venerdì 19 aprile 2024

Dalle relazioni tra donne alle relazioni tra femministe, parte I Memorie di una femmiista non pentita IV



Forse ci fu un affollarsi troppo repentino di eventi personali e sociali, di idee, scoperte di dimensioni diverse da quelle un po' claustrofobiche nelle quali ero vissuta fino ad allora, ne avrei scontato anni dopo la precipitosità e la mancanza di assimilazione emotiva e intellettiva, però furono tempi caotici anche per molti e molte della mia generazione.
La mia adolescenza, come ho già detto,  era trascorsa nel chiuso di un piccolo nucleo familiare, i miei genitori erano entrambi emigrati a Milano, rompendo in modo più o meno definitivo con la propria famiglia d'origine, non ho frequentato né zie/i, né cugine/i, se non per brevi incontri occasionali.
L’unica parente frequentata con grande amore fu la mia nonna materna, "fuggita" a Milano con la figlia poco più che ventenne e per questo messa al bando dalla propria famiglia d'origine, entrambe furono considerate dai e dalle loro parenti, famiglia patriarcale infarcita di suore e preti, alla stregua di puttane.

D'altronde mio nonno materno, 
il più giovane di undici tra fratelli e sorelle, era socialista e per questo  considerato pecora nera della famiglia benestante, ultracattolica e clericale, Pur essendo socialista poi, mio nonno era anche razzista dato che sembra si sia scandalizzato all'idea che sua figlia sposasse un poliziotto per di più meridionale, non andò neppure al matrimonio della figlia, suppongo fosse anche sessista, allora non si usava questo termine, visto che ha impedito a mia madre di continuare gli studi, mentre si è adoperato per fare studiare il figlio svogliato, con scarso esito.
Mio padre era un proletario, poliziotto e fascista, i miei nonni paterni erano  morti.
Questo conosco della mia storia familiare, dai pochi accenni di mia madre quando avevo quindici o sedici anni.

Non so se mi fa bene andare a risvegliare certi ricordi, da un lato è la prima volta che li analizzo senza l'incalzare di una emozione contingente, in una dimensione più conoscitiva, come è per me la scrittura, dall'altro però mi accorgo di procurarmi un'agitazione imprevista e un sotterraneo disorientamento, pericoloso per la mia fragilità emotiva di donna "anziana", che spesso si manifesta in sogni notturni molesti.

Credo di essere spinta dal desiderio di capire una buona volta, arrivata a questo punto della mia vita, qualcosa del mio rapporto con le donne, passato, presente e futuro.
Non posso che partire da due eventi cardine : il rapporto interrotto bruscamente con mia madre, l'esperienza di vita e di pensiero femminista.
Il nodo è apparso da subito stretto quando, dopo qualche tempo di pratica di autocoscienza condotta con il mio Collettivo ininterrottamente per cinque anni dal 1973 al 1978, ho fatto un sogno ancora vivido nella mia memoria e alquanto terrorizzante, ho sognato mia madre, in figura di morta, che mi inseguiva in un corridoio con un pugnale in mano per colpirmi alle spalle.

Non ho mai fatto analisi, non sono mai ricorsa a colloqui psicologici, non ho mai molto indagato la mia interiorità. Durante l’adolescenza ho sofferto di un eccesso di fantasia compensativa, pari all'impotenza della quale mi sentivo preda. Un'attività fantastico-ossessiva  che mi faceva preferire l'isolamento alla dimensione collettiva amicale, eccesso che mi si è puntualmente ripresentato altre volte nel corso della vita in situazioni di forte frustrazione emotiva.
Gli unici momenti di riflessione sul mio mondo interiore sono stati quelli dell'autocoscienza, in quegli incontri confrontavamo il nostro vissuto nelle relazioni con donne e uomini, nella sessualità agita o patita, nel lavoro, nella rappresentazione del mondo e nella autorappresentazione, mai però, nel mio gruppo, scendevamo a considerare qualcosa di più profondo, sia perché, consapevoli della nostra inesperienza nel campo psicologico, temevamo i possibili disastri derivanti da arbitrarie interpretazioni, sia perché volevamo evitare momenti di "sfogo emotivo", pratica largamente agita nelle tradizionali situazioni amicali tra donne. Consuetudine, questa, che serviva senz'altro a sollevare il morale al momento, ma non incrementava per niente la conoscenza delle responsabilità personali, individuali e collettive nel mantenere l'ordine simbolico vigente e rischiava di incrementare il vittimismo comune, accettato come dato ineluttabile, smorzando ogni volontà di modificazione di sé e del. Mondo.

