venerdì 3 ottobre 2014

Memorie di una femminista non pentita (IX)

E' dura per una vecchia femminista come me rendersi di come sia difficile liberarsi delle immagini di genere interiorizzate, malgrado anni di femminismo.
Ad esempio, quando mi accorgo che alcune giovani donne con le quali sono in rapporti amicali, affettivi o di lavoro praticano apertamente e con spregiudicatezza un certo utilitarismo nei miei confronti, quasi affermassero un loro diritto, vengo colpita in modo particolare.
Ma non come si viene colpiti normalmente, quando si incontrano comportamenti del genere, in coetanei e coetanee, ma più a fondo, mi scopro improvvisamente senza difese.
Mi trovo allora a vivere in una dimensione oscillante tra un ragionamento giustificatorio - l'emergenza del momento di crisi generale, la pressione degli impegni...-  e un sentimento di delusione acuta.
E' dura per molte ragioni, e non parlo solo dei colpi al mio ego, ma per la consapevolezza che, malgrado l'attenzione e i discorsi fatti e ascoltati, la strada verso l'uscita dal patriarcato è ancora lunga, prima di tutto dentro di me.
Se è stata una battaglia femminista affermare la necessità per le donne di dotarsi di autostima, di conquistare indipendenza di giudizio e autonomia di comportamenti, al di fuori di attese sociali e stereotipi di genere, di contrastare insomma le aspettative di oblatività affettiva e pratica, che sono ritenute caratteristiche "naturali" della femminilità compiuta, trovarsi di fronte a atteggiamenti e conseguenti comportamenti improntati ad un'economia di scambio e null'altro, mi spiazza. 
Mentre sono preparata ad aspettarmi trattamenti analoghi da parte di uomini, e donne della mia età, qualcosa mi fa velo di fronte a donne più giovani e dalle quali mi aspetto una sorta di "riconoscenza" per le battaglie, anche dolorose, intraprese nel corso della vita.
Ma è proprio questo l'imbroglio, quasi un residuo di fiducia in una sorellanza intesa come "dato di natura", per il solo fatto di essere donne, in aperto contrasto con la convinzione e il desiderio di essere riconosciute come persone complesse, più o meno disponibili verso gli/le  altri/e, più o meno concentrate su se stesse, più o meno prepotenti, in altre parole donne valutate per  le caratteristiche soggettive, e non per appartenenza di genere. 

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