Continuo a scoprire, grazie a fb, cose molto interessanti, nel senso che grazie alla battaglia referendaria e alle posizioni dichiarate da molte prima e dopo il 4 dicembre risultano evidenti come non mai le differenze di idee, pensiero e prospettive tra femministe, anche di lunga data, e quindi con alle spalle anni di riflessioni, errori, ripensamenti (parlo per me).
Le vicende del Referendum, lo scontro tra femministe sostenitrici del Sì e del No hanno chiarito meglio che altre volte, forse per l'impatto mediatico assunto dalla campagna referendaria, la distinzione fondamentale tra femminismo della parità, o femminismo delle pari opportunità, o femminismo istituzionale -tutte definizioni più o meno approssimative che ritengono che i problemi di relazione donne uomini si risolvano riconoscendo il merito delle donne in tutti i campi pubblici, oltre che nel privato- e femminismo che mette a fuoco le relazioni tra donne e uomini a partire dal dettato patriarcale della divisione sessuale del lavoro, dei ruoli, delle funzioni.
Io credo comunque che ogni provvedimento, politica o scelta che migliori la situazione sociale e personale delle donne in generale sia ben accette, e sostengo le lotte collettive condotte dalle donne per migliorare la qualità della loro vita, in ogni campo e settore, ma ritengo che non si possa limitarsi a accomodarsi nel sistema attuale di vita e di lavoro, senza cercare contemporaneamente modi e strumenti per cambiarlo radicalmente
Negli ultimi tempi ho frequentato molto più del solito f.b, e proprio in occasione dei due grandi eventi: campagna referendaria e Manifestazione di Roma contro la violenza maschile sulle donne ho notato il riproporsi di meccanismi identitari sia in termini partitici che di gruppi femministi.
Alla fine degli anni Sessanta, quando si formarono in Italia i primi gruppi del Movimento l' identità femminile, alla quale dovevano conformarsi le donne reali, fu indagata, scomposta nei suoi tratti essenziali; l'obiettivo delle ricerche teoriche e delle contemporanee pratiche politiche era quello di destrutturare l'identità femminile tradizionale, analizzando i modelli sociali e culturali nei quali era stata tradizionalmente inscritta e criticandone la naturalizzazione.
Negli anni Ottanta si verificò un cambiamento semantico, si preferì parlare di soggettività, la parola soggettività pone l'accento sul soggetto dei processi di individuazione, e quindi sulla differenze tra i vari soggetti, mentre il termine identità richiama in primo luogo il concetto di appartenenza -a un genere, una classe, un sesso, una collettività, una etnia, una lingua, un gruppo politico, una squadra, un esercito, una religione .....- insomma a un gruppo sociale omogeneo per certi tratti, individuati e promossi a elementi determinanti l'inclusione o l'esclusione di altri/e che non condividono quei tratti.
Di qui la logica della contrapposizione noi/voi (loro), con le distorsioni in amico/nemico, buono/cattivo, e tutte le contrapposizioni escludenti che abbiamo sentito formulare nel corso nella nostra vita.
E' quanto è avvenuto in questo ultimo mese e mezzo, appunto tra femministe, non solo riguardo al Referendum, ma anche riguardo alla partecipazione alla Manifestazione.
Non si tratta di assegnare patenti di veri o falsi femminismi, anzi proprio la loro contrapposizione, alimentata a volte dai giornali come se i meccanismi identitari costituissero l'unico mezzo di relazione e confronto tra persone e gruppi, costituisce un'arma di distrazione di massa dai veri temi in questione.
Si tratta di prenderne atto, senza cadere nella trappola, senza rinunciare alle ragioni del confronto, e anche conflitto, tra opinioni e ideali diversi.
Senza cioè deragliare in guerre, che giocano solo al mantenimento dello status quo.
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