Date le condizioni in cui versa questo nostro pianeta, a causa dello spreco e del consumo sfrenato di risorse da una parte minoritaria della popolazione mondiale, che affama e impoverisce la maggioranza di donne, uomini e bambini/e, ben vengano gli appelli -sempre più numerosi-a mutare il nostro sistema di produzione e di consumo di cibi.
Gli inviti a consumare meno, o a eliminare del tutto carne, latticini, salumi rispondono a istanze di salute per noi, di etica nei confronti degli animali, rispondono alla necessità di un rovesciamento radicale di abitudini contratte nel corso di martellanti campagne pubblicitarie, tutto bene, ma
nella situazione attuale di produzione-consumo, in un sistema come il nostro, patriarcale capitalistico, rischia di tradursi in
un accumulo di lavoro per le donne, innanzitutto, e anche per uomini dediti a condividere la cura con le loro donne.
Mia nonna cucinava, quasi prevalentemente minestre,
minestroni, verdure ripiene, torte salate, polpettone di verdure, tutte cose
buonissime (data anche la verdura di allora, molto più saporita dell'attuale), ma dedicava alla spesa e alla cottura l'intera mattina, mentre il resto del lavoro domestico era svolto da mia mamma.
Non appena non fu più tra noi cambiò anche quel sistema di alimentazione in casa nostra, purtroppo, perché da allora su mia madre gravò tutto il lavoro, si ricorse di più a bistecca, formaggio, pasta al pomodoro, tranne le domenica, dedicata alla cucina.
Vivere di verdure, cereali, legumi è possibile e anche molto piacevole, ma richiede molto tempo per la preparazione e energie, se poi ci si orienta al biologico, i costi diventano insostenibili, e solo per persone benestanti..
Nella mia esperienza di adulta tra lavoro, allevamento figli, interessi politici, pur amando io molto cucinare, il tempo dedicato alla cucina fu molto ridotto, tranne che la domenica mattina e in occasione di inviti a cena di amic*.
Tutto questo malgrado la totale condivisione di compiti e mansioni relative al lavoro domestico e all'accudimento dei bambini con mio marito. Tra l'altro eravamo entrambi insegnanti.
So benissimo che cosa significa oggi, per le giovani donne e i giovani uomini, dover dedicare tempo alla preparazione di cibo, gravat* come sono anche dalla cura di noi vecchi, oltre che dei loro figli, quando ci sono, e dai ritmi di lavoro.
Il risultato di questi articoli un po' terrorizzanti sulle conseguenze delle scelte alimentari più comuni temo possano avere effetti contrari a quelli sperati, nel senso che vengano bellamente ignorati per evitare sensi di colpa.
Concordo con il fatto che occorre iniziare dal basso a modificare i consumi, ma occorre anche tenere conto delle situazioni concrete nelle quali si vive, ad esempio comprare a
chilometro zero va bene, ma se si è in pensione, o comunque si dispone di tempo, altrimenti è più veloce il super,
d’accordo con il boicottare case di produzione, ma se non si cambia
l’organizzazione produttiva e distributiva, volta al profitto e non al bene comune, non si potrà mai cambiare radicalmente comportamenti a livello di grandi numeri.
Infine si legge di congressi internazionali e seminari scientifici che scoprono che una vita serena, con scelte
appropriate alle singole soggettività, senza
frustrazioni e preoccupazioni è più lunga e sana.
Alle analisi sulle condizioni di lavoro, di reddito, di vita, dei diritti civili e sociali, dell'inquinamento e della distruzione di risorse, continuano a restare estranee le analisi sulle attività relative al lavoro domestico, vale a dire manutenzione degli ambienti, preparazione di cibo, allevamento delle piccoli/e, cura delle inabilità temporanee o permanenti, ristorazione psicofisica, affettiva, sessuale, rivolta soprattutto da donne a uomini adulti.
Attività che sostengono, in tutto il mondo, l'attuale sistema di produzione e distribuzione di beni e merci; attività gratuite, mal retribuite, disprezzate, che comunque hanno come protagoniste in maggioranza le donne, sia nei paesi arricchiti che nei paesi impoveriti, e negli ultimi anni anche i migranti uomini.
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