domenica 20 ottobre 2024

Memorie di una femminista non pentita XI, il Centro studi di Milano, I parte

Con la fine del Gruppo per l’espressione della donna terminò per me la pratica dell’Autocoscienza, l’ultimo periodo era stato faticoso sia nella dimensione politica che in quella personale, ero entrata in una fase di turbamenti e confusione, mi dedicai a cercare di risolvere le difficoltà materiali e psicologiche di vita e lavoro.

Mi allontanai dai luoghi del Movimento e persi di vista le mie amiche femministe.

Nell’agosto dell’’80 conobbi a Londra Pierrette Coppa, che era lì per approfondire i suoi studi di psicoterapeuta.

Mi aveva messo in contatto con lei Laura Grasso, compagna del gruppo di autocoscienza, Pierrette mi trovò anche la sistemazione in casa di un’amica.

 Passammo insieme tutto il mese, spesso mi accompagnava a scoprire luoghi particolari di Londra,
lontani da quelli turistici, città che conosceva benissimo perché più volte aveva trovato lavoro, anche come dogsitter.

La sua famiglia, di modeste condizioni, era emigrata in Francia al tempo del fascismo, al ritorno in Italia Pierrette aveva svolto vari lavori, andando anche spesso in Francia e Inghilterra, mentre studiava, finché era approdata alle edizioni Mazzotta di Milano, dove aveva conosciuto Elvira Badaracco, autrice di testi sulla salute e sulla condizione delle donne lavoratrici, pubblicati dalla casa editrice.

Elvira aveva lasciato  il Partito Socialista quando Craxi ne era diventato Segretario, era ancora piena di energia e di voglia di politica e accettò con entusiasmo il progetto di Pierrette,  che la considerò la persona giusta per occuparsi del Centro a tempo pieno.

A Londra Pierrette, venuta a conoscenza del  mio recente passato di femminista, mi invitò a frequentare il Centro, mentre osservava ironicamente che appena costituito il Centro studi se ne era andata per studio e lavoro.


Nell’agosto dell’’80 il Centro aveva sette mesi di vita, essendo stato costituito il 28 Dicembre 1979.

 Le intenzioni delle socie fondatrici a proposito delle attività del Centro divergevano alquanto. All'inizio Pierrette, di fronte alla massa di manoscritti di donne che affluivano alla casa editrice e finivano per essere  scartati, aveva pensato di raccoglierli e salvarli. Elvira pensava piuttosto a testi di carattere politico-istituzionale. Le giovani femministe contattate per affiancare Elvira nel lavoro del Centro, Maria Beatrice Perucci e Pucci Selva insieme con altre socie che aderirono da subito all’iniziativa, orientarono la raccolta su documenti e testi del  femminismo.

Il primo Bollettino del Centro, del Marzo 1981, riporta lo Statuto e l’elenco delle socie: 30 tra ricercatrici, accademiche, sociologhe in prevalenza, più  due Centri già attivi: DWF e la Cooperativa Lenove, più una socia corrispondente dall’università del Quebec.

 Il Bollettino numero 1 del  Centro inizia in questo modo:
"Facciamone in breve la storia.
La voglia di raccogliere, conservare, capire i tracciati della nostra storia di donne è nelle cose da anni: Centri di documentazione, Libreria di donne, Gruppi di ricerca, Radio Libere, sorti un po’ ovunque, sono segno di un procedere spesso per piccoli gruppi, in questa direzione.
Di questi gruppi, alcuni hanno voluto e saputo riferirsi ad una realtà ampia, nazionale, e sono oggi molto conosciuti; altri sono ‘visibili ‘solo al contesto locale.
Ma tutti sono sorti, sempre con pochissimi mezzi, per una forte volontà delle donne.

Forse l’intenzione prima che muove ognuna di queste realtà…è la volontà di capire…la nostra realtà di oggi.
…..

Negli incontri del primo periodo abbiamo individuato e definito tre settori di lavoro su cui impegnare il Centro:

-raccogliere e organizzare l’archivio del materiale documentario prodotto in Italia negli anni del nuovo femminismo

-creare un nucleo di biblioteca specializzata

-creare al nostro interno situazioni di ricerca e nello stesso tempo raccogliere l’informazione e farla circolare su ciò che che nei diversi ‘luoghi’ si sta producendo...."

