mercoledì 12 giugno 2019

Racconti della non località



L’onda

L’onda si ingrossa sempre più mentre si avvicina alla riva, lentamente, di un turchese indiano marezzato da piccoli fiocchi di schiuma bianca. È uno spettacolo formidabile, pauroso e ipnotizzante. Segue dalla finestra il movimento, inchiodata al pavimento.

Il suo desiderio più grande è sempre stato quello di abitare sul mare, non vicino al, ma sul mare, magari seduta sul bordo di una finestra con le gambe che sfiorano una distesa d’acqua calma e calda, come le accade talvolta di sognare. Altre volte il sogno è più tormentoso, su uno stretto lembo di spiaggia con alle spalle una parete rocciosa che le impedisce ogni via di fuga, vede precipitarsi su di lei una montagna d’acqua, che osserva terrorizzata e impotente, l’acqua la sommerge e poi si ritira lasciandola sorpresa e stordita.

Ha frequentato a lungo fin da bambina una passeggiata costruita sulla scogliera di una città di mare, c’erano alberghi, negozi, ristoranti, e, verso la fine, un edificio, all’apparenza disabitato, da quando ricordava. Si incantava a guardare le imposte, sempre chiuse, che di anno in anno mostravano segni di decadenza, ruggine, macchie di umido; forse era stato un albergo, per lei sarebbe stata l’abitazione ideale, immaginava che dai piani alti sarebbero stati nascosti alla vista sia la passeggiata che la scogliera, solo mare a perdita d’occhio. Finalmente ha ottenuto da un’amica la possibilità di realizzare il suo desiderio, ora trascorre una vacanza in una casa in cima a uno sperone di roccia che si protende dalla collina sovrastante a pochi metri di altezza sul mare. Isolata, vi si accede da un piccolo giardino con pergolato, qualche pianta di fico, un tavolino e quattro sedie. Un muretto di tufo e calce, nel quale si apre il cancello d’ingresso, separa l’edificio dalla strada sterrata, che termina poco più in alto in un bosco di ulivi. Di fronte all’offerta di soggiornare un paio di settimane da sola in quel luogo era stata colta da sentimenti contrastanti, eccitazione, ansia mista a una certa paura, proprio per la prossimità all’acqua. La rassicurò l’amica che, a suo ricordo e a quello dei suoi nonni, il mare non era mai entrato in casa dalle finestre, neppure durante le più violente mareggiate.

Ripensa a tutto questo guardando l’onda che ora, più vicina, accenna a incresparsi di schiuma bianca, istintivamente chiude i vetri, una girandola di spruzzi esplode nell’aria davanti a lei, spruzzi che ricadono come fuochi d’artificio, senza neppure sfiorare la casa. Adesso al mugghiare del mare si è aggiunto il frastuono di un intenso temporale, crepitante di fulmini e tuoni. Per un po’ rimane a osservare gli spruzzi che si innalzano sempre più frequenti e le onde sferzate dal vento e dalla pioggia, godendo del suo posto di osservazione, così prossimo e protetto. Sente un fievole miagolio, c’è un gatto, semiselvaggio, che appare verso sera nel giardino, ha cominciato a lasciargli qualche avanzo, di pesce o di carne, la loro è una convivenza civile, lei pone per terra il piattino, lui osserva a distanza, quando lei si allontana lui si avvicina e comincia a mangiare, con circospezione, pronto a fuggire al minimo suo movimento. Se ora miagola forse è in difficoltà, decide di uscire a dare un’occhiata, mentre lo cerca con gli occhi nel giardino, ferma sulla soglia di casa, dal costone sovrastante si stacca una piccola frana di terra infracidita dalla pioggia che sommerge lei, il gatto, e gli arredi del giardino.

domenica 2 giugno 2019

Racconti della non località



La bambina

Non ne poteva proprio più dell’assurda reclusione in casa.
Ormai da tempo si sentiva in forze, gli esercizi nella piccola palestra allestita in casa dal papà erano diventati sempre più lunghi e complessi e, a detta dell’allenatore che veniva a casa tre volte alla settimana, i suoi muscoli erano diventati saldi e elastici.
Da tempo erano sparite le sbarre di protezione anticaduta ai lati del suo letto, che ricordava di avere avuto fin dai primi anni di vita, si sentiva finalmente liberata da quella costrizione, pur avendone apprezzato il sistema sonoro, una fantasia di scampanellate, che si attivava non appena le sfiorava. Gli sguardi di apprensione dei genitori e della nonna per una possibile sua caduta l’avevano indotta, non appena si era resa conto che accorrevano a qualunque ora della notte, a limitare di molto la sua presa sulle sbarre.
Ora erano state tolte.

