lunedì 9 dicembre 2019

Scorza





Scorza

L’aveva conosciuta durante una gita scolastica al Museo del Deserto, a Tucson, due ore di viaggio in autobus, una breve sosta all’ingresso e poi via tra sentieri costeggiati da jumping cholla, grande il divertimento di fronte agli sforzi di turisti imprudenti alle prese con i ciuffi spinosi e dispettosi, all’inizio ridevano, dopo un po’ rimanevano sconcertati dal fatto di non riuscire di scuoterli via dalla stoffa, infine spazientiti e allarmati si guardavano le mani doloranti, piene di invisibile spini.

L’unico momento noioso della mattinata sarebbe stato la conferenza sui rettili, nella sala grande del Teatro, tappa obbligata del viaggio di istruzione, invece il Mostro di Gila l’aveva incantato. Appoggiato sul banco, molestato dal bastone brandito dall’erpetologa, che sollecitava i suoi lenti movimenti, lo rivoltava, lo pungolava per mostrare a un pubblico per metà affascinato e per metà disgustato la potenza delle mascelle, la lunghezza degli artigli arcuati, le squame della scorza dai brillanti colori aposematici, nero e giallo, con sfumature arancio, un Mostro così inerme di fronte a chi sghignazzava, chi mostrava orrore, chi lo irrideva, gli aveva fatto pena.

Gli risuonarono nelle orecchie per giorni le parole della donna che aveva illustrato la pericolosità del veleno, la presa dei denti incurvati, che si incastrano nella carne della vittima, senza che si riesca a allentare il morso, che aveva elencato, con un po’ di enfasi a suo giudizio, il numero di persone morte per il veleno e quelle sopravvissute, perché curate in tempo, ma a lungo in preda a atroci dolori.

Ne aveva parlato in casa, l’unico che si era interessato era stato il nonno, che ricordava i racconti dei vecchi ascoltati  quando era bambino  nella riserva nella quale era nato e cresciuto, storie popolate di Mostri di Gila che sputavano veleno contro i malcapitati che li incontravano, che uccidevano con il respiro chi passava accanto a loro senza accorgersi della presenza su un albero, sotto un cespuglio, dietro un cactus.

Ne aveva studiato sull’Enciclopedia il nome scientifico, Heloderma suspectum, l’habitat, le abitudini di vita, e aveva scoperto con quante esagerazioni e inesattezze fosse stato presentato al Museo un animale timido, che sta spesso nascosto, difficile da incontrare se non di notte o di mattina presto. Non risultavano neppure persone morte a causa del suo veleno, unica verità il dolore acutissimo e lo stato di intossicazione che provoca e  che richiede terapie tempestive e intensive in ospedale.

Negli anni si si era convinto che il Mostro del Museo fosse un esemplare femmina, qualche volta immaginava che fosse riuscita a fuggire dall’orrida erpetologa e si fosse rifugiata nel deserto circostante..

Aveva fantasticato di andare a rintracciarla, poi le vicende della vita l’avevano distolto dal proposito.

Infine vecchio e malandato, ormai in pensione decise di inoltrarsi nel deserto intorno a Phoenix, luogo consueto di passeggiate, scampagnate, biciclettate, prima con i compagni di scuola, poi con figli e infine con nipotini, per vedere almeno un esemplare fuori di cattività.
Scelse una mattina molto presto, si mise grossi scarponi, cappello, guanti e giacca di pelle, si armò di un robusto bastone per estrema difesa,  abbandonò i sentieri e le vie principali, consigliati dalle guide turistiche, per inoltrarsi tra cespugli, rocce e saguari, percorsi sempre accuratamente evitati fino ad allora.

Circondato dal silenzio, rotto da qualche fruscio e sibilo, cammina circospetto rischiando di inciampare in qualche radice affiorante dal terreno, di scivolare su un masso poco stabile, si azzarda perfino a scostare qualche grossa pietra, con grande circospezione, malgrado l’ora quasi antelucana non incontra nessun Mostro.

Stanco, deluso e affamato, si siede su una roccia, per mangiare il panino prima di tornare a casa, al momento di rialzarsi cerca con la mano il bastone che ha appoggiato per terra accanto a sé e viene colto da un dolore acuto, per mangiare si è tolto i guanti, distrattamente non se li è rimessi per  prendere il bastone. Il dolore si irradia immediatamente in tutto il corpo, un grosso Heloderma suspectum ha tra le mascelle metà del suo polso.

Per sua fortuna i figli l’hanno quasi costretto a indossare un telefono salvavita, con localizzatore incorporato, e pulsanti collegati al suo ospedale di riferimento e ai loro cellulari, non ne voleva sapere, ma ultimamente  si era reso era necessario per l'aggravarsi del diabete.

Spingere il bottone fu l’ultimo gesto prima di crollare svenuto per lo spavento e il dolore.

Si risvegliò dopo tre giorni di terapia intensiva, aveva camminato molto, ma fuori dei sentieri consigliati si era aggirato senza accorgersene in un’area  non distante dall'ingresso principale, i soccorsi dall’ospedale erano giunti in pochi minuiti.

Al momento della dimissione il medico del reparto, che nei giorni di degenza l’aveva sottoposto ai controlli periodici, gli disse che misteriosamente risultava guarito completamente dal diabete.

Non riuscivano a capacitarsene, non era mai accaduto che un diabete in fase così avanzata sparisse improvvisamente,  gli consigliavano di continuare a controllare con regolarità la glicemia, per vedere se fosse uno fenomeno occasionale o permanente.

Allora ricordò che nei racconti dell’infanzia accanto alle storie dei Mostri di Gila assassini, ce ne erano altre che invece narravano dei loro poteri curativi, poteri sciamanici,  che a volte esercitavano misteriosamente

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