 Seguono lo Statuto, composto di 14 articoli, che delinea anche la struttura organizzativa: presidenza, segreteria, poi l’elenco delle socie, quindi la comunicazione della ricerca in corso, che intende raccogliere tutto quanto espresso dalla nuova coscienza delle donne, materiale edito e inedito, che darà luogo al volume “Dal movimento femminista al femminismo diffuso. Ricerca e documentazione nell’area lombarda”, Battisti, Calabrò, Confalonieri, Gay, Ghezzi, Grasso, Perrotta Rabissi, Perucci, Pezzini, Scaramuzza, Selva, a cura di Annarita Calabrò e Laura Grasso, Franco Angeli, Milano, 1985, pp.558

Purtroppo oggi circola un’edizione di 267 pagine, pubblicata nel gennaio 2004, privata della seconda parte, quella che dava conto delle attività delle altre città lombarde, ricche di iniziative, condotte in situazioni problematiche per molte donne, ad esempio le Valli alpine, caratterizzate dalla emigrazione degli uomini verso la Svizzera.
Realtà considerate “periferiche” in un’ottica da un lato milanocentrica, dall’altro schiacciata sul filone del femminismo delle analisi dell’inconscio, del simbolico, della psicanalisi.

La rappresentazione del femminismo nei mezzi di comunicazione di massa e anche le ricostruzioni di femministe, purtroppo, hanno alimentato l’idea che il  femminismo focalizzato sull'inconscio, sul simbolico con i suoi sviluppi teorici, sia stato l’unico filone di femminismo attivo e valido, almeno a Milano, a discapito dei filoni materialisti, concentrati su temi sociali, economici, di conflitto di classe.

Distorsione che è stata in parte corretta a partire da 2000.
L’analisi di questa seconda parte della ricerca Dal Movimento femminista...sarà l’argomento della prossima puntata della mia Memoria.
 
Il cuore del progetto del Centro fu l’archivio, quindi, che diede vita a tutte le intense attività di studio e ricerca  di sistemi di classificazione che consentissero la rappresentazione dei contenuti specifici espressi dal patrimonio del materiale raccolto, edito e inedito.

Si arrivò all’organizzazione a Milano nel 1988 del Convegno Internazionale sulle esperienze di organizzazione e informazione delle donne europee, patrocinato dalla CEE.  

Convegno che registrò la partecipazione di numerosi Centri, Archivi e Biblioteche italiane e estere nel quale si confrontarono i vari sistemi adottati dai Centri per fare emergere la specificità dei contenuti dei testi, editi o inediti,  a firma di donna..

Gli Atti  e gli interventi al Convegno sono pubblicati nel libro  "Perleparole. Le iniziative a favore dell’informazione e della documentazione delle donne europee", a cura di Adriana Perrotta Rabissi  e Maria Beatrice Perucci, Roma, Utopia, 1989.

 Il lungo lavoro di ricerca di un linguaggio di indicizzazione che rappresentasse adeguatamente i contenuti dei documenti delle e sulle donne portò alla costruzione  di "Linguaggiodonna. Primo thesaurus di genere in lingua italiana", di Adriana Perrotta Rabissi e Maria Beatrice Perucci, con la collaborazione, una vera e propria supervisione, di Piera Codognotto, Milano, Centro di studi storici sul movimento di liberazione della donna, 1991, Bollettino n. 6

"Linguaggiodonna" fu adottato come strumento di indicizzazione  dalla Rete Lilith, la rete dei Centri, Librerie, Archivi e Case delle donne in Italia.

 L’idea dell’Archivio non fu apprezzata da alcune femministe, che lo considerarono un congelamento della memoria e della sua documentazione, non ne fu intesa la valenza dinamica di organizzazione  delle  analisi e teorizzazioni del Movimento delle donne, per renderle fruibili alla nostra riflessione  e a chi volesse interessarsene,  oltre alla sua propria funzione di salvaguardia dalla dispersione dei documenti. prodotti dalla nuova coscienza delle donne.

Il contrario quindi di una mummificazione, ma una ripresa di temi e proposte.

