Questa volta inizio a scrivere del mio percorso femminista in prospettiva cronologica, contrariamente a quanto ho fatto finora parlando di me.
Ripeterò quindi qualche dettaglio di vita.L'inizio coincide con l'incontro con un gruppo che alla fine degli anni Sessanta ha dato vita a due riviste di movimento, La Classe e Potere Operaio, periodici operaisti, con impostazione teorica marxiana.
Nel gruppo politico io con un'altra donna, Claudia Capurso, mi occupavo del collegamento con alcune fabbriche di riferimento per le nostre analisi e pratiche politiche, la Siemens e la Farmitalia; altri e altre tenevano i rapporti con altre realtà operaie di Milano, tra cui la Pirelli e l'Innocenti.
Quando nel 1970 sono maturati alcuni discorsi relativi alle nostre vite di donne nelle relazioni politiche, sociali, familiari con i nostri uomini, prevalentemente compagni della sinistra extraparlamentare, le prime con le quali mi sono confrontata su tematiche femminili sono state proprio alcune operaie sindacaliste della Siemens e alcune casalinghe, mogli di operai della Pirelli, prima ancora che parlarne con donne del mio stato sociale e culturale.
Unica eccezione Antonella Nappi, la prima che diede vita con me al gruppo che chiamai Collettivo Politico milanese, che in alcune riunioni registrò la presenza di alcuni uomini.
Negli incontri tra donne, pur diverse per cultura, età, esperienza di vita e di lavoro, per prima cosa veniva fuori il problema del doppio lavoro, quello in fabbrica, per le operaie e le impiegate- ricordo un vivace e combattivo collettivo all’Eni- caratterizzato dalla segregazione verticale e orizzontale, quello a casa, non considerato lavoro, ma funzione naturale, particolarmente impegnativa in termini di tempi e energie.
Molte lamentavano il fatto che i compiti familiari impedissero loro di partecipare alle riunioni politiche, quando poi non dovevano occuparsi di cucinare, magari improvvisamente, per gli amici e i compagni dei rispettivi mariti, che portavano persone a cena.
Io, Antonella, Sisa Arrighi, e qualche altra che si era aggiunta nel frattempo, eravamo le "politiche" professioniste, ma la comunicazione circolava con facilità, anche perché pur nella differenza di situazioni, c'erano tratti di esperienza comune.
Ad esempio, nel nostro gruppo extraparlamentare, quando si dovevano redigere volantini da distribuire si decidevano collettivamente i punti fondamentali da comunicare e noi donne di regola dovevamo materialmente stenderli e ciclostilarli (ironicamente ci definimmo gli angeli del ciclostile). Se si inaugurava una sede, tutte ci trovavamo "con entusiasmo"a pulirla, renderla vivibile, con grande elogio per la nostra creatività da parte dei compagni, visto che date le magre risorse si trattava sempre di case vecchie e malmesse.
Nell'estate del 1970 ero rimasta incinta del mio primo figlio, e mi sentivo piena dell'energia e dell'entusiasmo che mi avrebbero accompagnato durante tutta la gravidanza, e nei primi mesi dopo la sua nascita.
Nelle riunioni femministe ero una delle prime a essere madre, ricordo che portavo mio figlio e lo allattavo durante gli incontri.
Contemporaneamente nel 1970 a Milano erano sorti altri gruppi di donne, Serena Castaldi aveva portato in Università documenti delle donne del Movimento USA, resoconti di Convegni e Seminari, che confluirono in un opuscolo intitolato Donna è bello, mutuato da nero è bello, del Movement USA.
Ricordo l'importante articolo di Margareth Benston sull’economia politica del lavoro domestico.
Da Torino venne a prendere contatto con il mio gruppo una donna del Collettivo Cr, che traduceva, stampava e diffondeva documenti del movimento afro-americano negli Stati Uniti, nei quali si assimilava la posizione delle donne nella società a quella dei neri in USA.
Nel settembre del 1970 uscimmo con un volantino intitolato Basta con il doppio lavoro, scritto da me insieme a sindacaliste della della Siemens.
Anni più tardi, in occasione della ricerca sui collettivi femministi di Milano e Lombardia negli anni Settanta del Centro di studi storici sul movimento di liberazione della donna in Italia, fondato alla fine del 1979 da Pierrette Coppa e Elvira Badaracco, le due ricercatrici del Centro, su mia segnalazione, presero contatto con la sindacalista Cisl della Siemens per chiederle della attività del Collettivo Politico Milanese ma era ancora fresco il trauma del 7 aprile 1979, con l'incarcerazione di chi aveva fatto parte del gruppo Potere Operaio, la Siemens era nell'occhio del ciclone perché Moretti, coinvolto nel rapimento e uccisione di Moro, era stato uno dei suoi tecnici, credo sia stata questa la ragione che ha indotto la sindacalista a negare di avermi mai conosciuto e di aver mai fatto parte del Collettivo.
Rimasi molto turbata, ma capii la sua paura, ricordo benissimo il nome della donna, ma non lo riporto per rispetto della sua volontà.
Del Collettivo Politico Milanese faceva parte anche una giovane, allora diciottenne, Grazia Colombo, che frequentava la scuola per assistenti sociali, molto interessata al tema dei servizi sociali, iscritta all'UDI, ma in posizione critica nei confronti di quell'organizzazione.