La pratica dell'autocoscienza ha significato molto per me in termini di comprensione del mondo e di me, mi ha aiutato a uscire dalla dimensione claustrofobica nella quale ero stata -e mi ero- rinchiusa, ma la mancanza di abitudine ad una pacata autoriflessione (sostituita da fantasie compensative esasperate che hanno agito da barriera difensiva) ha inciso in qualche modo sulla deriva ideologica che a un certo punto del percorso ha preso il mio femminismo.

 

giovedì 11 aprile 2024

Un passo indietro. Memorie di una femminista non pentita, III

 Sono stata una credente convinta, a quindici anni insegnavo catechismo alle bambine del mio oratorio, sono cresciuta in una famiglia nostalgica del fascismo e tradizionalista nei costumi e nelle relazioni, ma con una madre che cercava di motivare fortemente le sue figlie all'emancipazione economica, attraverso lo studio, anche e soprattutto nei confronti di un marito, sempre supposto.

Fu una battaglia costante per lei, condotta con determinazione contro mio padre che avrebbe voluto farci diventare segretarie d'azienda. Un' emancipazione che a lei era mancata, pur avendo un padre "socialista", al quale rimproverava  una maggiore 'attenzione al figlio maschio, che poi sarebbe entrato nella milizia fascista.

lunedì 8 aprile 2024

Dal femminismo al movimento delle donne.Memorie di una femminista non pentita, II

Negli anni Sessanta del '900 il benessere che cominciava a interessare anche l'Italia ha permesso a generazioni di ragazzi e soprattutto ragazze di origini modeste di studiare e progettare un futuro lavorativo migliore rispetto a quello dei propri genitori, bastavano l'ambizione e molto impegno nello studio.

Certo non era ancora diffusa, come oggi, la mentalità di fare sacrifici per investire sugli studi dei figli, specie delle figlie; ancora si sosteneva nelle fasce medio basse della popolazione che il destino delle ragazze fosse di trovare un  marito, un buon partito, e sistemarsi.

Nel 1963 all'Università di Milano ho incontrato qualche ragazza che confessavano candidamente di non sapere se avrebbe continuato gli studi nel caso si fosse sposata, non potevo crederci dopo tutta la fatica del liceo!

Comunque anche se le condizioni economiche non permettevano di essere mantenute/i agli studi, si poteva contare su strumenti che aiutavano, borse di studio, presalario, e lavoretti saltuari assegnati dai professori agli/alle studenti volonterosi/e e con ottimi voti agli esami.
Iniziava il processo che avrebbe condotto alla scuola di massa da lì a un decennio, con i suoi lati positivi, l'accesso all'istruzione e quindi la possibilità di promozione sociale di fasce della popolazione fino ad allora escluse, negativi, l' inizio della dequalificazione della scuola pubblica, politicamente perseguita da forze politiche conservatrici e reazionarie.

Alla fine del decennio gli avvenimenti politici, che hanno scosso l'Occidente e non solo, hanno mutato il quadro di riferimento e impresso un'accelerazione a trasformazioni culturali che forse avrebbero richiesto un tempo maggiore per essere metabolizzate.

Iniziò una stagione di lotte nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nella società tutta, oltre che nelle fabbriche, che ebbero come protagoniste/i anche i e le neodiplomati/e.

Ebbe inizio anche in Italia il femminismo, che sarebbe stato chiamato neofemminismo, o femminismo della seconda ondata per distinguerlo da movimenti storici precedenti.
Si apri da subito il conflitto con la rigida identità femminile tradizionale che comportò per le donne la rottura dell'universo simbolico di riferimento, in altre parole quello che era stato inteso fino ad allora il destino biologico-sociale inevitabile per una donna: la realizzazione prioritariamente nell'ambito familiare e semmai anche in quello lavorativo, a patto di assolvere la funzione "naturale" e quindi primaria.

Anche la nostra Costituzione, faro di democrazia e di libertà, tiene ben fermo questo precetto quando recita  all'articolo 37, comma I:
"La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione."

