venerdì 17 aprile 2015

Memorie di una femminista non pentita (XIV) Gli inizi, II puntata




Riprendo dal Convegno all'Umanitaria del giugno 1971 perché fu fondamentale, sia per la costruzione del movimento a Milano, sia per il cambiamento che provocò in me.

Dal momento che con le altre avevo tanto lavorato all'organizzazione dell'evento fui molto contenta del "successo" quanto a affluenza di donne, ma nello stesso tempo mi resi conto che stava entrando in crisi in crisi il mio modo di partecipare al movimento fino ad allora.

Certo si respirava l'entusiasmo all' idea di lavorare tutte insieme a un progetto, ancora molto nebuloso, ma di radicale modificazione della vita individuale e collettiva di donne e uomini, ma risultarono evidenti le diversità tra noi, forse fino ad allora mitigate dal calore ambientale delle riunioni casalinghe.

Vi parteciparono circa 70 donne, di Milano, Padova, Ferrara, Pisa, Trento, Firenze, Bologna e Torino.

Con l'eccezione di Torino e di Milano, quasi tutte le partecipanti delle altre città avrebbero costituito di lì a poco Lotta Femminista; le donne di Torino facevano parte del gruppo Collettivo Rivoluzionario, avevano cominciato a riunirsi separatamente dai compagni, il loro primo documento era stato stilato nel settembre del 1970, in seguito alcune di loro avrebbero dato vita al Gruppo femminista di Via Petrarca.

Anche se non era stato ancora teorizzato il separatismo, il Convegno era riservato alle sole donne.

Il tema fondamentale in discussione era il doppio lavoro, domestico e per il mercato, e le condizioni delle lavoratrici e delle casalinghe, le modalità di intervento ricalcavano, come ho già scritto, quelle tipiche delle assemblee dei movimenti: tavolo di presidenza, relazioni strutturate, interventi delle presenti.

L'invito provocatorio di Serena di Castaldi, del gruppo Anabasi, a scendere in giardino, abbandonando una situazione di convegno tradizionale, con relazioni e interventi successivi, per parlare di sé in modo informale, anche se poco seguito, introduceva già quella che sarebbe stata la divisione, deleteria, tra due dimensioni del femminismo milanese a lungo considerate inconciliabili, quella prevalentemente autocoscienziale, che si sarebbe in parte orientata all'analisi del profondo, e quello orientato anche all'intervento nel sociale, intervento interno e intervento esterno, si diceva allora.

L'errore fu, ma lo dico col senno di poi, la divaricazione tra due momenti che avrebbero dovuto procedere strettamente connessi, vale a dire da un lato l'analisi dell' interiorizzazione dell'ordine costituito attraverso l'esame delle immagini di genere, delle complicità di noi donne con il patriarcato, dei vantaggi e delle nicchie di potere che questo garantisce, dall'altro l'analisi dei processi economici e sociali messi in atto dal sistema capitalistico, una volta assunta e utilizzata la gerarchizzazione dei ruoli imposta dal patriarcato, in particolare l'artificiosa separazione tra produzione e riproduzione.

Diverse furono di conseguenza le pratiche politiche: puntare sulla trasformazione delle relazioni tra donne, per prima cosa, e quindi tra donne e uomini per cambiare lo stato delle cose nel primo caso; intervenire nelle situazioni di maggiore sfruttamento del lavoro e della vita delle donne con l'intenzione di alimentare conflitti e costruire alleanze, nell'altro.

I due filoni procedettero separatamente, producendo entrambi un consistente patrimonio teorico che negli anni '80 fu raccolto e organizzato negli Archivi, Centri, Librerie e Case delle donne.

Se la riflessione di chi privilegiava l'intervento esterno mancava dello sguardo dentro le soggettività, in merito agli schemi di relazioni, alle fantasie, alle paure, ai desideri, alle aspettative, indispensabile motore di un reale cambiamento di paradigma, il lavoro di riflessione, derivante dal movimento dell'autocoscienza e della pratica dell'inconscio, che in Italia sarebbe stato poi considerato il "vero femminismo", avrebbe prodotto mutamenti rilevanti nelle vite e nelle coscienze delle donne del movimento, ma sarebbe risultato alla lunga circoscritto appunto alle donne del movimento, o a questo contigue, con minore penetrazione nelle donne più esterne, anche per ragioni anagrafiche, una volta concluso il fermento sociale degli anni Settanta.

Comunque al Convegno del 1971 prese corpo l’idea di trovare una

sede comune ai vari collettivi, al di fuori delle case private.

Ho già scritto delle riunioni del Collettivo Milanese che si tenevano a casa mia dall'autunno del 1970 al giugno 1971, non si poteva parlare ancora di autocoscienza, quanto piuttosto di presa di coscienza della subalternità-materiale e culturale- agli uomini, che accomunava tutte le donne, indipendentemente dalla loro posizione sociale, anche se poi si tendeva a distinguere tra chi sembrava "privilegiata" comunque, la moglie di Agnelli, per disponibilità economica maggiore rispetto alle operaie, impiegate, contadine.

Le parole ricorrenti nella riflessione erano oppressione, in tutti gli aspetti collettivi e individuali, pubblici e privati e sorellanza.


Gli obiettivi erano di carattere prevalentemente economico, si analizzava la posizione delle donne sia all'interno delle società capitalistiche che di quelle socialiste.


Studiavamo documenti, statistiche sull'occupazione femminile, sulla segregazione orizzontale e verticale nei luoghi di lavoro, sul doppio lavoro a casa e fuori, sulla presenza o meno di servizi sociali, non solo in Italia ma anche in altre realtà europee e extraeuropee.


Il primo effetto degli scambi e delle visite reciproche fu senz'altro l'allontanamento degli uomini dal gruppo; in realtà erano solo due e più ascoltatori che interventisti, ma la loro presenza divenne subito imbarazzante.

Dopo il convegno niente per me fu come prima, il confronto con le elaborazioni e le pratiche degli altri gruppi mi fece avvertita del rischio di cadere in un atteggiamento paternalistico, in quanto "politica" nei confronti delle altre; la maternità, intrecciata con il lavoro, mi toglieva energie psicofisiche, dal momento che mio marito e io potevamo contare solo sulle nostre forze, senza aiuti parental, per questo concorso di cose rallentai l'impegno femminista e restai un po' alla finestra.

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