In realtà nei 15 anni di vita del Centro, dal 1980 al 1994, anno in cui morirono a pochi mesi di distanza Elvira e Pierrette, nelle riunioni di Segreteria e nella pratica del Centro si confrontarono due  tendenze, una di Movimento, concentrata a lavorare sui temi della documentazione e dell'informazione, l'altra tesa a approfondire temi di carattere storico-letterario.



sabato 21 settembre 2024

Memorie di una femminista non pentita X, Perché non i fiori

 


Nel momento in cui abbiamo scelto di fare autocoscienza nel nostro sottogruppo di Lotta femminista di Milano  -eravamo in dodici, di diversa età, estrazione sociale e impegno professionale- separatismo significava la possibilità di analizzare liberamente temi intimi quali la sessualità, il rapporto con il nostro corpo, le relazioni con uomini e donne, cose delle quali mai saremmo riuscite a parlare in presenza di uomini.
Ma non c'erano solo le ragioni di riservatezza, avevamo incontrato nella nostra esperienza politica precedente il maschilismo di sinistra, nelle sue varie articolazioni, dalle più benevole e protettive alle più intolleranti, se da un lato non sarebbe stato più possibile sottoporsi al controllo politico che molti avrebbero esercitato nelle riunioni, dall'altro eravamo consapevoli del fatto che la presenza di uomini, anche in minoranza e muti, avrebbe fatto scattare automaticamente in noi il bisogno di approvazione.
E' stato difficile fare accettare questo aspetto a molti compagni di gruppi extraparlamentari, e infatti si sono verificati, non a Milano, episodi di violenza di compagni in contesti di riunioni di donne.
Qualche tempo dopo, nelle riunioni di autocoscienza ci siamo rese conto che quel famoso occhio giudicante nei nostri confronti, con lo stesso corredo di criteri di valutazione, lo sguardo maschile sul mondo e sulle relazioni, l’avevamo interiorizzato nelle nostre esperienze di vita, di lavoro e di politica, e lo esercitavamo inconsapevolmente tra di noi nella riproposizione dei ruoli, chi era più politica e razionale continuava a utilizzare schemi e parole consuete, tendeva a prendere la parola con frequenza, mostrando a volte insofferenza verso chi non concordava, chi era meno abituata a parlare in pubblico, stava in silenzio, ma un silenzio pesante e colpevolizzante.
Di fronte a questo ostacolo ci siamo proposte di aggirarlo affiancando allo strumento della parola il disegno.
Nelle riunioni di autocoscienza parlavamo contemporaneamente disegnando.
Il frutto della riflessione è contenuto in un libro, pubblicato nel 1975, nel quale noi autrici risultiamo tutte nominate rigorosamente solo con il nome di battesimo, dal titolo Perché non i fiori, Milano, La salamandra.
I nostri nomi: Franca, Ombretta, Laura G., Giulia, Laura P., Silvana, Carla, Eliana, Adriana, Luisella, Nuccia, Paola. 
In quell'occasione ci siamo chiamate Gruppo per l'espressione della donna.
Il titolo del libro e del gruppo non sono casuali, una donna dell'altro sottogruppo di Lotta femminista in risposta alla mia illustrazione del nostro lavoro mi aveva invitato in modo un po' sprezzante a andare in giro per la città a dipingere fiorellini sui muri, per sottolineare l'irrilevanza della nostra iniziativa, in seguito a questo colloquio proposi il titolo Perché non i fiori.
L'introduzione chiarisce le nostre intenzioni, ricorrere a uno strumento meno logorato del linguaggio, capace di far emergere quanto rimane di non detto nei discorsi, spesso dominati da preoccupazioni di natura logico-razionale, alla ricerca di una modalità nuova di comunicazione tra donne.
Due di noi avevano a che fare con professioni artistiche, una era pittrice-scultrice, l'altra fotografa, poi insegnanti, impiegate, una industriale-manager, un'attrice.
Il libro è diviso in otto capitoli, all'inizio di ogni capitolo abbiamo riportato delle brevi riflessioni come chiavi di lettura, poi i disegni, non firmati, che illustrano quanto ci eravamo scambiate nelle riunioni.
Infanzia è il primo capitolo, seguito da lavoro, sessualità, verginità, matrimonio, bellezza, età, femminismo, che è il capitolo conclusivo e segna un approdo, dopo un percorso costituito da storie individuali, segnate da tratti comuni di disagio, ribellioni, resistenze.
Nella prefazione si presenta il lavoro come un modo nuovo di fare politica tra donne.
Intanto questo lavoro di autocoscienza provocava conseguenze nella relazione con mio marito, che per la sua storia parentale e per le sue scelte non corrispondeva al modello di maschio del quale parlavano le mie compagne nelle riunioni di autocoscienza, se questo da un lato mi facilitava la vita, perché condividevamo completamente anche il lavoro di cura, dall'altro mi poneva il problema di temere una sudditanza psicologica nei suoi confronti che mi impedisse di cogliere fino in fondo la mia mancanza di autonomia da lui.
Dibattendomi in questo dilemma, mi stavo avviando verso un bagno di ideologia, che avrebbe provocato alcune conseguenze di lì a poco nel mio nucleo familiare.