Il neofemminismo si caratterizzò da subito per la messa in discussione dell'emancipazionismo, inteso come processo di promozione delle donne al mondo maschile del lavoro, delle professioni, della cultura dell'arte e della politica, fatte salve le prerogative della "femminilità" necessarie al mantenimento dell'ordine sociale.  

Non che non ci siano stati casi di donne che si sono ribellate a questo destino, nel passato recente e remoto, ma si è sempre trattato appunto di casi individuali, spesso pagati con sofferenze e patimenti di varia natura, frutto di soggettività eccezionali per coraggio e determinazione.

Già la scelta di Franca Viola, che nel 1965 a soli diciassette anni, d'accordo con i familiari, rifiutò il matrimonio riparatore propostole dal fidanzato dopo il rapimento e lo stupro, scelta fatta individualmente, senza il conforto di reti sociali di consenso, prefigurava in qualche modo quello che di lì a pochi anni sarebbe stato teorizzato dal movimento delle donne.
Ricordo ancora l'ammirazione che provai a quel tempo per il suo coraggio.
Sembrano cose lontanissime, e infatti appartengono al secolo scorso.

Rompere con l'identità femminile tradizionale significava mettere in crisi la codificazione patriarcale di ruoli e funzioni sociali assegnati in base al sesso, quindi la divisione del lavoro considerata naturale, e non invece determinata storicamente da rapporti sociali di dominio.

Ma significava anche rinunciare a tutta una serie di vantaggi che le donne si erano ritagliate nella situazione, così come di contropoteri reali e/o immaginari nell'ambito degli affetti familiari.
Mi riferisco a un senso di onnipotenza affettiva, esercitata prevalentemente su figli e figlie, che pareva compensare per molte donne l'insignificanza reale, sentimento quello dell'onnipotenza derivante dall'esaltazione della figura materna, condotta in accoppiata da religione e senso comune.
Esaltazione accentuata fino alla santificazione dal cattolicesimo, con la proposta della  madonna come modello (giustamente inarrivabile come tutti i modelli) e dalla cultura popolare della madre, centro degli affetti e unica detentrice dell'unità familiare.

Mettere in discussione tutto questo però per alcune giovani donne non ha significato solo affacciarsi sulla scena pubblica senza più certezze e consolidate nicchie protettive, ma anche sovente mettere in crisi le scelte delle proprie madri, amate, odiate, ma comunque interiorizzate  come modello, da imitare, da combattere, da modificare, ma pur sempre modello.
Quelle più fortunate poterono aprire direttamente con le loro madri conflitti e discussioni, a volte con esiti positivi, pur dopo contrasti e lacerazioni.
Chi non aveva più la madre reale dovette accontentarsi di confliggere con la figura interiorizzata, rischiando anche cantonate, senza possibilità di smentita.
 Credo che questa sia stata una delle battaglie più dure per molte donne di vent'anni che parteciparono ai momenti di presa di coscienza, e in seguito di autocoscienza,  agli inizi degli anni Settanta.

venerdì 5 aprile 2024

Una valigia di carbone. Memorie di una femminista non pentita


Valigia di carbone, 3 giorni senza uscire di casa, una poesia, che si concludeva con un “Viva Adriana”.
Le uniche notizie sulla mia nascita presenti nei racconti di mia nonna e mia madre, insieme alle osservazioni che raggiungevo a fatica due kili di peso, che ero molto carina malgrado la magrezza, e soprattutto che mio padre per tre giorni di seguito non era uscito di casa.
Quest’ultima espressione era detta con tale enfasi che fino all’età di sette o otto anni ero molto orgogliosa di questo segno di elezione e di affetto nei miei riguardi, tanto che lo dicevo a chiunque incontrassi anche casualmente.

 Più tardi appresi da qualche frammento di racconto di mia madre dell’abitudine paterna di stare fuori casa la sera, gioco e forse donne (?) tanto da costringerla a passare lunghe ore seduta sugli scalini davanti alla porta, per la paura di stare in casa da sola, salvo rientrare precipitosamente al suono dell’ascensore.

La valigia piena di carbone e la poesia invece erano regali del mio padrino di battesimo, al quale ho voluto molto bene, che è stato un’assidua presenza nella nostra vita familiare, fino al momento in cui si è sposato, abbastanza tardi negli anni.

