la voce, ma non trova un varco.

Teme che il mare aperto sia mosso, e indugia al di qua del portone.

Al risveglio si rammarica

martedì 21 maggio 2019

Racconti della non località

Tavola imbandita thailandese



La panetteria-focacceria  è piena di clienti,  le commesse  ora  con  una battuta in dialetto ora con  un’osservazione sul tempo , contengono  l’inquietudine che comincia a serpeggiare per  lo scorrere dei minuti..
Le forme di pane croccante sulle  mensole infarinate,  le teglie di focaccia oleosa e profumata di salvia e cipolle rallegrano occhi, solleticano nasi e smuovono salive; è l’ultima fermata questa, tutto il necessario per la cena è stato comprato,  non è ancora mezzogiorno e fino alle  otto di sera ci sarà il tempo per prepararla con calma.
Il vento, all’uscita del forno, investe di un profumo di mare selvaggio non ancora addomesticato  dai languori  fruttati  e appiccicosi degli oli e delle creme solari.
Nel tratto verso casa, ripassato l’ordine delle portate, comincia a pensare a come apparecchiare.
Negli ultimi tempi è frequente  il desiderio di stupire amiche e amici imbandendo  la tavola secondo stili tradizionali di cucine orientali, ci starebbe bene lo stile cinese questa sera, che però richiederebbe cibi difficili da preparare per adattarli al vasellame;  vada allora per lo  stile thailandese;  le scodelle con i piatti rettangolari, le tovagliette in bamboo,  le mini-salsiere  smaltate a colori vivaci, le  due composizioni di fiori al centro del tavolo  diffonderanno buonumore, unica eccezione l’assenza dell’altarino a Buddha, questo proprio non lo prevede.
Contamina la scena  con gli  amati centrini di pizzo, regalo della nonna  centenaria.

Abbandona malvolentieri  i caruggi per tornare a casa, gli alti edifici che sembrano congiungersi  verso il cielo assicurano protezione  mista a quel senso di trasalimento consueto ogni volta che svolta  un angolo, nell’attesa –timore di incontrare l’imprevisto.
Sensazione analoga a quella provata nel ricorrente sogno di discesa in una cantina  buia, dal pavimento sconnesso, dai muri sgretolati, resa affascinante  dai percorsi  labirintici che conducono  all’incontro con il mostro da combattere, ogni volta presentito e mai incontrato.

Mentre dispone i piatti in lavatrice riflette sulla propria fragilità emotiva,  responsabile dell’agitazione mantenuta tutto il giorno. Dono recente  della raggiunta maturità, che si traduce in  ansia da prestazione, in questo caso appena mitigata dalla consapevolezza della  consolidata esperienza culinaria. Neppure un’eventuale mancanza di tempo giustificherebbe l’insicurezza che ormai l’accompagna sempre più frequentemente. Da quando  ha lasciato il lavoro il tempo non è più un problema oggettivo.

Un improvviso scarto, un soprassalto, un odore pungente di benzina, il motore sputacchia e si spegne, meno male che è in vista della terra, dopo tanti giorni di permanenza in altomare, ci sarà forse da pulire il carburatore. Ancora.

Racconti della non località

Amnesie

Si risveglia con un piacevole senso di riposo. Nessuno dei fastidiosi dolori che l'hanno afflitta da giorni, solo un leggero reumatismo a un ginocchio e una nevralgia agli occhi.
Si sente come se avesse dormito per parecchi giorni di seguito.
Breve sosta in bagno prima del caffè, si incanta davanti al grande specchio sul lavandino che le rimanda un'immagine assolutamente estranea.
Chiude gli occhi, è ancora addormentata, il mattino le ci vuole un po' per mettere a fuoco, ma quando li riapre scorge un viso allarmato, sconosciuto che la fissa a bocca aperta.
Impossibilitata a muoversi chiama il marito, che, abituato alle sue richieste di aiuto accorre, più assonnato di lei, sulla porta del bagno.
“Guardami, cosa mi è successo? “
“Mah, non so, mi sembri solo un po' strana, stai bene?”
“Guardami, non sono più io!”
"Andiamo a fare colazione, che devo uscire presto stamattina”.
Non è lei e basta

Caffè silenzioso, cerali, yogurt.
Lui esce di casa per primo, lei telefona al lavoro per prendere un giorno di malattia.
Davanti allo specchio cominciano le palpitazioni, ci manca anche un attacco di panico.
Ripensa all'Asino d'oro, non le è mai piaciuto molto, né a scuola né in seguito, ma lì la situazione era diversa, una vera e propria metamorfosi.
Decide di uscire, confidando nel fatto che non venga i mandato a casa il medico fiscale, la sua assiduità al lavoro la rassicura.