martedì 4 giugno 2024

Lotta Femmista a MIlano. Memorie di una femminista non pentita, IX

  

Alcune donne di un gruppo di Lotta Femminista di Milano insieme ad altre che frequentavano  i Gruppi di Via Cherubini costituiscono un gruppo di lavoro e di studio sul tema della salute, in particolare la salute sessuale e riproduttiva,  partendo dalla messa a fuoco del corpo delle donne come luogo dell'oppressione materiale, simbolica e ideologica, il nome è Gruppo femminista per una medicina delle donne, vi partecipano alcune dottore e alcune studenti di medicina. 

Inizia così un intenso lavoro di analisi sul ruolo della Medicina e sul potere dei medici sulle donne, l'obiettivo primario è la conoscenza del proprio corpo e delle fasi fisiologiche che si attraversano nel ciclo di vita,  medicalizzate e bollate come malattie, primo passo verso l'autodeterminazione. 

Il gruppo affianca allo studio la pratica del self-help, la prima uscita pubblica è l'opuscolo Anticoncezionali dalla parte della donna, nell'aprile del 1974, stampato a proprie spese e diffuso in maniera militante,  che ebbe grande diffusione a livello nazionale e di cui si avranno numerose ristampe negli anni successivi. L'obiettivo, nelle parole di una fondatrice era: un primo progetto di informazione per rompere la cortina dei tabù e dei silenzi, per dire basta alla sofferenza e alla vergogna legate a un corpo trattato come se fosse senza cervello  né coscienza. Diffondere informazioni sulla contraccezione quando era ancora proibito parlarne significava imparare a conoscere il nostro corpo e a controllare la nostra fecondità  come primo passo per riflettere su di noi e diventare padrone di noi stesse (Luciana Percovich, Il corpo, la medicina, la scienza,  in Il movimento delle donne negli ultimi vent'anni, Milano, Unione femminile, 1989). 

Parallelamente  si fa strada, non senza contrasti,  un progetto più ambizioso da parte di un altro gruppo,  l'idea di aprire  un consultorio  autogestito alla periferia di Milano, un Centro per la Medicina delle Donne,  partendo dalla dalla consapevolezza che le donne vanno dal medico anche quando non sono malate, si configura così un luogo di riflessione e ricerca collettiva, non certo un semplice servizio per le donne, come saranno i Consultori familiari istituiti con Legge 29 luglio 1975, n. 405 e dichiarati servizi socio-sanitari.

In tutta Italia, nel 1974 e '75  si moltiplicheranno nelle varie città le iniziative e i Centri impegnati su questi temi, legati all'esperienza di vita quotidiana, si terranno Convegni, si discuterà sul modo di intendere il rapporto con le altre donne, che affluivano numerose.

La proposta milanese era  frutto di un lungo e raffinato lavoro di presa di coscienza e si focalizzava sulla costruzione di una politica nuova rispetto alle forme tradizionali, questa caratteristica la distingueva da analoghe realtà ma la rendeva invisa a  chi era propensa a mediare con le Istituzioni, inoltre prendeva corpo la battaglia per l'aborto condotta dai partiti e dalle loro organizzazioni femminili, che avrebbe catalizzato l'attenzione.