 Non so altro, mia madre è morta quando avevo vent’anni, non mi ero ancora interessata ai dettagli della gravidanza, del parto, e dell’allattamento e non ho fatto in tempo a rivolgerle domande; non mi sono neanche sognata di chiedere notizie a mio padre, morto molto più tardi.
Del che resto neanche lui ha mai accennato alla nascita mia o di mia sorella, come se la cosa non l’avesse riguardato per nulla, neanche al tempo delle mie due gravidanze, o dei miei parti.
La divisione dei compiti e la distinzione dei ruoli hanno operato nel profondo della mia e della sua psiche, anche quando avevo maturato una nuova coscienza e consapevolezze femministe.

Oggi penso che abbia influito molto la sensazione di distanza che ho avvertito fin da subito in mio padre rispetto al mio mondo emotivo-sentimentale, del quale si impossessò mia madre, in maniera troppo invadente, mi dichiarò che avrebbe voluto che condividessi con lei i momenti dell’adolescenza che le erano stati negati per vicende familiari.
Acconsentii per amore verso di lei, ma non andava bene, ora lo so, non potei confrontarmi con altre donne adulte perché i miei genitori si erano allontanati dai rispettivi luoghi di origine e dalle famiglie, fui pertanto esposta senza difese alle sue ansie e angosce, fobie, e divenni troppo dipendente da lei in una dimensione simbiotica.

L’unica parziale compensazione  nei confronti di una relazione madre figlia malata mi fu offerta dal femminismo negli anni Settanta, dall’Autocoscienza, dal confronto con donne di età diverse nei collettivi e nei gruppi.

Non so se mio padre sia stato escluso da mia madre o si sia autoescluso, sta di fatto che la dimensione intima non si recuperò più, contò dapprima il fatto che avrebbe voluto un figlio maschio, in seguito la mia scelta di un orientamento politico opposto al suo. Non ci confrontammo mai, entrambi evitammo accuratamente.
 
Sono nata il 3 febbraio 1945, di sabato. Nei primi tredici giorni del mese a Milano ci sono stati gli ultimi attacchi aerei, quattordici; Milano era allo stremo, al freddo e alla fame, tanto che il Comune organizzava mense collettive.

domenica 24 marzo 2024

Parole maltrattate 2 Politica

 Tra le parole più compromesse oggi c’è la parola politica.

Nel pensiero e nella mentalità comuni persistono espressioni svalutative che oggi dovrebbero essere superate, contemporaneamente la parola è depotenziata a civile, dai potenti ( e dai  loro servi) che in realtà detengono le leve della politica ma preferiscono che le popolazioni si esprimano solo nel momento delle elezioni, momento preceduto da richieste di consenso spesso truffaldine.

Uno dei campi dove si occulta maggiormente il termine politica , sostituendolo con civile, è il campo dell’arte, a meno che non ci siano prese di posizioni dichiarate da parte degli artisti e delle artiste.

 Avevo sentito in famiglia negli anni 50 frasi pronunciate con amarezza da chi si trovava dalla parte dei vinti della Storia rispetto alla dittatura: la politica è una cosa sporca, tutti sono uguali, chi va al potere fa il proprio interesse, mangiano tutti,sia  gli uni che gli altri….

Dalla seconda metà degli anni 60 fino alla metà dei 70, stagione dei terrorismi, ho invece  vissuto l’entusiasmo per la politica, intesa come partecipazione, desiderio di cambiamento di situazioni di oppressione sia che si trattasse dello sfruttamento sul lavoro che della subordinazione delle donne, dell’autoritarismo residuo del fascismo, ancora presente nelle persone fisiche, e nei luoghi pubblici soprattutto nelle scuole.

Era il tempo delle manifestazioni di massa,  della riflessione nei collettivi delle scuole e dei luoghi di lavoro, degli intrecci tra vari soggetti delle lotte, dei conflitti, che coinvolgevano persone di età, provenienza sociale, tenore economico e anche prospettiva politica diverse tra loro ma tutte unite dall’idea svecchiare una classe politica e sociale ancorata ai miti e i temi del passato

A questo proposito mi sembra importante riflettere su un documento che a 35 anni di distanza ha perso il suo valore come strumento di analisi documentale, ma  ne ha acquistato uno come documento storico.

