Circola in rete da qualche giorno un articolo della filosofa femminista statunitense Nancy Fraser dal titolo: Modaiolo e neoliberista, il femminismo ci ha tradite.
L''articolo riscuote consensi, specie tra donne, e commenti del tenore: finalmente! quasi si svelasse una verità finora negata.
Mi viene il dubbio, leggendo qualche commento, dubbio legittimato dalla frase: "non leggo tutto l'articolo della Fraser perché non ho tempo, ma sulla base della mia esperienza lavorativa, ha ragione" (!!!) che questo attacco sottintenda un tentativo di normalizzazione in atto, donne tornatevene ai vostri ruoli, l'illusione è finita..
Come sempre siamo in ritardo, questo articolo è apparso nel 2013 sul Guardian, è stato commentato, e ha avuto anche qualche risonanza mediatica.
La descrizione delle conseguenze del femminismo in prospettiva emancipatoria è condivisibile, infatti Fraser esordisce nel suo articolo: Come femminista ho sempre pensato che, combattendo per l’emancipazione delle donne, stavo anche costruendo un mondo migliore, la conclusione è che così non è stato, che anzi l'identitarismo di genere perseguito da molte ha sdoganato un individualismo del quale si è giovato il neoliberismo. L'ingresso massiccio delle donne nel mondo del lavoro, l'adozione delle competenze relazionali, nell'organizzazione ( la femminilizzazione del lavoro) ha spianato la strada al neocapitalismo per incrementare lo sfruttamento di donne e uomini.
Ma il femminismo italiano, o meglio un filone dei femminismi italiani degli anni Settanta, ha cominciato a dire queste cose da allora, partendo proprio dalla critica all'emancipazionismo come leva per il cambiamento reale del mondo, sostenendo che la semplice integrazione delle donne nel sistema economico-sociale-culturale e politico avrebbe attuato semmai una modernizzazione dei costumi, correggendo lo squilibrio economico e sociale tra donne e uominini, senza cambiare l'ordine vigente, patriarcale-capitalistico.
Fraser parla dalla sua collocazione di statunitense, a volte certe americane sono un po' sommarie nelle analisi e soprattutto non tutte la pensano così.
Sta di fatto che fare cassa di risonanza all'articolo di Fraser per la situazione italiana dimostra una scarsa conoscenza delle analisi e delle riflessioni prodotte negli ultimi quarant'anni dalle nuove consapevolezze di molte donne e molti uomini.
Certe affermazioni contenute nell'articolo suonano poi davvero strane, quale l'idea che con la partecipazione massiccia delle donne al mondo del lavoro si sarebbe interrotta la divisione sessuale del lavoro imposta dall'ordine patriarcale, senza tenere conto del fatto che questa si basa sull'attribuzione del mondo della cura -materiale, psicologica, affettiva, sessuale - di persone, cose e animali alla femminilità, come prerogativa naturale, e quindi alle donne, o tutt'al più alla parte femminile degli uomini, oggi riscoperta e valorizzata."femminile".
E' questo il nocciolo duro della la divisione sessuale del lavoro patriarcale, indipendentemente dal fatto che contingenze storico-sociali confinino le donne solo nelle case e/o contemporaneamente nel mercato.
Il femminismo degli anni Settanta, che comunque continua qui in Italia, nelle sue pratiche discorsive e non discorsive in centri, associazioni, luoghi delle donne, viene totalmente ignorato dai media per la sua eversività.
Allora si da voce a chi recrimina e rivendica, a chi lamenta subordinazione e discriminazione, nel lavoro, nella cultura, nella politica, a chi ricerca una parità, quale elemento di giustizia sociale, a chi si batte per i diritti civili.
Tutte cose che vanno benissimo, visto che abbiamo una vita sola da vivere, basta che non ci si aspetti che questo trasformi pratiche culturali e sociali.
Se non ci si interroga sul luogo d'origine del patriarcato, la relazione donna-uomo, quel groviglio dal quale si dipanano le attese, le fantasie, le paure, le speranze sia per gli uomini che le donne, il grumo matrice di amore e violenza, protezione e confinamento, non è possibile alcun vero rovesciamento di paradigma.