lunedì 9 gennaio 2023

Riprese. 2 Donne soldi, scambio economico-sessuale

 Molte donne rivelano spesso nella quotidianità atteggiamenti e comportamenti ambivalenti e contraddittori nei confronti dei soldi, per eccesso o per difetto di attenzione, anche se poi nel lavoro si dimostrano efficienti amministratrici finanziarie. 

Qualche esempio, la Presidente di un'Associazione femminile, alla perenne e faticosa ricerca di finanziamenti che permettessero lo svolgersi delle attività, dichiarò: "Meno male che siamo povere, se no guai!", dando per scontato un inevitabile inquinamento delle relazioni tra le socie, peraltro tutte volontarie, provocato da un eventuale, e sempre sperato, afflusso di soldi. 

D'altra parte la sua espressione era frutto di esperienze dirette di rapporti problematici scoppiati in gruppi e associazioni di donne in presenza di finanziamenti pubblici.

Malgrado che negli ultimi anni sia notevolmente aumentato il numero  donne manager,  capaci amministratrici di bilanci, raffinate esperte finanziarie, recenti inchieste confermano che nella vita privata le cose vanno in modo diverso, c'è chi si  confonde nel compilare assegni,  c'è chi delega a uomini di fiducia la gestione di somme personali da investire, per svariati motivi, per non parlare della tendenza di certe donne, tra le quali un famosa economista, Elinor Ostrom, premio Nobel, che dichiarava di  non portare con sé il portafoglio quando usciva. 

Ho riscontrato in prima persona una punta di imbarazzo in alcune professioniste al momento di richiedere il pagamento delle parcelle, qualcuna mi ha confessato di aver lasciato perdere in qualche caso, dopo una prima richiesta andata a vuoto.

A questi comportamenti è da aggiungere la frequente contrapposizione tra attività gratuite, dettate da nobili sentimenti, quali amicizia, affetto, amore, solidarietà verso i e le fragili,  e altre attività della stessa natura che risultano come svilite se motivate dal desiderio/necessità di guadagno; come se si temesse, mostrando interesse ai soldi nel campo delle attività di cura (assistenza sanitaria, psicologica, legale, educativa) di deludere le aspettative sociali, venendo meno a una disposizione ritenuta naturale  propria delle donne, vale a dire  la tendenza all'oblatività, all'offerta gratuita e disinteressata verso il prossimo.

L'operazione più o meno consapevole perché profondamente interiorizzata da donne e uomini consiste appunto  nel naturalizzare aspetti storici, culturali, sociali, politici. In questo caso viene considerato tratto costitutivo di una femminilità socialmente riconosciuta e incoraggiata il paradigma storicamente determinato del materno, nel quale lo scambio avviene tra due soggetti asimmetrici rispetto al potere: madre onnipotente e neonato debole, indifeso e dipendente - secondo questo modello la sopravvivenza del debole dipende dall'amore e dalle cure materne.

Il discorso chiama in causa le varie forme, gradi e livelli di poteri e contropoteri giocati nei rapporti tra donne, e tra donne e uomini, in un società in cui il denaro, oltre a costituire una delle principali risorse di vita, è lo strumento fondamentale di mediazione materiale e simbolica nelle relazioni sociali, misura del valore di ogni realtà.

Mi preme qui mettere a fuoco due aspetti, tra i tanti implicati, in cui si articola la questione, in riferimento alle parole chiave: autonomia/dipendenza, soldi/sessualità, sec ondo le ferre regole dello scambio economico-sessuale

Il disagio a cui si è accennato appare una conseguenza del conflitto tra i due modelli di femminilità con cui si confrontano le donne ancora oggi: quello di un femminile, a lungo dominante nel nostro immaginario collettivo, anche se in realtà spesso contraddetto anche in passato nella pratica sociale, quello materno-oblativo, e quello delle pratiche economiche che conosciamo e con le quali ci misuriamo, che si fondano su un presunto rapporto paritario tra soggetti, caratterizzato dall'utilità reciproca e dalla razionalità. 

Se non viene riconosciuto, il conflitto porta molte donne a autoridurre l'autonomia che deriva loro dalla conquistata indipendenza economica, per conformarle, almeno nell'ambito del privato,  ad un modello rifiutato a livello di coscienza, ma ancora operante nel profondo, e comunque garante di certe, secolari e sperimentate rendite di posizione, nicchie di privilegio, gratificazioni sociali, in cambio di un certo grado di dipendenza.

La forza di inerzia del modello dominante prolunga certe posizioni mentali, anche quando vengono meno le condizioni materiali che l' hanno prodotto, perché malgrado siano in parte mutate per le donne e gli uomini nel corso degli ultimi trent'anni le condizioni materiali di vita e gli universi simbolici di riferimento, a livello profondo in molte e molti  agisce ancora come deterrente la potente sanzione sociale che nel passato colpiva quelle che non accettavano di sottomettersi alle rigide regole dello scambio economico-sessuale tra donne e uomini.

Questa condanna sociale ha costituito per secoli una minaccia, in presenza di una codificazione dei ruoli sessuali modificatasi nel corso del tempo, ma mai completamente demolita.

Si comprende in tal modo l'automatismo dell' insulto di genere  rivolto alle donne,  profondamente inscritto nella lingua e nelle mentalità, che scatta  sia nelle donne che negli uomini in presenza  di qualsiasi sventatezza, ingiustizia, errore, cattiveria compiute da una donna, di qualunque età, professione e stato sociale.

Un fantasma potentemente attivo, dunque, il fantasma della prostituzione, orienta molti degli atteggiamenti e determina parecchi comportamenti ambigui rispetto ai soldi, anche nelle donne più avvertite e consapevoli. 











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