Sono superstiziosa e, senza enfatizzare la coincidenza, non posso fare a meno di annotarla.
Il film è commovente e potente, ma in questo momento mi interessa scrivere di quello che mi ha messo in moto, piuttosto che dell'evento artistico.
La storia è accaduta realmente, nel 1945, in una zona della Polonia appena liberata dai tedeschi e controllata dalle truppe sovietiche, è tratta dagli appunti medici di una dottora francese, volontaria della Croce Rossa in un centro di recupero dei soldati francesi feriti, una giovane di 27 anni che, purtroppo, l'anno dopo sarebbe morta accidentalmente in un altro centro medico, sempre in Polonia.
La dottora viene chiamata in un convento di monache benedettine per assistere al parto di alcune di loro, violentate dai russi dopo la liberazione dai tedeschi.
Sul fatto che le truppe di liberazione, in questo caso russe, abbiano violentato donne ebree liberate, tedesche nemiche, suore, e via dicendo ci sono racconti e testimonianza, in realtà poco diffuse, per ragioni di convenienza politica. D'altronde anche gli stupri e gli abusi degli altri liberatori d'Italia non sono tanto raccontati, tranne qualche caso, La Ciociara docet, sempre per convenienze politiche; meglio soffermarsi su quanto avviene altrove, di cui purtroppo abbiamo ricca testimonianza dalla fine del secolo scorso a oggi.
Nel film però accanto alla violenza primaria, lo stupro collettivo da parte dei "maschi guerrieri" nei confronti di qualunque preda incontrino, infatti anche la dottora, intercettata da sola da un manipolo di soldati, russi evita uno stupro solo per l'intervento di un ufficiale, che evidentemente teme problemi, essendo lei una francese, cioè alleata.
Ma le intima di non farsi più sorprendere, evidentemente a viaggiare da sola, visto che appartiene alla categoria dei vincitori.
Accanto a questa violenza primaria: degli uomini sulle donne durante le guerre, ci sono altre violenze, tutte rappresentate.
C'è la vergogna e lo stigma sociale che colpirebbe delle suore, supposte vergini, che per il voto di castità dovrebbero essere né toccate né guardate, che sarebbero condannate dalla società all'isolamento, alla miseria o peggio: colpa e vergogna loro se sono state stuprate.
C'è la violenza della religione: molte sono convinte di cadere nel peccato se solo la dottora le tocca o le osserva, perché infrangerebbero volontariamente il suddetto voto di castità, la madre superiora per evitare "lo scandalo e l'umiliazione", per "proteggerle" porta i bambini e le bambine nate di nascosto neòl bosco e le abbandona lì, davanti a una croce, con l'alibi che la Provvidenza ci avrebbe pensato lei!
Crimini su innocenti, donne e neonate/i, come recita il bel titolo francese Les innocentes.
In questo orrore e sofferenza infinite, la dottora, atea e comunista in relazione con una delle suore, migliora, almeno parzialmente la situazione.
Commovente anche il rapporto tra queste donne, dalle scelte di vita, dalle idee, dalle soggettività così diverse, eppure così lucide su quello che occorre fare per contrastare la tragedia.
Ognuna rinuncia a qualcuna delle proprie convinzioni e alle resistenze interiori, lo si vede dalle inquadrature dei visi, pensosi mentre pendono le decisioni, per collaborare con l'una con l'altra.
Torno alla coincidenza di cui ho parlato all'inizio e alla costruzione della Manifestazione di Roma contro la violenza maschile sulle donne, a tutte le polemiche che l'hanno accompagnata, a tutti i ritiri dalla Manifestazione di donne singole e in gruppi in nome di principi inderogabili, a tutte le giustificazioni, tutte valide, prese una per una.
Ma la lezione dell'episodio narrato nel film non può essere ignorata.
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