giovedì 6 marzo 2014

Tra delusione e speranza, appoggiando la lista Tsipras


Ora che si entra nel vivo della campagna elettorale per le elezioni europee di maggio, si è fatta concreta la possibilità che vi partecipi una lista che si chiama L'altra Europa con Tsipras.
Secondo me ci sono aspetti interessanti e altri più discutibili.

Comincio dagli elementi per me positivi, prima di tutto dalla dimensione realmente europea che connota questa lista, poiché in presenza di una crisi culturale-sociale-economica che coinvolge più o meno gravemente tutta l'Europa, ci si fa rappresentare da una figura greca, e la Grecia è la nazione che ha più risentito delle conseguenze disastrose determinate dalle politiche europee ed è, al contempo, la base storico-culturale dell'Europa.
Immagino già le voci di avversarie e avversari politici che ricorreranno all'identitarismo più rozzo, tanto in voga oggi, chiedendo quali  interessi potrà nutrire un politico greco per noi italiani/e.
Sarà facile rispondere che la prospettiva di queste elezioni non è nazionale, si intende infatti dar vita a un parlamento europeo che si prenda cura dei cittadini e delle cittadine europee, e non delle banche, delle multinazionali e dei ceti politici nazionali.
Questo significa fondare un'altra Europa, perché questa non ci piace e distrugge persone, ambiente, risorse.
Le candidature espresse dalla lista sono secondo me apprezzabili, ci sono persone di diversa età, esperienza, cultura, che si sono impegnate nella lotta per l'acqua bene pubblico, per i beni comuni, per la riconversione ecologica del sistema di produzione e circolazione delle merci, contro ogni discriminazione e esclusione, contro l'impiego delle armi per risolvere i conflitti, contro le speculazioni finanziarie, edilizie, e delle grandi opere devastanti suolo e territorio, se non inutili. 

I temi enunciati sono quindi quelli del lavoro, dei diritti sociali, della democrazia, della giustizia sociale, della lotta al neoliberalismo, all'austerity, ai populismi di ogni colore,  alla mafia e a ogni forma di corruzione.  
Forse questa è una delle ultime occasioni (qualcuno sostiene l'ultima) per contrastare il piano mondiale di comando sulle persone, sulle piante, sugli animali,  sugli oggetti, portato avanti da decenni dai cosiddetti poteri forti nella guerra condotta dalle multinazionali, dalle banche, dai centri di potere economico-finanziario contro popolazioni di tutti i continenti.
 Basti pensare agli accordi commerciali transatlantici che si stanno preparando tra USA e Europa, secondo i quali le corporations potranno intentare cause e chiedere indennizzi per azioni che intacchino i loro profitti, sia nei confronti di singoli Stati, che di gruppi, di singole persone (rifiutare gli OGM, scioperare, adottare leggi e provvedimenti che le ostacolino...). 
Questi processi  non si possono più combattere a livello nazionale, gli Stati sono e saranno sempre più fragili e soccombenti ai rapporti di forza in atto, solo a livello di Europa contrastare, e con grande fatica..
Detto questo, sono convinta che molto ci sia da fare per modificare l'ottica del programma esposto nel Manifesto in dieci punti.
Non si tratta di aggiungere temi, ma di riorientarne la prospettiva, alla luce della relazione donne uomini,  in tutte le sue sfaccettature economiche, culturali, sociali, affettive.
Io so per certo che alcune/i dei/delle estensori del programma i hanno ben chiari i termini del problema, so anche che la mancanza di accenno ai temi in questione nel Manifesto-programma della lista Tsipras non è dovuta a trascuratezza, ma a una scelta precisa, perché non appena  vi si accenna si nota un clima di insofferenza, sia tra gli uomini che tra le donne, si temono divisioni, d'altronde questi temi sono veramente troppo "sovversivi" dell'attuale ordine culturale, politico, sociale e questo spaventa molt*, ma non possono essere elusi e soprattutto non si risolvono con una semplice operazione di parità tra donne e uomini nella composizione dei vari organismi, oppure in un miglioramento delle politiche di welfare, abbiamo sperimentato nel corso del Novecento modelli di welfare e di diritti più o meno includenti che non hanno minimamente scalfito la tradizionale divisione del lavoro e codificazione dei ruoli imposta dal sistema capitalistico-patriarcale.
Una politica paritaria improntata al numero di donne promosse, accolte, cooptate in un universo simbolico e materiale ancora tutto declinato al maschile nei termini di valori, atteggiamenti e comportamenti non smuove di un millimetro la relazione tra donne e uomini in ordine alle attese, speranze, fantasie, immagini interiorizzate di maschile e femminile, compiti e funzioni regolate dalla codificazione dei ruoli sessuali. Semplicemente le aggiorna alle trasformazioni dei costumi in atto nella società. 

