sabato 30 gennaio 2016

L'ossessione identitaria

In questo bailamme di parole, fatti, eventi tragici, a volte ridicoli, imprevisti, scontati, mi sembra che una costante di fondo sia l'ossessione identitaria, sia individuale che collettiva.
Per una che ha vissuto la stagione dell'attacco alle identità stabilite e imposte dalla norma sociale, a partire da quelle femminili e maschili tradizionali, è un fiero colpo.
Ma mi rendo anche conto che quarant'anni fa si era in clima di grandi cambiamenti sociali, in un paese come il nostro, rinchiuso in un ambito culturalmente asfittico, dominato da due egemonie culturali, quella cattolica e quella del partito comunista, che concordavano su molti aspetti relativi a ruoli sociali e funzioni attribuite alle donne (e simmetricamente agli uomini).
Ricordo l'elogio di un dirigente comunista, negli anni Cinquanta, delle compagne, russe mi pare, che consideravano la verginità come un valore da custodire, mentre Maria Goretti veniva proposta a noi bambine come esempio alto da seguire.
Quarant'anni fa donne e uomini, in maggioranza giovani,  hanno scompaginato e rivoluzionato abitudini mentali consolidate, comportamenti ritenuti imprescindibili, stereotipi culturali considerati verità inconfutabili, gli strumenti principali di ogni identità..
Era un momento di forza e di espressione di intelligenza creativa, mondiale.
Oggi è il contrario, gli attacchi sistematici condotti nei confronti di chi non si adegua, personalmente e collettivamente, alle regole di un sistema, capitalistico-patriarcale, che detta legge in tutto il mondo, pur con differenza di forme, gradi e livelli di costrizione materiale e simbolica, hanno sortito il loro effetto sia a livello economico-sociale (precarietà, povertà delle fasce lavoratrici) che a livello culturale (paura di invasioni, guerre, malattie, aggressioni varie portati da altre/i).
Chi si sente fragile, impotente, in pericolo continuo, ricorre alla protezione delle identità nazionali, sessuali, valoriali, religiose, per non sentirsi solo/a e esposto/a alle aggressioni.
Ma è proprio il gioco delle identità quello che serve a chi comanda, per tenere divisi e possibilmente in lotta tra loro i sottoposti, per esercitare un controllo più minuzioso.
In alcune società europee, e anche in quelle di altri luoghi, stando alle ricerche delle etnologhe, la consegna è di tenere rigorosamente separate le prostitute e le donne per bene, matrimoniate e matrimoniabili, il pericolo è la confusione dei ruoli. Se mantenute separate le prostitute godono anche di prestigio, non parlo certo delle schiave e schiavizzate.
Così si "rispetta", almeno da buona parte delle persone non ideologizzate dalle religioni, l'omosessualità, maschile certo, perché il lesbismo si preferisce ignorarlo, purché sia netta la divisione tra omo e eterosessualitò di una persona, non si accettano facilmente la bisessualità, che è una condizione potenzialmente più comune di quanto si immagini, neanche parlare di transsessualità.
Che anche le identità sessuali siano chiare e non confuse.
In questa prospettiva si afferma sempre più il multiculturalismo, altro elemento di distinzione, differenziazione all'interno di società, che permette un controllo  rigoroso, di persone e gruppi.
Quando riprenderemo a liberarci di queste ossessioni identitarie  coercitive dell'autodeterminazione di ciascuna/o?


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