venerdì 10 gennaio 2014

Due passi avanti e tre in dietro

Si ha come l'impressione di scivolare progressivamente indietro, malgrado si creda di andare avanti sulla strada della correzione delle più evidenti distorsioni culturali e sociali del nostro paese.
L'ultimo esempio è quello della possibilità di chiamare i figli con il cognome materno, nel disegno di legge è previsto  che i figli prendano il cognome del padre -questa resta la norma- salvo consentire, in caso di accordo tra i genitori, l'acquisizione del cognome della madre, da solo o congiuntamente a quello paterno.
Non si sa come regolarsi in caso di disaccordo, forse rimandare la questione alla scelta dei figli quando saranno maggiorenni? o che cosa?
Non si affronta la questione come decisione tra due soggetti di pari diritto, da  trattare legislativamente come tale, come si fa in altri paesi; penso a quelli in cui il/la figlio/a ha automaticamente il cognome di entrambi i genitori, uno dei quali verrà a sua volta trasmesso gli eventuali figli. 
Qui da noi la possibilità di acquisire il cognome materno sembra presentarsi come variante dalla norma, e quindi sottoposta a determinate condizioni.
E' la stessa mentalità che prevede nella lingua e nel pensiero l'uso del maschile come (falso)universale,  e in quanto tale adatto a rappresentare sia gli uomini che le donne: la vita del contadino nel Medioevo, i costumi degli uomini primitivi, il padrone e lo schiavo, per indicare alcuni titoli di paragrafi nei libri di storia, confondendo in questo modo la percezione delle differenze di vita, esperienza e pensiero degli uni e delle altre e confermando l'androcentrismo linguistico-mentale più volte denunciato negli ultimi 30 anni.  
Speriamo che i nostri legislatori se ne accorgano in tempo, prima di formulare la legge.


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