venerdì 7 febbraio 2025

Dominio maschile, struttura produttiva, femminismo

 Una delle acquisizioni più importanti del femminismo degli anni Settanta è che considerare le donne soggetti al pari degli uomini in ogni ambito di vita e di  pensiero, smettendo di rappresentarle interne alla categoria di umanità declinata al maschile inteso come neutro universale, ha costretto a confrontarsi con le parzialità che costituiscono l'umanità, a partire dalla prima distinzione tra donne e uomini. Questo ha implicato una rivoluzione di sguardi, di punti di vista, di convinzioni create da tempi immemorabili, di certezze consolidate, di sicurezze assimilate oltre che nella vita quotidiana, nella vita pubblica e sociale, nei campi e settori di studi e ricerche, nei conflitti e nelle lotte.

Il  lavoro definito come produttivo di merci e servizi è strettamente intrecciato con il lavoro di cura, anzi si basa su quest'ultimo per la propria sopravvivenza, ma le due sfere sono state separate -come fossero autonome l'una dall'altra- dalla divisione patriarcale del lavoro: alle donne la sfera della cura corrispondente alle loro attitudini e capacità presupposte "naturali"e agli uomini quella della produzione, secondo altre attitudini  supposte come "naturali". 
Divisione che oggi è stata messa fortemente in crisi  dalle modificazioni economiche, sociali, culturali e di costumi, ma permane la struttura della divisione sedimentata in secoli nelle mentalità di donne e uomini, nell'immaginario, struttura ancora documentabile nella lingua di comunicazione, e pronta a riemergere nelle contingenze pratiche e nelle ideologie. 

La soggettività delle donne si è storicamente plasmata durante la nostra evoluzione nelle attività di accudimento di persone, animali, piante e oggetti, di raccolta e preparazione di cibi, di riparazione e mantenimento di ambienti di vita,; la comunità degli uomini ha perimetrato l'ambito di attività e realizzazione delle donne nel campo della maternità reale e simbolica e della seduzione, .
Il riconoscimento e l'apprezzamento di familiari e estranei, quando c'era, compensava dell'insignificanza sociale caratteristica della maggioranza delle donne, che impediva di mettere voce nelle decisioni importanti di vita individuali e collettive.
L'alibi generale per l'esclusiva attribuzione dei compiti di cura  era costituito dal  fatto che le loro fatiche erano dettate dall'amore, l'arma potente di assoggettamento delle donne.

Quando poi le  attività di cura sono entrate nel mercato sono state svalutate socialmente, proprio perché femminili, e quindi poco pagate, anche se svolte da uomini.
Un esempio per tutti la situazione delle e degli insegnanti, almeno nel ciclo della scuola primaria e delle medie,  connotata da aspettative di tipo materno.

Analogamente la soggettività maschile ha assunto caratteristiche "adatte" alla produzione, alla politica, alle  istituzioni, senza doversi preoccupare delle attività fondamentali del lavoro di cura, consegnate totalmente  alle donne. 
Questo impoverimento  psichico e fisico degli uomini è diventato una causa della loro fragilità complessiva, che sfocia in molti casi in violenza e prepotenza quando la donna preposta a tali compiti si sottrae.

Il mondo della produzione, così come si è venuto configurando negli ultimi tre secoli, è stato egemonizzato da un sistema di produzione, il capitalismo, che ha puntato esclusivamente all'incremento dei profitti dei maggiori detentori dei mezzi di produzione, e ha estratto ricchezza oltre che dalla forza-lavoro impiegata,  anche dalle attività del lavoro di riproduzione erogate dalle donne in tutto il mondo, con carichi di lavoro diversi a seconda delle situazioni economiche e sociali. 
Inoltre  il capitalismo, nelle sue varianti nel tempo e nello spazio, ha saccheggiato fino all'inverosimile  terre, acque, animali e piante. 
Il mondo della cura è stato pretestuosamente offerto come contrapposto alla ferocia considerata indispensabile a quello della produzione,  pertanto è stato idealizzato come luogo appagante e  irenico,  il luogo dell'affetto disinteressato, dove ritemprare le forze e le energie spese nelle attività pubbliche. 
In questo consiste l'intreccio attuale tra capitalismo e  dominio maschile. 

Negli ultimi decenni si sono prodotti molti cambiamenti nella struttura economica, la femminilizzazione del lavoro ha  preteso  che le attitudini "naturali" e le capacità tradizionalmente maturate dalle donne nell'ambito della cura fossero apprese anche dagli uomini  ed esercitate nel campo della produzione, fino a arrivare alla richiesta di lavoro gratuito in certi casi, così come è gratuito il lavoro domestico.

Si moltiplicano i tentativi da parte delle donne di sottrarsi agli obblighi derivanti dal modello tradizionale di famiglia, ma al mutare delle condizioni storiche non corrisponde un altrettanto veloce cambiamento di mentalità, di sensibilità, di comportamenti. 
La forza di inerzia del modello dominante prolunga certe posizioni mentali, anche quando vengono meno le condizioni materiali che l' hanno prodotto. 

Quindi occorre affiancare alle lotte sociali le battaglie culturali per l'eliminazione delle immagini interiorizzate relative alla relazione donne e uomini, che sono la base delle rappresentazioni e autorappresentazioni di donne e uomini, principali responsabili dell'inerzia linguistico-mentale.

Ecco perché per cambiare alle radici il sistema di produzione che ci affligge occorre lottare contro il dominio maschile, che è un suo potente sostegno e viceversa per rovesciare il dominio occorre abbattere il sistema economico che  vi si è intrecciato; non sono possibili scorciatoie.