venerdì 8 gennaio 2016

Figliolanza

Quando ero adolescente negli anni Sessanta, il mio percorso di aspirante emancipata non prevedeva i figli, nel senso che, come ho già detto, non mi vedevo neppure sposata.
A vent'anni, "caduta in amore" per un ragazzo, non solo mi sono felicemente unita in convivenza (tramite matrimonio), ma ho fantasticato di avere almeno tre o quattro figli, ci siamo fermati a due, il primo concepito e partorito agli inizi degli anni Settanta, in pieno avvio del femminismo.
Un rammarico che mi è rimasto è di averlo portato in grembo, e poi allattato, nel corso di riunioni di Collettivi e di Gruppi di Autocoscienza molto vive e piene di energie positive, ma anche, ahimè, sature di fumo, anche io ho fumato durante gravidanza e allattamento.
Alla luce delle conoscenze di oggi non l'avrei fatto.
Io e mio marito abbiamo scelto un lavoro che non ci ha reso molti soldi,  insegnanti, ma ci ha lasciato tanto tempo libero per "goderci" i bambini, giocare con loro, divertirci insomma, compensandoci per quello che ci era mancato nelle nostre famiglie di origine.
E' anche vero che in assenza di una rete familiare, mia o sua, di sostegno, ho avuto spesso l'impressione di non poter occuparmi di tutti i miei interessi di allora a causa della cura dei figli, anche se egualitariamente condivisa con mio marito.
Ma nel corso della vita mi sono anche accorta che non sempre la mancanza di risultati è attribuibile alla mancanza di tempo, ma a altri motivi, soggettivi.
Mi sono venute in mente queste considerazioni mentre continuo a seguire il dibattito attuale sulla GPA (Gravidanza per altri), espressione che non mi piace, ma preferisco a quella di maternità surrogata.
All'inizio del discorso, di fronte a proclami che invitavano a sostenere o condannare questa pratica, modalità consueta per dividere l'opinione pubblica in favorevoli e contrari, semplificando questioni e problemi, mi sono augurata che si avviasse un dibattito serio e meditato, oltre che collettivo.
Ora devo dire che il mio auspicio si è avverato, sui giornali, sulle bacheche dei social si moltiplicano riflessioni, oltre che prese di posizione.
Prescindendo dalle dichiarazioni strumentali a fini politici di molte e molti, leggo con interesse le posizioni espresse  in merito, le argomentazioni addotte, oltre che le notizie che cominciano a  affluire in relazione alle sitazioni nelle quali la pratica è autorizzata.
Due fatti in particolare mi hanno colpito, la morte di quella donna che aveva partorito otto figli, di cui cinque per altri, a causa della rottura della placenta durante l'ennesima gravidanza iniziata a tre mesi dall'ultimo parto.
La notizia letta oggi di una causa intentata una donna, che si dichiara pro-life, e rifiuta di rispettare la clausola del contratto che le prescrive l'interruzione di gravidanza dal momento che il contraente non intende più avere figli.
Sembra che i contratti prevedano clausole del genere.
Devo dire che più leggo e più sono turbata; mi ero illusa che la mia condizione di madre e femminista da quarant'anni interessata a questi temi  mi permettessero una serena e meditata riflessione, non è così.
Mi sento catturata da sentimenti diversi e contrastanti tra loro, da ragionamenti contraddittori,  so solo quello che non voglio: il ricorso a provvedimenti semplicisticamente repressivi e/o punitivi da Stato etico, l'esaltazione di una mistica della maternità che serve solo a piegare le donne a volontà esterne a loro e a impedire un'autonoma presa di coscienza, l'equivalenza assurda tra interruzione di una gravidanza e gravidanza per altri, presentata come scelta alternativa per la vita o per la morte.
L'altrettanto assurda equivalenza tra gravidanze per altri e donazione/vendita di organi, le pelose e credo ipocrite esaltazioni di comportamenti motivati da sentimenti di generosità, sensibilità...
Forse bisognerebbe ragionare prendendo la cosa dall'altro lato, non quello delle donne, ma quello dei bambini e delle bambine che verrebbero messi/e al mondo; domandarsi che desiderio autorizzi donne e uomini a usufruire di tecnologie per procurarsi bambini/e a piacimento, ricorrendo addirittura a "intermediarie," senza tener conto delle migliaia di piccoli/e che già esistono e vivono vite infelici nei vari istituti di accoglienza.
E' anche questa una questione di cultura, di chi vive situazioni economiche privilegiate, piccola minoranza in un mondo di persone condannate a miseria e desolazione?
Tutte considerazioni che mi sembrano fragili e insoddisfacenti, ma cercherò comunque di capire sempre di più.

2 commenti:

  1. A me la 'gravidanza per altri' - definizione perfetta perché semplice e priva di pieghe più o meno ideologiche - non piace. Non me ne servirei mai e poi mai. Perché non sarebbe il figlio mio e della kia compagna, come si fa a credere che il feto che cresce dentro l'utero alimentato dal sangue della donna e dalle sue emozioni per nove mesi non ne sia plasmato? Il desiderio di avere una maternità o una paternità in questo modo non è forse equiparabile a qualsiasi altro desiderio da supermercato? Un intervento normativo dello stato non è mai auspicabile e non esiste il reato di consumismo ignobile però, etica o no, noi non ci aggiriamo, per quello che vale, nell'area del consumo sostenibile contro la filosofia neoliberale? Chi proprio non ce la fa a stare senza figli si accomodi ad adottarli, come dice Adriana, ce n'è in sovrabbondanaza. Scusate ma a me non commuove per niente questo desiderio, non è su questo piano che i 'difetti' fisiologici meritano lo studio dei rimedi, credo che a monte ci sia una mentalità miserabile da piccolo borghesi cresciuta tra bottega e soggiorno con la tv. P.

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  2. OK. Ma il fatto è che come molti dei "bisogni" in sistema capitalistico anche questo è indotto e sorretto dalle tecnologie.
    Al di là delle posizioni personali, continuo a dire che è da analizzare come effetto di un sistema culturale -economico -sociale che mette la vita al lavoro di produzione, nei vari modi possibili.
    Credo sia l'unica prospettiva dalla quale affrontare il problema, altrimenti si incorre nella trappola di favorevoli/contrari, penalizzazione delle donne che lo fanno (mute, carceri...)
    Come per la prostituzione, l'altra faccia della riproduzione, non si può abolirla, come sperano molt*, non si possono perseguire le/i colpevoli, le/i sexworkers che chiedono riconoscimento e rispetto, con motivazioni etiche o di ordine pubblico; ma neppure ignorare che il fenomeno è il portato dello scambio di genere sesso/denaro organizzato dal patriarcato

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