Nello stesso anno avevo conosciuto Carla Lonzi che aveva fondato Rivolta Femminile, ricordo un paio di riunioni alle quali partecipai nella sua bella mansarda in via Brera, ma non colsi allora l'importanza del suo discorso. Eppure di lì a poco avrei letto e diffuso con molto interesse i primi libretti verdi: Sputiamo su Hegel, il Manifesto, Donna clitoridea e donna vaginale, e qualche altro.
C'era in quei primi anni un fervore di scambi, un piacere di incontrarsi e confrontarsi, con la sensazione che veramente si iniziava qualcosa di inedito tra donne.
Io non ebbi neanche il problema della doppia militanza perché proprio dal 1970, non appena mi occupai di temi di donne, smisi di appartenere al gruppo extraparlamentare di riferimento, anche perché nel frattempo si era avviato su un percorso politico che non condividevo più.
Nel 1971 arrivarono a Milano le compagne del Cerchio Spezzato, che avevano pubblicato il libro La coscienza di sfruttata, ricordo in particolare che venivano a casa Elena Medi e Silvia Motta.
Proprio in seguito alle loro osservazioni il Collettivo eliminò la presenza di uomini, anche se pochi e sporadici, e diventò di sole donne.
Intervenne a qualche riunione anche Lea Melandri, che lavorava alla rivista L’Erba Voglio con Luisa Muraro.
Portate da Antonella, parteciparono inizialmente alle riunione anche Daniela Pellegrini e un'altra donna del Demau, gruppo che si riuniva già da cinque o sei anni.
Uno degli incontri per me determinante fu la visita di Selma James a casa mia, con grande generosità parlo a lungo a me e alle altre del mio gruppo, Sisa Arrighi sbobinò e tradusse la lunga registrazione che facemmo, Selma qualche tempo dopo mi scrisse anche alcune lettere.
Certo erano diversi i gradi di maturazione personale di tutte noi che ci incontravamo frequentemente; io mi ero avvicinata alla politica alla fine degli anni ’60 con una grande tensione libertaria, l’antiautoritarismo è stato il sentimento che mi ha formato, l’insofferenza verso ogni forma di autoritarismo sia patriarcale che capitalistico, un autoritarismo presente nelle realtà che si volevano già liberate o in via di liberazione.
Questa è stata la forte discriminate rispetto a alle donne dell'UDI di allora, prima del 1982, e alle donne delle Commissioni femminili del Pci, e della DC, con le quali avevamo anche rapporti e scambio, ma ci divideva la loro convinzione che la soluzione di quella che allora era chiamata "la questione femminile" risiedesse nella emancipazione economico sociale e politica delle donne, da attuarsi mediante l'accesso al lavoro e la "promozione" delle donne alle cariche politiche e sociali, in altri termini alla parità.
Di lì a poco la questione del separatismo sarebbe stata dirimente, non solo separatismo fisico nei gruppi, ma anche psicologico, contemporaneamente molte di noi dovettero fare i conti con la presa di distanza, nelle riunioni intergruppi e nei seminari di studio, da modalità di intervento esperite nei gruppi politici frequentati precedentemente.
La questione divenne evidente nel convegno organizzato nel giugno del 1971 all'Umanitaria.
Ricordo che alcuni uomini tenevano i bambini nel bel cortile, mio marito teneva mio figlio di pochi mesi, un altro teneva Andrea, figlio di Sisa, di cinque anni.
Durante l'Assemblea, particolarmente affollata, di fronte al susseguirsi di Relazioni (modo tradizionale di rapportarsi nei convegni), si alzò una donna, credo, ma non sono sicura Serena Castaldi, a denunciare il suo malessere di fronte a una modalità così tradizionale e ingessata di relazione tra donne, e disse che sarebbe uscita in giardino a parlare con chi volesse seguirla in un modo nuovo.
Poche la seguirono, ma fu una prima forte rottura.
La riunione del giugno 71 all'Umanitaria la ricordo come fosse ieri. Il piccolo aveva un anno e qualche mese e non era difficile 'curarlo', anzi. Hai ragione, c'era anche qualche altro maschio con bambino ma non ricordo bene. Ricordo invece il senso della situazione: avevo la consapevolezza che qualcosa di importante stava accadendo e le conseguenze di quella giornata si sarebbero poi alla lunga viste anche nel nostro rapporto. Del resto le premesse erano già date nelle riunioni che organizzavi a casa col Collettivo. All'inizio c'eravamo io e Nannipieri: ci arrabattavamo a tentare di 'comprendere' le vostre ragioni dentro la lotta di classe, ma era un non senso, anche se non ancora argomentabile con chiarezza, tanto è vero che quando arrivarono le trentine noi ci allontanammo ma nemmeno loro avevano chiari argomenti: avevano piuttosto un'aggressività che svelava tutta la loro insicurezza ma che chiedeva con grande passione di toglierci di mezzo. Da allora il rischio per tutti quegli uomini che pretendevano di 'capire' qualcosa fu quello di essere bollati come 'maschio femminista', una sorta di macchia vergognosa come portare un braccialetto!
RispondiEliminaNo, non un anno e pochi mesi, ma solo pochi mesi, era nato nel marzo del 71...
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