In tempi di stucchevoli
domande se il femminismo è vivo o morto, se è stato o no complice di un’accelerazione
del neocapitalismo (secondo l’affermazione di una studiosa che ha avuto grande
eco sui mezzi di comunicazione nostrani, Nancy Fraser) proponendo un’emancipazione di donne che
utilizzano a proprio vantaggio ogni possibilità offerta dal mercato e dalle
tecnologie, occorre ricordare che cosa è stato il femminismo nato in Italia
agli inizi degli anni Settanta.
I primi nuclei di donne che
si trovarono a parlare di quella che allora era chiamata la questione femminile affermarono da subito la loro distanza dalla
prospettiva emancipazionista, condotta da anni da parte dell’associazionismo
femminile, e dalle Commissioni dei partiti, in particolare Cif e Udi.
La differenza tra
emancipazionismo e femminismo consiste nella volontà di quest’ultimo di scardinare
un ordine culturale e sociale fondato sulla divisione patriarcale di ruoli e
funzioni, invece che limitarsi a richiedere diritti per correggere gli aspetti
strutturali di discriminazione e subordinazione delle donne rispetto agli
uomini, mentre la prospettiva emancipazionista si propone di migliorare
l’assetto del sistema rendendolo più giusto e equalitario.
Alcuni temi che
ricorrono frequentemente nel dibattito attuale, specie tra donne giovani rimandano a questioni ampiamente dibattute all’interno
del movimento delle donne degli anni
Settanta, segno che molte questioni non sono state ancora risolte.
In termini di
permanenza abbiamo il tema della maternità, declinato allora nella prospettiva
di maternità cosciente perché In una situazione nella quale in Italia era
proibita la contraccezione, se non quella ammessa dalla chiesa, definita metodo
naturale, il ricorso all’aborto
era una questione di classe, chi aveva soldi lo effettuava in sicurezza, le
altre rischiavano patologie e la vita.
La questione
dell’aborto, sovente riassunta nei mezzi di comunicazione con la semplicistica
espressione diritto di aborto, era inserita nella prospettiva della
scelta autonome delle donne di avere o non avere figli, l’espressione diritto
d’aborto era rifiutata da una parte consistente del movimento femminista allora
come oggi, perché maschera la dimensione di violenza e sofferenza fisica e
psichica che procura un aborto ad ogni donna che decida di farvi ricorso.
Oggi si è
ancora in presenza di tentativi ripetuti di cancellare la legge e, nel caso non
riescano, a renderla inapplicabile per mezzo dell’obiezione di coscienza, ma il
tema della maternità è coniugato con quello della precarietà del lavoro.
Un’altra
permanenza riguarda il tema della sessualità, la tanto sbandierata rivoluzione
sessuale si è dimostrata nella realtà una modernizzazione dei costumi, che ha
cancellato il ritardo storico di cui soffriva l’Italia in questo campo; non si
sono risolti i problemi, anzi si sono complicati con il fiorire di istanze
neoliberiste che inducono alcune donne a mettere a profitto lo scambio sessuo- economico,
che fonda la relazione patriarcale tra donne e uomini, stravolgendo il significato dell’espressione l’utero è mio e lo gestisco io. Espressione che allora intendeva
affermare la volontà delle donne di sottrarsi al controllo di uomini (mariti,
padri, fratelli) medici e preti del loro corpo e delle loro funzioni sessuali e
riproduttive.Un’altra permanenza riguarda il tema che allora si chiamava doppio lavoro (lavoro domestico di
manutenzione di ambienti, persone, cose) e il lavoro fuori casa, e che oggi si
chiama cura.
Il tema fu
subito presente alla riflessione femminista, ma venne trascurato dalla parte
del femminismo più presente nei media e da molte femministe stesse.