Mi riferisco a Linguaggiodonna. Primo thesaurus di genere in lingua italiana, di Adriana Perrotta Rabissi e Maria Beatrice Perucci, Milano, 1991.

Come indica il titolo si tratta di un insieme di parole tratte dalla lingua  usata nei  documenti sui quali è stato costruito, che sono collegate fra loro per permettere il recupero dei documenti in un archivio.

Un dizionario di descrittori maggiori e minori, organizzati in relazioni gerarchiche, che descrivono il contenuto dei documenti.

I documenti sono quelli del femminismo, del periodo fine anni 60 anni 70, raccolti nell’archivio del Centro studi storici di Milano, con  l’intenzione di preservarli dalla dispersione e quindi dalla distruzione, in primo luogo, e di organizzarli e renderli fruibili innanzitutto per  un riflessione politica nel Movimento delle donne del tempo, e poi far  conoscere la storia del femminismo dalle parole stesse che circolavano nelle discussioni, nei volantini, nelle sedute di autocoscienza nelle dichiarazioni, nelle riviste che nascevano numerosa, tutto quanto  ha costituito il patrimonio di analisi, teorie e pratiche delle donne in quegli anni.

In questo modo Limguaggiodonna può rivelarsi uno strumento utile da affiancare a tutte le ricostruzioni e memorie pubblicate dalle donne che hanno fatto parte del movimento, memorie che possono sempre tradire inconsapevolmente.

Linguaggiodonna è in rete, pubblicato  sul sito della Fondazione  Elvira Badaracco, fondazionebadaracco.it.

Se si va alla parola Politica, si nota prima di tutto che si tratta di un microthesarus, che  contiene una cinquantina di descrittori, tra i quali fino a allora molti  non appartenevano all’area concettuale della politica tradizionale, per esempio tutti i termini riferiti ai Centri delle donne, ai Collettivi, Centri antiviolenza, Centri per la salute delle donne, alla depenalizzazione dell’aborto, al partire da se, ai rapporti tra donne, al rapporto madre-figlia, al selph-help, al separatismo, al sessismo, al lesbismo, Autocoscienza…

Questo e molto altro era quanto si intendeva per Politica , che contemplava la partecipazione a vari momenti di organizzazione e di apertura di conflitti, temi questi e molti altri che si possono leggere nel micro Thesaurus che oggi se va bene sono confinati nell’ambito dei diritti civili, e quindi depotenziati, mentre i venti di guerra vengono considerati l’unica vera espressione politica  umana.





domenica 10 marzo 2024

Parole maltrattate

In una  trasmissione alla BBC del 1937 Virginia Woolf analizza la lingua dal punto di vista dei suoi elementi fondamentali, le parole,  e osserva

....Le parole sono piene di echi, di ricordi, di associazioni è naturale. Sono tanti secoli che vano girando sulle labbra della gente, elle case, elle strade, nei campi. E una delle maggiori difficoltà dello scrivere, oggi,  è proprio che le parole hanno accumulato tanti significati, tanti ricordi, hanno contratto tanti matrimoni famosi. Sono le parole le più selvagge, le più libere le  più  irresponsabili, le meno insegnabili di tutte le cose.Naturalmente si possono acchiappare, scegliere e mettere nei dizionari in ordine alfabetico. ma le parole non vivono nei dizionari, vivono nella mente...e come vivono nella mente? In modo strano e diversificato,  proprio come vivono gli esseri umani, andando qua e là,  innamorandosi e accoppiandosi....In breve odiano qualsiasi cosa imprima loro un solo significato o le costringa a un solo comportamento: perché è loro natura cambiare. È forse questa la loro  più notevole peculiarità, il loro bisogno di cambiamento. Perché la verità che tentano di catturare è molteplice, ed esse la trasmettono con il loro essere molteplici, schizzando ora da una parte ora dall'altra. (L'incanto delle parole, Adriana Perrotta Rabissi, Dispensa dell'Associazione per una  Libera Università delle Donne, Milano, 2002)

Così quasi cento anni fa Woolf, da allora con lo sviluppo delle ICT (tecnologie dell'informazione e della comunicazione), lo scenario è molto cambiato, e il nostro mondo attuale è fatto prevalentemente di parole, i mezzi di comunicazione, le e gli operatori della comunicazione sono specializzati nel costruire la realtà attraverso le parole, senza bisogno di confronto con i fatti, cosi che purtroppo  sovente il falso ha il sopravvento sul vero.