Ma soprattutto era malvista a Milano dai collettivi di autocoscienza e di pratica dell'inconscio.

Per un breve periodo si aprì un consultorio in un quartiere periferico, la Bovisa, luogo di pratica di autocoscienza e di self-help, oltre che di ricerca teorica e di servizio sul territorio.

Un altro gruppo di Lotta femminista di Milano praticò l'autocoscienza, affiancandola all'intervento intenso nei quartieri, davanti ai supermercati, ai giardinetti territoriali, nelle aziende, negli uffici e nelle scuole.

Nel momento in cui abbiamo scelto di fare autocoscienza nel nostro sottogruppo di Lotta femminista eravamo in dodici, di diversa età, estrazione sociale e impegno professionale. La pratica che ormai si era affermata in Italia significava  la possibilità di analizzare liberamente aspetti intimi della nostra vita, quali la sessualità, il rapporto con il nostro corpo, le relazioni con uomini e donne.

Ben presto ci siamo rese conto che quel famoso occhio  controllante e giudicante nei nostri confronti, con il corredo di criteri di valutazione, lo sguardo maschile sul mondo e sulle relazioni, l’avevamo interiorizzato nelle nostre esperienze di vita, di lavoro e di politica, e lo esercitavamo inconsapevolmente tra di noi, malgrado il separatismo dagli uomini, nella riproposizione dei ruoli: chi era più politica e razionale continuava a utilizzare schemi e parole consuete, tendeva a prendere la parola con frequenza, mostrando a volte insofferenza verso chi non concordava, chi era meno abituata a parlare in pubblico stava in silenzio, ma un silenzio pesante e colpevolizzante.
Di fronte a questo ostacolo ci siamo proposte di aggirarlo affiancando allo strumento della parola il disegno.

Nelle riunioni di autocoscienza parlavamo e contemporaneamente disegnavamo.
Il frutto della riflessione è contenuto in un libro, pubblicato nel 1975, nel quale noi autrici risultiamo tutte nominate rigorosamente solo con il nome di battesimo, dal titolo Perché non i fiori, Milano, La Salamandra.
In quell'occasione ci siamo chiamate Gruppo per l'espressione della donna.

Il titolo del libro e del gruppo non sono casuali, una donna di un altro gruppo di Lotta femminista in risposta alla mia illustrazione del nostro lavoro mi aveva invitato in modo un po' sprezzante a andare in giro per la città a dipingere fiorellini sui muri, per sottolineare l'irrilevanza della nostra iniziativa, in seguito a questo colloquio proposi il titolo Perché non i fiori.

L'introduzione del libro chiarisce le nostre intenzioni: ricorrere a uno strumento meno logorato della lingua, capace quindi di far emergere quanto rimane di non detto nei discorsi, spesso dominati da preoccupazioni di natura logico-razionale, alla ricerca di una modalità nuova di comunicazione tra donne.
Due di noi avevano a che fare con professioni artistiche, una era pittrice-scultrice, l'altra fotografa, le altre insegnanti, impiegate, una industriale-manager, un'attrice.

Il libro è diviso in otto capitoli, all'inizio di ogni capitolo abbiamo riportato delle brevi riflessioni come chiavi di lettura, poi i disegni, non firmati, che illustrano quanto ci eravamo scambiate nelle riunioni.
Infanzia è il primo capitolo, seguito da lavoro, sessualità, verginità, matrimonio, bellezza, età, femminismo, che è il capitolo conclusivo e segna un approdo, dopo un percorso costituito da storie individuali, segnate da tratti comuni di disagio, ribellioni, resistenze.

Nella prefazione si presenta il lavoro come un modo nuovo di fare politica tra donne.

Intanto  stavo entrando in una fase di  trasformazione personale contrassegnata da una torsione ideologica, non ero certo la sola, ricordo che in una Assemblea cittadina sui temi della maternità, sessualità e aborto ("Sottosopra n°3", 1975) una donna di Lotta Femminista esordì scusandosi per il fatto di continuare ad avere una relazione  d'amore con il suo compagno (un uomo, quindi un nemico), riscuotendo grandi applausi e anche il mio pieno consenso.

