martedì 21 maggio 2019

Racconti della non località

Tavola imbandita thailandese



La panetteria-focacceria  è piena di clienti,  le commesse  ora  con  una battuta in dialetto ora con  un’osservazione sul tempo , contengono  l’inquietudine che comincia a serpeggiare per  lo scorrere dei minuti..
Le forme di pane croccante sulle  mensole infarinate,  le teglie di focaccia oleosa e profumata di salvia e cipolle rallegrano occhi, solleticano nasi e smuovono salive; è l’ultima fermata questa, tutto il necessario per la cena è stato comprato,  non è ancora mezzogiorno e fino alle  otto di sera ci sarà il tempo per prepararla con calma.
Il vento, all’uscita del forno, investe di un profumo di mare selvaggio non ancora addomesticato  dai languori  fruttati  e appiccicosi degli oli e delle creme solari.
Nel tratto verso casa, ripassato l’ordine delle portate, comincia a pensare a come apparecchiare.
Negli ultimi tempi è frequente  il desiderio di stupire amiche e amici imbandendo  la tavola secondo stili tradizionali di cucine orientali, ci starebbe bene lo stile cinese questa sera, che però richiederebbe cibi difficili da preparare per adattarli al vasellame;  vada allora per lo  stile thailandese;  le scodelle con i piatti rettangolari, le tovagliette in bamboo,  le mini-salsiere  smaltate a colori vivaci, le  due composizioni di fiori al centro del tavolo  diffonderanno buonumore, unica eccezione l’assenza dell’altarino a Buddha, questo proprio non lo prevede.
Contamina la scena  con gli  amati centrini di pizzo, regalo della nonna  centenaria.

Abbandona malvolentieri  i caruggi per tornare a casa, gli alti edifici che sembrano congiungersi  verso il cielo assicurano protezione  mista a quel senso di trasalimento consueto ogni volta che svolta  un angolo, nell’attesa –timore di incontrare l’imprevisto.
Sensazione analoga a quella provata nel ricorrente sogno di discesa in una cantina  buia, dal pavimento sconnesso, dai muri sgretolati, resa affascinante  dai percorsi  labirintici che conducono  all’incontro con il mostro da combattere, ogni volta presentito e mai incontrato.

Mentre dispone i piatti in lavatrice riflette sulla propria fragilità emotiva,  responsabile dell’agitazione mantenuta tutto il giorno. Dono recente  della raggiunta maturità, che si traduce in  ansia da prestazione, in questo caso appena mitigata dalla consapevolezza della  consolidata esperienza culinaria. Neppure un’eventuale mancanza di tempo giustificherebbe l’insicurezza che ormai l’accompagna sempre più frequentemente. Da quando  ha lasciato il lavoro il tempo non è più un problema oggettivo.

Un improvviso scarto, un soprassalto, un odore pungente di benzina, il motore sputacchia e si spegne, meno male che è in vista della terra, dopo tanti giorni di permanenza in altomare, ci sarà forse da pulire il carburatore. Ancora.

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