Siamo poi all'inizio di un processo secondo il quale testi raccolti in rete e  aggregati da un intelligenza artificiale si presentano come verità inconfutabili alle e ai più sprovvedute e sprovveduti.

Oggi è indispensabile porre attenzione alle rappresentazioni culturali e sociali trasmesse dalle parole che usiamo e ascoltiamo per evitare di essere "parlate/i dalla lingua".  Di qui  i rischi di manipolazione delle parole, che non sono certo una novità, ma risultano più pericolosi a causa dell'importanza della lingua in ogni settore della nostra vita,  nella formazione della pubblica opinione e nella costruzione del consenso o del dissenso.

Le parole, quindi, a causa della loro polisemia e della costellazione di sensi, emozioni, ricordi delle quali sono portatrici, a causa del forte potere evocativo possono essere forzate a suggerire i significati che si vuole siano intesi.

Lo scrittore Edoardo Galeano in un articolo de il Manifesto, 18 aprile 2002, scrive:

...nel dizionario della macchina tradisci-parole si chiamano "contributi" le tangenti ricevute dai politici, e "pragmatismo" i tradimenti che commettono. Le "buone azioni" non sono nobili gesti del cuore ma quelle ben quotate in Borsa, e nella Borsa accadono le crisi dei valori. Dove si dice "la comunità internazionale esige" sostituire con "la dittatura finanziaria impone".....Come regola generale, le parole del potere non esprimono i suoi atti, ma li camuffano e in questo on c'è nulla di  nuovo ...

E ciascuna o° potrebbe continuare l'elenco.

Ho in mente tutto questo  nella sciagurata epoca che stiamo vivendo, in merito alla propaganda di guerra,  alla proclamazione di successi da parte di governi e istituzioni, all'occultamento di pensieri e azioni di persone non in linea con il discorso dominante, alle distorsioni strumentali di parole non conformi.

Condivido con Woolf  il dato della libertà selvaggia delle parole,  ma mi oppongo a due azioni  che considero mistificatorie: 

1) l'attenersi a un significato unico, sostenendolo con argomentazioni pratiche e teoriche, bollando come eretica qualunque altra interpretazione, costituendo in tal modo una norma, mi riferisco alle parole femminismo e alla parola rivoluzione.

2) usare le parole come armi per colpire persone, teorie e pratiche che non si condividono.

Per dare una determinazione storica a femminismo riporto il descrittore tratto dal primo thesaurus di genere in lingua italiana, Linguaggiodonna, 1991, redatto da me e da Maria Beatrice Perucci, costruito sulla parole contenute nella documentazione nazionale e internazionale  raccolta dal Centro studi storici sul movimento di liberazione della donna in Italia, ora consultabile anche in rete all'indirizzo https://www.fondazionebadaracco.it/wp-content/uploads/2021/05/Linguaggiodonna.pdf. 

Sono passati più di quarant'anni, molti eventi e processi si sono dispiegati,  da un certo punto di vista il termine è datato, ma le parole, mentre si arricchiscono di nuove valenze, non perdono del tutto il significato originale che le avvolge come un'aura. 

Inoltre a leggerla oggi funziona anche come documento storico.

Femminismo

Nota: con questo  termine si fa riferimento sia alla pratica che alla riflessione politica del Movimento delle donne

Descrittori  collegati: affidamento, autocosciennza,  autodeterminazione delle donne,  autonomia delle donne, contraddizione tra i sessi, differenza sessuale, femminismo diffuso, lesbismo, liberazione delle donne, maternità cosciente, movimento delle donne, politica, pratica dell'inconscio, rapporti tra donne, salario per il lavoro domestico, self-help, separatismo, sessismo, soggettività femminile.

Non si parlava di diritto d'aborto,  espressione riduttiva che era la parola chiave dei partiti, specie dl MLD, ma di maternità cosciente che implicava, oltre all'aborto, la libertà di scelta delle donne, l'autonomia, la contraccezione i consultori.