Mio marito per la sua storia personale e per le sue scelte di vita non corrispondeva al modello di maschio-maschilità tossica-  del quale parlavano le mie compagne nelle riunioni di autocoscienza. 
Se questo da un lato mi facilitava la vita, perché ad esempio condividevamo completamente anche il lavoro di cura nei confronti della casa e dei figli,  dall'altro  temevo di nutrire inconsapevolmente  una sudditanza psicologica nei suoi confronti, che mi impedisse di cogliere fino in fondo la mia mancanza di autonomia da lui.
Dibattendomi in questo dilemma mi stavo avviando verso un bagno di ideologia che avrebbe provocato alcune conseguenze di lì a poco nel mio nucleo familiare.

Entrambi i gruppi proseguivano gli incontri con altri collettivi dapprima in via Cherubini, poi nella Libreria delle Donne in Via Dogana, che nel frattempo era stata aperta con il concorso di tutte le donne del Movimento milanese, così come il giornale "Sottosopra. Esperienze dei gruppi femministi in Italia"(1973-1976).

Un' altra iniziativa di Lotta femminista fu l'audiovisivo Siamo donne, siamo tante, siamo stufe, realizzato da alcune donne del Gruppo femminista milanese per il salario al lavoro domestico, un documentario molto completo sullo stato delle cose presenti, sul doppio sfruttamento in casa e al lavoro, sulle lotte condotte  non solo in Italia ma anche nel resto del mondo, conosciuto attraverso la Rete internazionale alla quale aderiva Lotta Femminista.
Il video è consultabile in PDF al link:  
https://www.bibliotechecivichepadova.it/sites/default/files/opera/documenti/sezione-4-serie-1-12.pdf

(continua)















Alcune donne di 

venerdì 31 maggio 2024

1974-1977 esplode il Movimento delle donne Memorie di una femminista non pentita VIII

È dura  arginare le emozioni che piombano addosso quando ci si abbandona agli ambagi della memoria 

Consapevole da tempo dei tranelli tesi dai ricordi inventati più invecchio e meno mi sento sicura di loro, così abbandono ogni cautela e strumento di controllo in dotazione alle/gli appassionate/i di Storia  per lasciarmi andare alla mia ricostruzione personale degli eventi di quei quattro anni  fecondi di pratiche e pensiero.

Nel 1974 nasce a Milano il gruppo Lombardo di Lotta Femminista, che si differenzia dalla maggior parte dei gruppi analoghi operanti in molte città d'Italia per la pratica dell'Autocoscienza.

La storia dei gruppi Lotta Femminista e Salario al Lavoro Domestico  è poco conosciuta, fino a tempi recenti, per i fraintendimenti ai quali ha dato vita la parola d'ordine del Salario al lavoro domestico, strumentalmente accostata allora alla "pensione alle casalinghe" portata avanti da forze politiche istituzionali, depotenziandone il valore di lotta contro la gerarchizzazione patriarcale del dualismo  produzione e riproduzione.

Gran parte del Movimento di allora accettò senza approfondirle le critiche, e marginalizzò e cancellò nel dibattito politico e nelle immediate ricostruzioni di memorie nodi politici del pensiero e della pratica femminista, relativi al doppio sfruttamento, in casa e al lavoro, alla violenza domestica, alla salute, alla maternità, alla sessualità, all'amore, alla prostituzione...

Così è stato possibile che una tale ricchezza di analisi e di proposte politiche di un Movimento di dimensione nazionale, radicato in venti città italiane, collegato con realtà impegnate in lotte dello stesso tenore in Inghilterra, USA eCanada (Lotta Femminista faceva parte di una rete collegata alla International Wages for Housework Campaign), abbia avuto così poca risonanza mediatica e sia stata quasi ignorata dal resto del Movimento di allora in Italia, così da determinare una deplorevole separazione tra due filoni di pensiero e pratiche che avrebbero dovuto procedere strettamente connesse; una separazione che ha nuociuto non poco al contrasto di processi messi in atto dalle istituzioni politiche e sociali del paese, contro i quali ci troviamo oggi a combattere.

A Milano in particolare, il prevalere delle  pratiche di autocoscienza, con la torsione verso l'analisi dell'inconscio, ha comportato il discredito di Lotta femminista, volta a tenere insieme la dimensione della modificazione di sé con quella dell'intervento nel sociale. 