Per strada la ignorano, nei negozi soliti la salutano frettolosamente come fanno d'abitudine, un'osservazione sul tempo e un augurio di buona giornata.
Si chiede spesso da dove sia arrivata quell'espressione distratta, che detesta, teme di ritrovarsi un giorno ad usarla anche lei inavvertitamente.
Non incontra nessun amico, né amiche; mentre cammina sbircia furtivamente nelle vetrine, sagoma e portamento sono i soliti, pensa che dovrebbe perdere qualche chilo, in vista dell'estate, ma rimanda ancora l'inizio di una dieta ipocalorica, sul viso non ci siamo però.
Non è lei e basta.

Decide di telefonare a Claudio, è un po' che non si sentono, vince il leggero senso di imbarazzo che coglie quando si è appena chiusa una storia e non ci si è ancora accomodati nella dimensione di ex, si è però rimasti amici perché entrambi senza rimpianti.
Claudio è libero per una colazione veloce, solito piccolo ristorante, discreto e defilato.
Lo sguardo che l'avvolge è di sorpresa ammirazione, non sembra lei, è più giovane, più bella, radiosa, quasi quasi vien voglia di ricominciare a corteggiarla.
Non c'è verso di smuoverlo dalla sua aria di piacevole sorpresa, accompagnata da lampi di sguardi ammiccanti.
Le ripetute affermazioni di lei di vedersi diversa, irriconoscibile, estranea lo divertono all'inizio, a poco a poco matura in lui l’interesse per una nuova dimensione di rapporto, un gioco di ruolo?
Attirato dalla prospettiva di inediti incontri sessuali si eccita, si fa insistente.
Dopo un attimo di sbalordimento lei si rende conto che in questo momento per lui si tratta solo della proposta di un gioco erotico.
Si alza dal tavolo e esce furiosa dal ristorante.
Non è lei e basta.

lunedì 20 maggio 2019

Racconti della non località



Metropolitana


Accidenti, ho saltato la fermata. Con tutta questa gente, siamo come sardine in scatola. Usate i mezzi pubblici, sì se non fossero così pieni.

Che strano, non capisco dove siamo, si vede che in metro non potendo cambiare i percorsi cambiano i nomi delle stazioni. Che voglia di attraversare i binari per andare dall’altra parte e tornare indietro, ma mi spaventa l’idea di toccare per sbaglio la rotaia elettrica, comunque qui siamo in un tunnel e non si vede l’altra banchina.

C’è un unico corridoio e in fondo un’uscita, senza indicazioni stradali, solo una breve scala.

Chissà dove sono finita, per un attimo mi sembra di essere nel mio sogno, ricorrente ormai da tempo, dello spaesamento in una zona che non riconosco, anche se non dovrebbe essere lontana da casa. Nel sogno non c’è nessuno a cui chiedere informazioni, qui ci sono persone ma non voglio, mi basterebbe anche cogliere il numero di un autobus per orientarmi sulla mappa.

Ecco fatto, oggi sono senza cellulare. Telefoni pubblici non ci sono più in giro. Ansia. Da che parte vado? Cerco nei dintorni l’altra entrata della metropolitana, ma non la vedo, c’è solo quella dalla quale sono uscita. Di solito a questo punto mi sveglio, oggi no.

Prendo una direzione qualunque, un viale alberato, panchine e cartacce per terra, lasciate da chi ha mangiato. Sono anni che non ho attacchi di panico, ma il ricordo resta vivo, se ci penso mi viene, mi siedo e comincio una respirazione controllata, quella che uso nei momenti di insonnia o di claustrofobia. Funziona, i battiti del cuore rallentano. Non so che ore sono, senza cellulare, ma sta diventando buio, tornerei a casa, se sapessi la direzione da prendere. I passanti si fanno più radi.

L’unica soluzione è tornare in metro, prima o poi incontrerò un controllore a cui chiedere lumi.

Ripercorro la strada fatta, arrivo davanti alla stazione, è quella successiva alla mia fermata perduta prima. Scendo i gradini, c’è il via vai delle ore di punta, chi si affretta da un lato delle scale, chi dall’altro.

Ormai il mio programma è saltato, entro a stento in un treno strapieno, diretto verso casa mia.

Con tutta questa gente, siamo come sardine in scatola. Usate i mezzi pubblici, sì se non fossero così pieni.

venerdì 10 maggio 2019

Patriarcato e capitalismo, due facce della stessa medaglia

Una delle acquisizioni più importanti del femminismo degli anni Settanta è che considerare le donne soggetti al pari degli uomini in ogni ambito di vita e di  pensiero, smettendo di rappresentarle interne alla categoria di umanità declinata al maschile inteso come neutro universale, ha costretto a confrontarsi con le parzialità che costituiscono l'umanità, a partire dalla distinzione tra donne e uomini. Questo ha implicato una rivoluzione di sguardi, punti di vista, convinzioni accettate da tempi immemorabili, certezze consolidate. sicurezze assimilate oltre che nella vita quotidiana, nella vita pubblica e sociale, nei campi e settori di studi e ricerche, nei conflitti e nelle lotte.