Non andava più in giardino solo se accompagnata da una persona adulta, ora portava al collo, pendente da una catenina d’oro, un minuscolo apparecchio elettronico leggero, sottile, di una lega nuova, simulava un gioiello etnico, segnalava costantemente la sua posizione perché si potesse intervenire in caso di malore, l’unica consegna era che non se lo togliesse mai, né in casa, né in giardino.

Quanti progressi negli ultimi tempi! Aveva smesso di piangere e urlare con la nonna se non le cucinava i piatti preferiti, non ricorreva più ai capricci per ottenere qualcosa e, soprattutto, non vedeva da tempo lo sguardo allarmato dei suoi alle sue intemperanze, segno che erano meno preoccupati del fatto che le capitasse qualcosa durante quelle crisi.

Non aveva capito o non le avevano spiegato chiaramente di quale patologia soffrisse, ma sentiva che si stava avvicinando a una sorta di guarigione, diminuite le pillole somministrate quotidianamente, le sembrava di essere meno assonnata da un po’ di giorni.
Forse era venuto finalmente il momento di frequentare una scuola, invece di studiare a casa con le  maestre, prima, i professori poi. Le piaceva studiare, ma le mancava la compagnia dei suoi coetanei, era stata sempre solo con adulti, attenti e guardinghi nei suoi confronti.
Non vedeva l’ora di abbracciare il fratellino e la sorella maggiore, che per motivi di salute non vivevano a casa, ma in una clinica poco lontano, li aveva visti sempre e solo in skype, aveva imparato a giocare con loro per lunghe ore i giochi che si inventavano di volta in volta. Sua sorella era molto brava a proporre nuovi passatempi, mentre il fratellino preferiva sentire raccontare storie, di cui si era scoperta maestra. Erano soliti anche erano scambiarsi pensieri emozioni, e da un po’ di tempo progetti di vita in comune, avrebbe dato qualsiasi cosa per vederli di persona, toccarli e abbracciarli.
Forse anche loro stavano guarendo da una malattia, peggiore della sua, dal momento che non era stato possibile curarli a casa.

Dopo lunghe sue insistenze, consulti frequenti con dottori, i suoi si erano convinti a farle incontrare la sorella e il fratello, non aveva capito se in casa o in clinica, ma il momento si avvicinava, lo percepiva dall’eccitazione che si respirava, colloqui che si interrompevano al suo apparire, tracce di lacrime di commozione sul viso della nonna e della mamma, il papà sempre più taciturno e nervoso.
Pensò di anticipare i tempi, era arrivato il momento di fare qualcosa per loro, di rassicurarli, mostrandosi finalmente autonoma dalla protezione, liberandoli dalla loro continua apprensione.
Si avvicinò, inosservata, alla porta del giardino, si tolse la catenina e la appese al cancello, lo aprì grazie al pulsante elettrico, come aveva visto fare dalla finestra della sua stanza, si trovò all’esterno.
La nuova sensazione di libertà le provocò un capogiro, si sentì invasa da un’euforia mai provata, avrebbe finito di essere “un peso”, cosa che a volte avvertiva, senza che alcuno glielo avesse fatto mai notare, in questo modo avrebbe contraccambiato tutte le loro attenzioni.

Si avviò per la strada, svoltato l’angolo incrociò un bambino, che la guardò incuriosito
Si avvicinò sorridente.
Si sentì finalmente felice per la prima volta in vita sua, mentre apprezzava quelle carni dolci e tenere che superavano di gran lunga, in gusto, tutti i cibi prelibati preparati per lei dalla nonna.