Alcune donne di un gruppo di Lotta Femminista di Milano insieme ad altre che frequentavano i Gruppi di Via Cherubini costituiscono un gruppo di lavoro e di studio sul tema della salute, in particolare la salute sessuale e riproduttiva, partendo dalla messa a fuoco del corpo delle donne come luogo dell'oppressione materiale, simbolica e ideologica, il nome è Gruppo femminista per una medicina delle donne, vi partecipano alcune dottore e alcune studenti di medicina.
Inizia così un intenso lavoro di analisi sul ruolo della Medicina e sul potere dei medici sulle donne, l'obiettivo primario è la conoscenza del proprio corpo e delle fasi fisiologiche che si attraversano nel ciclo di vita, medicalizzate e bollate come malattie, primo passo verso l'autodeterminazione.
Il gruppo affianca allo studio la pratica del self-help, la prima uscita pubblica è l'opuscolo Anticoncezionali dalla parte della donna, nell'aprile del 1974, stampato a proprie spese e diffuso in maniera militante, che ebbe grande diffusione a livello nazionale e di cui si avranno numerose ristampe negli anni successivi. L'obiettivo, nelle parole di una fondatrice era: un primo progetto di informazione per rompere la cortina dei tabù e dei silenzi, per dire basta alla sofferenza e alla vergogna legate a un corpo trattato come se fosse senza cervello né coscienza. Diffondere informazioni sulla contraccezione quando era ancora proibito parlarne significava imparare a conoscere il nostro corpo e a controllare la nostra fecondità come primo passo per riflettere su di noi e diventare padrone di noi stesse (Luciana Percovich, Il corpo, la medicina, la scienza, in Il movimento delle donne negli ultimi vent'anni, Milano, Unione femminile, 1989).
Parallelamente si fa strada, non senza contrasti, un progetto più ambizioso da parte di un altro gruppo, l'idea di aprire un consultorio autogestito alla periferia di Milano, un Centro per la Medicina delle Donne, partendo dalla dalla consapevolezza che le donne vanno dal medico anche quando non sono malate, si configura così un luogo di riflessione e ricerca collettiva, non certo un semplice servizio per le donne, come saranno i Consultori familiari istituiti con Legge 29 luglio 1975, n. 405 e dichiarati servizi socio-sanitari.
In tutta Italia, nel 1974 e '75 si moltiplicheranno nelle varie città le iniziative e i Centri impegnati su questi temi, legati all'esperienza di vita quotidiana, si terranno Convegni, si discuterà sul modo di intendere il rapporto con le altre donne, che affluivano numerose.
La proposta milanese era frutto di un lungo e raffinato lavoro di presa di coscienza e si focalizzava sulla costruzione di una politica nuova rispetto alle forme tradizionali, questa caratteristica la distingueva da analoghe realtà ma la rendeva invisa a chi era propensa a mediare con le Istituzioni, inoltre prendeva corpo la battaglia per l'aborto condotta dai partiti e dalle loro organizzazioni femminili, che avrebbe catalizzato l'attenzione.
Ma soprattutto era malvista a Milano dai collettivi di autocoscienza e di pratica dell'inconscio.
Per un breve periodo si aprì un consultorio in un quartiere periferico, la Bovisa, luogo di pratica di autocoscienza e di self-help, oltre che di ricerca teorica e di servizio sul territorio.
Un altro gruppo di Lotta femminista di Milano praticò l'autocoscienza, affiancandola all'intervento intenso nei quartieri, davanti ai supermercati, ai giardinetti territoriali, nelle aziende, negli uffici e nelle scuole.
Nel momento in cui abbiamo scelto di fare autocoscienza nel nostro sottogruppo di Lotta femminista eravamo in dodici, di diversa età, estrazione sociale e impegno professionale. La pratica che ormai si era affermata in Italia significava la possibilità di analizzare liberamente aspetti intimi della nostra vita, quali la sessualità, il rapporto con il nostro corpo, le relazioni con uomini e donne.
Ben presto ci siamo rese conto che quel famoso occhio controllante e giudicante nei nostri confronti, con il corredo di criteri di valutazione, lo sguardo maschile sul mondo e sulle relazioni, l’avevamo interiorizzato nelle nostre esperienze di vita, di lavoro e di politica, e lo esercitavamo inconsapevolmente tra di noi, malgrado il separatismo dagli uomini, nella riproposizione dei ruoli: chi era più politica e razionale continuava a utilizzare schemi e parole consuete, tendeva a prendere la parola con frequenza, mostrando a volte insofferenza verso chi non concordava, chi era meno abituata a parlare in pubblico stava in silenzio, ma un silenzio pesante e colpevolizzante.Di fronte a questo ostacolo ci siamo proposte di aggirarlo affiancando allo strumento della parola il disegno.
Il frutto della riflessione è contenuto in un libro, pubblicato nel 1975, nel quale noi autrici risultiamo tutte nominate rigorosamente solo con il nome di battesimo, dal titolo Perché non i fiori, Milano, La Salamandra.
In quell'occasione ci siamo chiamate Gruppo per l'espressione della donna.
Due di noi avevano a che fare con professioni artistiche, una era pittrice-scultrice, l'altra fotografa, le altre insegnanti, impiegate, una industriale-manager, un'attrice.
Infanzia è il primo capitolo, seguito da lavoro, sessualità, verginità, matrimonio, bellezza, età, femminismo, che è il capitolo conclusivo e segna un approdo, dopo un percorso costituito da storie individuali, segnate da tratti comuni di disagio, ribellioni, resistenze.
Un' altra iniziativa di Lotta femminista fu l'audiovisivo Siamo donne, siamo tante, siamo stufe, realizzato da alcune donne del Gruppo femminista milanese per il salario al lavoro domestico, un documentario molto completo sullo stato delle cose presenti, sul doppio sfruttamento in casa e al lavoro, sulle lotte condotte non solo in Italia ma anche nel resto del mondo, conosciuto attraverso la Rete internazionale alla quale aderiva Lotta Femminista.
https://www.bibliotechecivichepadova.it/sites/default/files/opera/documenti/sezione-4-serie-1-12.pdf
Alcune donne di