Rivoluzione:

Descrittori collegati: liberazione delle donne, lotta armata.

Il termine Lotta armata era presente nei documenti femministi di allora, perché era una realtà che si viveva negli anni Settanta, collegata a due altri descrittori: guerra, rivoluzione.

Oggi, riflettendo sull'esperienza di  duecentocinquanta anni dell'uso di questa parola, mi sento di associarla  all'espressione di un'anarchica femminista, Emma Goldman, 1869-1940 che nella sua Autobiografia scrive:

se non posso ballare, allora non è la mia rivoluzione.




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martedì 28 novembre 2023

Fuoco cammina con noi. II puntata, lo scambio sessuo-economico


A  giudicare da tutti gli allarmi che continuo a leggere in merito al rischio di ascrivere la violenza degli uomini sulle donne alle relazioni di potere tra donne e uomini che chiamiamo patriarcato, penso abbia ragione chi sottolinea che stiamo vivendo uno snodo politico. 
Qualcuno ha detto, commentando le manifestazioni di sabato, che cominciamo a far paura.
Si  moltiplicano i commenti su questo termine che molte/i/* vorrebbero fosse abbandonato, perché non esisterebbe più, addirittura un intellettuale l'ha bollato come una lettura pappagallesca (sic) non solo sbagliata, ma socialmente dannosa, perché si riferisce a un modello sociale diffuso in civiltà dedite all'agricoltura e alla pastorizia, ormai antiquato, affermazione un po' grave per un professore di Antropologia filosofica.
E via dicendo con fior fior di intellettuali, quasi tutti maschi, che si impegnano a dimostrare che con la violenza sulle donne il patriarcato non c'entra nulla, mentre invece misoginia e violenza sulle donne ne sono tratti tipici,.

Anche se un po' ammaccato a causa di cinquant'anni di riflessioni, analisi, pratiche e teorizzazioni  di donne, continua a esistere, e va combattuto.
Penso bisognerebbe sforzarsi di perseguitarlo in tutti i suoi aspetti

Parto dalla constatazione che finché si continuerà a mantenere intatto nella Costituzione Italiana l'articolo 37, noi non saremo "Libere", ma Liberte come i soggetti che nell'antica Grecia, soggetti liberati dalla condizione di schiavitù, sui  quali però gravavano obblighi verso i padroni, nel nostro caso l'"essenziale funzione familiare".
Recita l'articolo 37:
"La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione."
A parte che non è neppure realizzata la parità di retribuzione a parità di lavoro in tutti i settori, si adottano politiche sociali volte a aumentare salari/stipendi di donne con fgli/ie,  o a conciliare tempi di lavoro e di cura solo per le donne.

I tagli del welfare, le condizioni di particolare gravità sociale: guerre, epidemie, carestie si scaricano prioritariamente sulle spalle delle donne, purtroppo ne abbiamo oggi esempi continui.