Spero vivamente allora che si dia vita ai  previsti "tavoli tematici" per affrontare le questioni più complesse rispetto ai dieci punti del Manifesto, che per ora sono di natura prevalentemente economica. 
Penso infatti che non si possa parlare di economia, di riconversione della produzione, di ecologia,  senza tirare in campo il sistema di riproduzione che sostiene tutta la produzione di merci e beni, senza prendere in considerazione la relazione tra donne e uomini in tutti gli aspetti della vita collettiva e individuale.
Anche questa mi pare una delle ultime occasioni per evitare la sottrazione sistematica di molte donne alle battaglie politico-sociali dei movimenti e delle realtà di sinistra.

lunedì 3 marzo 2014

emancipazione liberazione, l'eterno dualismo

Il governo Renzi ha iniziato una "modernizzazione" del costume politico italiano, presentando un numero di ministre pari a quello dei ministri, modernizzazione subito interrotta dalla nomina dei sottosegretari, per la quale hanno trionfato ragioni di convenienze politiche secondo le modalità consuete, in barba alle tanto sbandierate dichiarazioni di innovazione.
La parità di numero è stata da molt* salutata con entusiasmo, subito cancellato dal silenzio calato sulla lista dei sottosegretari, quasi tutti uomini. Dall'altro canto si sono levate molte voci che avvertivano di non considerare l'evento un successo, ma di vederlo nella sua ottica di fiore all'occhiello e al contempo espediente per eliminare la necessità di una rivisitazione radicale della relazione donne e uomini in epoca di patriarcato, ancora vivo e vegeto, anche se apparentemente mitigato da soluzioni numericamente paritarie.
Una politica paritaria, improntata al numero di donne promosse, accolte, cooptate in un universo simbolico e materiale ancora tutto declinato al maschile come valori, atteggiamenti, comportamenti non smuove di un millimetro la relazione tra donne e uomini in ordine alle attese, speranze, fantasie, immagini interiorizzate di maschile e femminile, compiti e funzioni regolate dalla  codificazione dei ruoli sessuali. Semplicemente le aggiorna alle trasformazioni dei costumi in atto nella società. Infatti le donne giunte ai vertici di comando nel sociale e in politica sono costrette -in qualche caso, o convinte -nella maggioranza dei casi- a comportarsi secondo le regole stabilite dalla comunità degli uomini, sono tollerate trasgressioni, poche, che confermano la regola. 
Detto questo mi sembra di scorgere spesso una profonda opposizione tra chi considera ogni fenomeno di emancipazionismo comunque una vittoria, foriera di trasformazioni radicali  in futuro, e chi nega qualsiasi valore positivo, anzi lo considera nefasto e tale da bloccare processi di cambiamento radicali.
Già negli anni Settanta, al tempo dell'approvazione della 194 sull'interruzione di gravidanza, si  stabilì una divisione all'interno dei movimenti femministi, tra chi sosteneva l'opportunità di una legge, anche se significava regolamentazione, e chi osservava che l'unica opzione non penalizzante per le donne era la depenalizzazione del reato di aborto. 
Io penso che le due strade possano procedere parallele, nel senso che tutto quanto può significare un miglioramento, in concreto, anche piccolo, della situazione sociale, personale e politica delle donne è benvenuto, a patto che non offuschi il vero obiettivo, secondo me, che non consiste nel migliorare questo mondo e lo stato di cose presenti per rafforzarlo, ma nell'accumulare sempre maggiore energia e consapevolezze per ribaltarlo.

