Il governo Renzi ha iniziato una "modernizzazione" del costume politico italiano, presentando un numero di ministre pari a quello dei ministri, modernizzazione subito interrotta dalla nomina dei sottosegretari, per la quale hanno trionfato ragioni di convenienze politiche secondo le modalità consuete, in barba alle tanto sbandierate dichiarazioni di innovazione.
La parità di numero è stata da molt* salutata con entusiasmo, subito cancellato dal silenzio calato sulla lista dei sottosegretari, quasi tutti uomini. Dall'altro canto si sono levate molte voci che avvertivano di non considerare l'evento un successo, ma di vederlo nella sua ottica di fiore all'occhiello e al contempo espediente per eliminare la necessità di una rivisitazione radicale della relazione donne e uomini in epoca di patriarcato, ancora vivo e vegeto, anche se apparentemente mitigato da soluzioni numericamente paritarie.
Una politica paritaria, improntata al numero di donne promosse, accolte, cooptate in un universo simbolico e materiale ancora tutto declinato al maschile come valori, atteggiamenti, comportamenti non smuove di un millimetro la relazione tra donne e uomini in ordine alle attese, speranze, fantasie, immagini interiorizzate di maschile e femminile, compiti e funzioni regolate dalla codificazione dei ruoli sessuali. Semplicemente le aggiorna alle trasformazioni dei costumi in atto nella società. Infatti le donne giunte ai vertici di comando nel sociale e in politica sono costrette -in qualche caso, o convinte -nella maggioranza dei casi- a comportarsi secondo le regole stabilite dalla comunità degli uomini, sono tollerate trasgressioni, poche, che confermano la regola.
Detto questo mi sembra di scorgere spesso una profonda opposizione tra chi considera ogni fenomeno di emancipazionismo comunque una vittoria, foriera di trasformazioni radicali in futuro, e chi nega qualsiasi valore positivo, anzi lo considera nefasto e tale da bloccare processi di cambiamento radicali.
Già negli anni Settanta, al tempo dell'approvazione della 194 sull'interruzione di gravidanza, si stabilì una divisione all'interno dei movimenti femministi, tra chi sosteneva l'opportunità di una legge, anche se significava regolamentazione, e chi osservava che l'unica opzione non penalizzante per le donne era la depenalizzazione del reato di aborto.
Io penso che le due strade possano procedere parallele, nel senso che tutto quanto può significare un miglioramento, in concreto, anche piccolo, della situazione sociale, personale e politica delle donne è benvenuto, a patto che non offuschi il vero obiettivo, secondo me, che non consiste nel migliorare questo mondo e lo stato di cose presenti per rafforzarlo, ma nell'accumulare sempre maggiore energia e consapevolezze per ribaltarlo.
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