Negli anni Settanta alcuni collettivi femministi, in particolare veneti,
milanesi e emiliani, riuniti nel gruppo Lotta femminista, misero a punto
analisi molto sofisticate della funzione delle donne nel privato e nel sociale,
funzione fondata sullo sfruttamento del ruolo femminile naturalizzato e base principale
dell'accumulazione capitalistica. L'analisi del lavoro domestico, affettivo,
relazionale, di sostegno psicologico, sessuale e sentimentale, erogato dalle
donne in nome dell'amore, ebbe anche una buona diffusione in libri e documenti
che circolarono anche in fabbriche e scuole, ma la pratica a cui diede luogo non
raggiunse i risultati sperati. Ad esempio l'iniziativa dello sciopero del lavoro domestico non ebbe
successo, non solo per il sentimento di abnegazione
interiorizzato dalle donne, ma perché le prime a essere colpite da questa
forma di lotta sarebbero state proprio le donne, che nelle case ci vivono,
mangiano, ci cucinano, che riordinano, i luoghi nei quali vivono insieme alle
altre e agli altri.
La ricchezza e la complessità delle analisi fu semplificata e
troppo presto liquidata nel movimento stesso, inoltre l’espressione salario al lavoro domestico, adottata
dalla parte veneto-emiliana di Lotta Femminista, non quella milanese, fu strumentalmente fraintesa non solo dagli
oppositori e dalle oppositrici al femminismo, ma anche da molte donne del
movimento; fu considerata sinonimo di
pensione alle casalinghe e in quanto tale combattuta come strumento non
solo inadeguato economicamente ma destinato a fissare e confermare il ruolo
femminile all’interno della società..
Il femminismo italiano che
ebbe maggiore risonanza si dedicò all’indagine delle complicità delle donne con
l'ordine del discorso dominante, alla ricerca delle immagini di genere
interiorizzate, delle implicazioni, consce e inconsce con il sistema che si
voleva combattere.
L'errore fu la contrapposizione dei due momenti, che, ugualmente
importanti, avrebbero dovuto procedere parallelamente, e non escludersi a
vicenda.
Ricademmo in questo modo nella contrapposizione dualistica che
mettevamo in discussione in altri campi.
Il discorso del lavoro invisibile delle donne si diffuse in altre
aree dell'Europa e degli USA.
Oggi penso che per l'Italia il discorso fosse troppo anticipatore,
non a caso torna prepotentemente alla ribalta in questa temperie politica,
sociale e culturale.
Rispetto poi
alle domande che cosa è cambiato negli ultimi trent’anni e cos’è oggi fare
politica,
c’è da
osservare che sono cambiate certe condizioni, ci sono più donne nei posti che
contano, nel lavoro, nella politica, si fanno discorsi sulla femminilizzazione
del lavoro, sul valore aggiunto dell’avere donne nelle organizzazioni, ma se
questa massiccia presenza delle donne non esita in un reale cambiamento delle
relazioni donne uomini, nella sostanza, non nella superficie, anche in questo
caso si tratta di modernizzazione semplicemente.
Frequentando
donne giovani oggi colpisce il fatto che molti aspetti di quelle discussioni,
dibattiti, riflessioni sono ignorati, eppure i Centri
e le Case delle donne, nati numerosi negli anni ’80 in molte città, hanno fatto un egregio lavoro d'archivio, non
solo per preservare, ma per rendere leggibili i documenti del primo femminismo.
Donne dei Centri, delle Librerie e delle Biblioteche delle donne e
documentaliste hanno lavorato per raccogliere e organizzare testi, volantini,
ciclostilati dispersi nelle case, hanno inventato nuovi sistemi di
classificazione e linguaggi di indicizzazione. C'è stato a Milano un Convegno
internazionale sul tema, finanziato dalla CEE, e gli Atti sono stati
pubblicati; è pubblicato Linguaggiodonna.
Il primo Thesaurus di genere in Italiano, costruito sui documenti del Centro di
studi storici di Milano. Sono stati pubblicati anche libri che ricostruiscono
la storia, penso a Bologna, Milano, Torino, Genova, e altre città.
E' nata la Rete Lilith, che ha costruito una banca dati di tutto
il patrimonio di idee e esperienze espresso dal femminsimo in Italia. Tutto
lavoro ignorato completamente dai mezzi di diffusione di massa e trascurato da
buona parte del femminismo, almeno quello di donne tese a accreditarsi presso
le istituzioni che contano, a ricevere riconoscimenti pubblici. Oggi si vedono
i risultati: ignoranza assoluta da parte di molte/molti, mistificazioni e
tentativi di piegare il femminismo alle proprie idee.
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