domenica 2 marzo 2014

Appelli al cambiamento e modificazioni reali


Date le condizioni in cui versa questo nostro pianeta, a causa dello spreco e del consumo sfrenato di risorse da una parte minoritaria della popolazione mondiale, che affama e impoverisce la maggioranza di donne, uomini e bambini/e, ben vengano gli appelli -sempre più numerosi-a mutare il nostro sistema di produzione e di consumo di cibi.
Gli inviti a consumare meno, o a eliminare del tutto carne, latticini, salumi rispondono a istanze di salute per noi, di etica nei confronti degli animali, rispondono alla necessità  di un rovesciamento radicale di abitudini contratte nel corso di martellanti campagne pubblicitarie, tutto bene, ma  nella situazione attuale di produzione-consumo, in un sistema  come il nostro, patriarcale capitalistico, rischia di tradursi in un  accumulo di lavoro per le donne, innanzitutto, e anche per uomini dediti a condividere la cura con le loro donne.
Mia nonna cucinava, quasi prevalentemente minestre, minestroni, verdure ripiene, torte salate, polpettone di verdure, tutte cose buonissime (data anche la verdura di allora, molto più saporita dell'attuale), ma dedicava alla spesa e alla cottura l'intera mattina, mentre il resto del lavoro domestico era svolto da mia mamma.
Non appena non fu più tra noi cambiò anche quel sistema di alimentazione in casa nostra, purtroppo, perché da allora su mia madre gravò tutto il lavoro, si ricorse di più a bistecca, formaggio, pasta al pomodoro, tranne le domenica, dedicata alla cucina.
Vivere di verdure, cereali, legumi è possibile e anche molto piacevole, ma richiede molto tempo per la preparazione e energie, se poi ci si orienta al biologico, i costi diventano insostenibili, e solo per persone benestanti..
Nella mia esperienza di adulta tra lavoro, allevamento figli, interessi politici, pur amando io  molto cucinare, il tempo dedicato alla cucina fu molto ridotto, tranne che la domenica mattina e in occasione di inviti a cena di amic*.
Tutto questo malgrado la totale condivisione di compiti e mansioni relative al lavoro domestico e all'accudimento dei bambini con mio marito. Tra l'altro eravamo entrambi insegnanti.
So benissimo che cosa significa oggi, per le giovani donne e i giovani uomini, dover dedicare tempo alla preparazione di cibo, gravat* come sono anche dalla cura di noi vecchi, oltre che dei loro figli, quando ci sono, e dai ritmi di lavoro.
Il risultato di questi articoli un po' terrorizzanti sulle conseguenze delle scelte alimentari più comuni temo possano avere effetti contrari a quelli sperati, nel senso che vengano bellamente ignorati per evitare sensi di colpa. 
Concordo con il fatto che occorre iniziare dal basso a modificare i consumi, ma occorre anche tenere conto delle situazioni concrete nelle quali si vive, ad esempio comprare a chilometro zero va bene, ma se si è in pensione, o comunque si dispone di tempo, altrimenti è più veloce il super, d’accordo con il boicottare case di produzione, ma se non si cambia l’organizzazione produttiva e distributiva, volta al profitto e non al bene comune, non si potrà mai cambiare radicalmente comportamenti a livello di grandi numeri.
Infine si legge di congressi internazionali e seminari scientifici che scoprono che  una vita serena, con scelte appropriate alle singole soggettività, senza  frustrazioni e preoccupazioni è più lunga e sana. 
Alle analisi sulle condizioni di lavoro, di reddito, di vita, dei diritti civili e sociali, dell'inquinamento e della distruzione di risorse, continuano a restare estranee le analisi sulle attività relative al lavoro domestico, vale a dire manutenzione degli ambienti, preparazione di cibo, allevamento delle piccoli/e, cura delle inabilità temporanee o permanenti, ristorazione psicofisica, affettiva, sessuale, rivolta soprattutto da donne a uomini adulti.
Attività che sostengono, in tutto il mondo, l'attuale sistema di produzione e distribuzione di beni e merci; attività gratuite, mal retribuite, disprezzate,  che comunque hanno come protagoniste in maggioranza  le donne, sia nei paesi arricchiti che nei paesi impoveriti, e negli ultimi anni anche i migranti uomini.