Il  lavoro produttivo è strettamente intrecciato con quello riproduttivo, ma le due sfere sono state separate dalla divisione patriarcale del lavoro:: alle donne la sfera della riproduzione corrispondente alle loro attitudini e capacità e agli uomini quella della produzione, altrettanto corrispondente alle supposte loro qualità, percepite come "naturali". 
La soggettività delle donne si è storicamente plasmata nelle attività di accudimento di persone e animali, di raccolta e preparazione di cibi,  di riparazione e mantenimento d oggetti e ambienti; il riconoscimento e l'apprezzamento di familiari e estranei, quando c'era, compensava dell'insignificanza sociale caratteristica della maggioranza delle donne, l'alibi generale era costituito 
dal  fatto che le loro fatiche erano  dettate dall'amore, l'arma potente di assoggettamento delle donne, , Quando pi le  attività di cura entrano nel  mercato sono pagate poco e svalutate socialmente.
Analogamente la soggettività maschile ha assunto caratteristiche "adatte" alla produzione, alla politica, alle  istituzioni, senza doversi preoccupare delle attività riproduttive, consegnate totalmente  alle donne. Questo impoverimento  psichico e fisico degli uomini è diventato una causa della loro fragilità complessiva, che sfocia in molti casi in violenza e prepotenza.

Il mondo della produzione, così come si è venuto configurando negli ultimi tre secoli, è stato egemonizzato da un sistema economico-sociale, il capitalismo, che ha puntato esclusivamente all'incremento dei profitti dei maggiori detentori dei mezzi di produzione. e ha estratto ricchezza oltre che dalla forza-lavoro impiegata,  anche dalle attività di riproduzione erogate dalle donne in tutto il mondo, con carichi di lavoro diversi a seconda delle situazioni economiche e sociali. Accanto a questo il capitalismo, nelle sue varianti nel tempo e nello spazio, ha saccheggiato fino all'inverosimile  terre, acque, animali e piante. 
Il mondo della riproduzione è stato pretestuosamente offerto come contrapposto, pertanto è stato idealizzato come luogo appagante e  irenico,  il luogo dell'affetto disinteressato, dove ritemprare le forze e le energie spese nelle attività pubbliche. 
In questo consiste l'intreccio attuale tra capitalismo e patriarcato. 

Negli ultimi decenni si sono prodotti molti cambiamenti sia nel mondo della produzione che della riproduzione,  conseguentemente alle trasformazioni sociali, nel primo caso la femminillizzazione del lavoro ha esteso anche agli uomini la pretesa  che siano messe a disposizione  attitudini e capacità tradizionalmente maturate dalle donne nell'ambito domestico, fino a arrivare alla richiesta di lavoro gratuito; nel secondo caso si sono moltiplicati episodi  di manifestazione delle forze distruttive operanti anche all'interno delle famiglie, in ragione della maggiore autonomia e indipendenza di giudizio voluta dalle donne che ha messo a nudo la fragilità degli uomini. Al mutare delle condizioni storiche non corrisponde un altrettanto veloce cambiamento di mentalità, di sensibilità, di comportamenti. La forza di inerzia del modello dominante prolunga certe posizioni mentali, anche quando vengono meno le condizioni materiali che l' hanno prodotto. 

Ecco perché per cambiare alle radici il sistema di produzione e riproduzione che ci affligge occorre lottare contro il patriarcato, che è un suo potente sostegno e viceversa per rovesciare il patriarcato occorre abbattere il sistema economico che  vi si è intrecciato; non sono possibili scorciatoie.
Quindi occorre affiancare alle lotte sociali per modificare il sistema di produzione  e di riproduzione le battaglie culturali per l'eliminazione degli stereotipi di genere, che derivano dalle immagini interiorizzate della relazione donne e uomini, che sono i principali fattori dell'inerzia linguistico-mentale Il cambiamento delle condizioni materiali di vita poggia anche sulle modificazioni della autorappresentazione di sé di donne e uomini. Una strategia per sminuire la lotta agli stereotipi di genere, specie quelli presenti nella lingua usata quotidianamente, è la tendenza a rubricarli nella dimensione della political correctness, come se si trattasse di  un diritto civile  tra gli altri, svuotandola della carica eversiva culturale e sociale della quale è invece  portatrice.