mercoledì 30 marzo 2016

Memorie di una femminista non pentita, XVIII: dubbi e certezze

Mi rendo conto di essere sempre più infastidita, forse perché il tempo che mi resta si accorcia sempre più, da comportamenti ammonitori, con o senza ditini alzati, da posizioni assolute e intransigenti nei confronti di chi esprime dubbi su temi di grosso impatto motivo.
Nei primi vent'anni della mia vita non ho avuto molte incertezze, protetta dalla fede religiosa, la bussola che mi faceva correggere agevolmente  le mie erranze.
Quando la cultura, intesa come conoscenza del mondo, delle idee, delle vite di persone più o meno lontane nel tempo e nello spazio, mi ha fatto crollare quella che da allora in poi mi è sembrata un'illusione, è cominciata la mia vita di dubbi riguardo al senso generale della mia vita e di quella degli altri e altre.
Ho ceduto ancora a forme di rassicuranti certezze -presenti nelle ideologie- ma non sono durate a lungo.
Il risultato è che di fronte a argomenti, questioni che mi toccano nel profondo cerco sempre di documentarmi il più possibile, attratta soprattutto dalle idee diverse dalle mie, per cercare di capirci qualcosa; anche quando arrivo a formulare dentro di me un'argomentazione che mi soddisfa, non riesco a eliminare un aroma di dubbio, un breve sostare se.. ..forse..., è come se presentissi che potrei anche dover rivedere tutto, di fronte a considerazioni nuove.
Una posizione comoda per niente comoda.
Ha influito anche la deformazione professionale di abituare i e le mie studenti, negli anni di insegnamento, a esercitare un controllo critico su quanto veniva loro insegnato da testi scolastici e insegnanti stessi, senza prendere tutto per oro colato o, simmetricamente, senza rifiutare in blocco tutto per partito preso. Cosa che mi è stata facilitata dal fatto di insegnare storia e italiano, mi rendo conto che sarebbe stato più difficile tenere lo stesso comportamento insegnando matematica e fisica, almeno a livello delle scuole secondarie.
Torno al fastidio iniziale, seguo da mesi il dibattito sulla GpA, la gravidanza per altri, come mi ostino a chiamarla, anche se neanche questa espressione mi convince. Sono sicura che per tutte e tutti è un tema che afferra le viscere, ho letto contrapposizioni molto nette tra chi si dichiara favorevole e chi contraria, con una vis polemica sia da una parte che dall'altra che mi ha respinto.
Io apprezzo chi difende con passione le proprie idee,  anche io mi scaldo nei dibattiti, ma non sopporto chi nel difendere la propria posizione toglie legittimità a qualunque altra, bollandola di ingenuità e superficialità, se va bene, di complicità con il nemico, se va male.
Forse questo è il modo di comportarsi dei e delle leader, di chi sente la responsabilità di guidare verso la verità, delle guide spirituali e religiose, ma il mio problema è che dopo la religione non ho più trovato verità assolute, ma frammenti di percorsi, barlumi di speranze, sempre a rischio di ripensamenti.
Mi guidano l'attenzione ai dati di realtà, oggi largamente disponibili in rete, agli eventi quotidiani di donne e uomini in carne e ossa, alle riflessioni di chi a mio parere si sforza di tenere a bada dentro di sé pregiudizi e aprioristche covinzioni.
Oggi che dopo più di quarant'anni di femminismi si è squarciato finalmente il tessuto  patriarcale che nascondeva la realtà delle relazioni donne uomini, donne donne, uomini uomini, ci sono le possibilità di allargare smagliature e strappi, di bucare punti lisi, tenendo come sfondo e  obiettivo da raggiungere il rovesciamento di un sistema e un ordine del discorso millenario.
Non è un'impresa da poco e soprattutto rapida,  perché ha a che fare con trasformazioni di natura antropologica, e i tempi antropologici sono molto più lenti di quelli storici.
Ma gli strumenti cominciano a essere a disposizione.

1 commento:

  1. Sei riuscita, con poche e chiare parole, a esprimere il mio pensiero. Grazie.Paola

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