Il femminismo che praticava l'autocoscienza e l'analisi dell'inconscio considerava prioritaria per una reale modificazione dello stato delle cose la ricerca della complicità delle donne con l’ordine del discorso vigente, interiorizzato attraverso l'educazione di genere.

 D'altra parte le analisi e le pratiche dei gruppi di Lotta Femminista mancavano dello sguardo dentro le soggettività, in merito alle fantasie, alle paure, ai desideri, alle aspettative delle donne derivanti dalla interiorizzazione dell'ordine patriarcale.

Il linguaggio usato nei documenti, poi,  risentiva molto di quello delle lotte operaie in atto in quegli anni, mentre nel Movimento era diffusa la diffidenza nei confronti degli strumenti analitici marxiani impiegati nelle analisi, per timore di un assorbimento e conseguente neutralizzazione dei contenuti di lotta femministi nella più generale lotta di classe.

 Sta di fatto che la mancanza di lavoro comune tra i due filoni del Movimento italiano non è stato un elemento positivo per il Femminismo.

Ho accennato al fatto che al Convegno del Giugno 1971 erano presenti anche donne di Torino, oltre a Bologna, Padova, Ferrara, Pisa, Trento e Firenze, appartenevano a un Gruppo che si chiamava CR, un'organizzazione che traduceva e diffondeva materiali del Terzo Mondo, le donne di questo gruppo avevano cominciato a riunirsi separatamente, dando vita al Collettivo delle Compagne, da cui  avranno origine i gruppi del femminismo torinese, una parte di questi manterrà stretto contatto con i collettivi di Milano.

 Da Torino venne la traduzione del libro Noi e il ostro corpo, testo che risulterà fondamentale per tutte le donne che si sarebbero occupate del tema della sanità, della medicalizzazione delle fasi fisiologiche del corpo femminile, del rapporto medico-paziente, della contraccezione, della maternità cosciente.....

A Milano molte donne di Lotta Femminista scelsero di coniugare le lotte politiche con l'autocoscienza, si formarono quindi piccoli gruppi tra i quali alcuni più attivi degli altri nel sociale.

 La scelta della pratica politica  determinò un allontanamento  dai gruppi di Lotta Femminista  delle altre città, che non praticarono l'autocoscienza, ad eccezione di Ferrara e Modena.

I gruppi  di Lotta Femminista milanese più attivi furono il Gruppo femminista per una medicina delle donne,  il Centro per la Medicina delle Donne,  il Gruppo femminista milanese per il salario al lavoro domestico, che realizzò  l'audiovideo Siamo donne, siamo tante, siamo stufe e il  Gruppo per l'espressione della donna che pubblicò il libro di autocoscienza disegnata Perché non i fiori.





giovedì 2 maggio 2024

Il mio primo femminismo. Memorie di una femminista non pentita, vii

I primi anni del femminismo (1970-1973) mi avevano visto animatrice di gruppi di analisi e confronto sui temi dell'oppressione delle donne, della loro marginalità rispetto ai luoghi di potere, del carico del doppio lavoro, delle difficoltà dell'autodeterninazione rispetto al proprio corpo, della salute, degli ostacoli e dei vincoli esterni opposti alle donne nei loro tentativi di conquistare indipendenza economica e autonomia di pensiero e azione

mercoledì 24 aprile 2024

Non solo Milano.Memorie di una femminista non pentita, VI

 Mentre si moltiplicano i Collettivi e si sperimentano nuovi modi di stare tra donne, non solo per riflessione e elaborazione ma anche per divertimento, si registra un po’ di stanchezza nei gruppi che hanno iniziato per primi l’autocoscienza, alcune avvertono l’esigenza di indagare l’inconscio, nascono  nel 1974 due gruppi dedicati a questa pratica.

La stessa funzione di via Cherubini si modifica; da punto di riferimento e luogo di incontro tra donne a sede di un unico collettivo che diventa nel 1974 di Collettivo di Via Cherubini.

lunedì 22 aprile 2024

Dalla relazione tra donne alle relazioni tra femministe, parte II. Memorie di una femminista non pentita, V

Memorie di una femminista non pentita (V puntata)