La letteratura dell’Occidente comincia con la glorificazione di una guerra di rapina (Christa Wolf, Cassandra, Roma, e/o edizioni, 1984, p. 57).
Una foto glamour mostra una ragazzina con fucile e lecca lecca in attesa di difendere sé stessa e la sua casa dall'invasione dei nemici, contemporaneamente tutti i media mostrano a ripetizione donne che fuggono dal paese invaso, accompagnando in salvo (speriamo) bambini/e e vecchi/e/@, due rappresentazioni di due modi di intendere il rapporto tra donne e guerre, apparentemente in contraddizione tra loro, in realtà complementari.
Fino a pochi decenni fa le donne "sparivano" dai racconti dal campo di battaglia, tranne qualche eccezione storica, un unico modello di narrazione della guerra dominava fatto di ideali, eroismi, sacrifici. Quando si parlava di donne queste ultime erano rappresentate o come vittime di stupri e aggressioni nei paesi invasi, oppure affannate a districarsi nelle mille difficoltà per portare avanti la vita propria, e quelle che dipendono da loro, secondo il modello di divisione sessuale del lavoro: agli uomini la gestione della politica, delle guerre, del lavoro, alle donne quella della cura.
Quando poi ci si riferiva a donne combattenti, una minoranza comunque, ad esempio nella Resistenza, si esaltavano le doti di coraggio, l’eroismo, lo spirito di sacrificio che le accomunavano agli uomini nei comportamenti consolidati secondo il paradigma maschile.
Di fronte ai cambiamenti politici e sociali verificatisi dalla metà del secolo scorso la narrazione è cambiata, da un lato in ragione della tecnologia militare, sempre più feroce nel colpire persone, animali e oggetti non "combattenti", che hanno la sfortuna di trovarsi fra i nemici del momento, dall'altro a causa del l'emancipazione, che ha aperto alle donne le porte degli eserciti, delle armi della guerra .
Così abbiamo assistito a soldate animate dalla stessa violenza dei loro colleghi uomini, nei confronto di nemici ormai annichiliti. Più recentemente ci siamo in molte/i/@ entusiasmate/i/@ alla vista di formazioni di battaglia tutti di donne, a difesa del proprio paese e dei propri valori, pur mantenendo nei gesti nell'aspetto tratti di grazia femminile tradizionale.
Come è stato in altri campi del sociale e del politico l'ingresso di donne nell'ambito militare e bellico non ne ha modificato i caratteri, ma ha adattato le donne a pratiche consolidate di guerra.
Purtroppo non è possibile cambiare le forme della guerra, che andrebbe espulsa dalle pratiche umane, infatti a differenza del conflitto, cuore della democrazia, la guerra si risolve con l'annullamento di uno dei contendenti e con l'immiserimento materiale e simbolico di tutte le popolazioni coinvolte.
Le attuali immagini martellanti di tutti i media nazionali e esteri sono un misto delle vecchie narrazioni delle donne come vittime, impreziosite dall'emancipazione, che rende un padre orgoglioso della sua bambina!
[1] (Christa Wolf, Cassandra, Roma, e/o edizioni, 1984, p. 57.
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