Forse è il caso di chiarire che cosa si intende per struttura patriarcale e riporto brani di un testo  illuminante, un' intervista pubblicata sul sito dell'associazione Libera Università delle Donne (www.universitadelledonne.it) a Paola Tabet, un'antropologa che l'ha studiato in profondità, proponendo il concetto di scambio sessuo-economico
"... il mio lavoro è frequentemente usato ma spesso, secondo me, viene usato in modo un po’ riduttivo, nel senso che a volte è stato adottato quasi più il nome, il termine di scambio sessuo-economico, che il concetto stesso e lo spostamento di campo teorico che questo termine implica. Così il termine «scambio sessuo-economico» diventa semplicemente un nuovo nome per designare i rapporti di sex-work, di prostituzione. Al contrario per me l’idea di scambio sessuo-economico serviva e serve a indicare un fenomeno ben più vasto, ossia l’insieme delle relazioni tra uomini e donne che implicano una transazione economica. Una transazione nella quale sono le donne che forniscono servizi  (variabili ma comprendenti un’accessibilità sessuale, un servizio sessuale) e gli uomini a dare un compenso più o meno esplicito per questi servizi. Il compenso è  di tipo e valore variabile: si va dal nome allo status sociale, o al prestigio, a regali o infine al pagamento diretto in denaro. Abbiamo così un insieme di relazioni che vanno dal matrimonio alla prostituzione, con forme di rapporto assai diverse, comprese tra questi due estremi. Ho cercato, infatti, di mostrare che non vi è un’opposizione binaria tra matrimonio e prostituzione, ma piuttosto una serie complessa di relazioni differenti, e che è possibile mettere in rilievo, stabilire, che vi è un continuum, cioè una serie variabile d’elementi comuni alle diverse relazioni e insieme una serie di elementi che le differenziano. Le variazioni riguardano elementi fondamentali quali la modalità della relazione, la forma di contratto, le persone, la durata, i servizi forniti.
Ora mentre vi è un notevole numero di studi sulla prostituzione, sulle diverse forme di lavoro sessuale in contesti diversi, è più raro trovare lavori che si occupino del continuum nel suo insieme e soprattutto più raro trovare lavori che trattino delle forme di scambio nei rapporti «legittimi». (Un’eccezione, da sottolineare, sono degli studi sulle donne immigrate dove spesso troviamo l’arco completo del continuum). Nei paesi occidentali, infatti, la ricerca più difficile da affrontare è quella sulle relazioni legittime perché si tende a non riconoscere e ammettere la presenza dello scambio in esse. .....
Devo dire che la difficoltà di considerare lo scambio sessuo-economico nelle relazioni «legittime» la ritrovo, in particolare da parte delle donne, quando mi capita di discutere con la gente, per esempio quando faccio conferenze. Questa scissione tra una sessualità legittima (per la quale si nega che esista lo scambio) e le altre relazioni è un dato proprio delle società occidentali attuali. Invece in molte altre società – e, in passato, anche nelle società occidentali – lo  scambio è un dato di fatto riconosciuto. E magari si dice anche, in maniera chiara e netta, che il sesso è il capitale delle donne, la loro terra, e che le donne lo devono ben utilizzare. Ma la differenza importante, essenziale anzi, sta in chi ha diritto a gestire questo «capitale», a gestire lo scambio : è la donna stessa o invece altri da lei? E questo è l’elemento che distingue le relazioni......Una differenza importante, essenziale anzi, sta come dicevo, nel diritto a gestire lo scambio, nelle regole di proprietà sul corpo della donna, cioè a chi la società attribuisce il diritto di gestirlo. E’ la famiglia, il padre, o, al contrario, è la donna a gestire sé stessa e quindi anche tra l’altro lo scambio sessuo-economico? E questo è l’elemento base che distingue le relazioni.
Mantenere le donne nella famiglia, preservare matrimonio e famiglia, significa mantenere la struttura fondamentale dei rapporti sociali tra i sessi. E’ del tutto evidente che tutte le forme di potere, individuali e collettive, sono mobilitate a questo scopo, dalle forme più coercitive alle forme ideologiche fino alla pesante stigmatizzazione delle donne che non seguono la « retta via ». Queste donne si trovano in qualche modo in situazione illegittima in rapporto all’ordine sessuale dominante (pur essendo tuttavia, a loro volta, dentro ai rapporti di potere tra uomini e donne). Il discorso della legittimità, la stigmatizzazione delle « puttane » è assai forte, e ciò contribuisce a tenere le donne nella famiglia e a conservare così la struttura familiare...... il mio problema è stato infatti lo scambio sessuo-economico come punto centrale dei rapporti di potere tra uomini e donne. Sembra così semplice… Ma spesso vi è una forte resistenza a vedere questa specificità dei rapporti di scambio sessuo-economico, delle transazioni sessuali tra i sessi. Si tende così a usare questa specifica espressione, « scambio sessuo-economico », semplicemente come abbreviazione di « pagamento per un servizio sessuale ». E’ un tipo di utilizzazione che indebolisce questo concetto e lo priva di interesse. E’ prendere un’idea politica e svuotarla della sua dimensione politica. Si elimina la questione dello scambio come rapporto di potere tra i sessi.
E con ciò perde peso o senso anche l’idea di continuum: non si tratta più del continuum che avevo definito dello scambio, dei rapporti di potere, e insieme anche delle forme di resistenza delle donne nella sessualità e nei rapporti sociali tra I sessi. Si tratta di un’altra cosa, di fatto di un altro campo teorico.......
Sì, è un aspetto importante di quello che Colette Guillaumin (1978) chiama « sexage », un rapporto che consiste nell’appropriazione materiale delle donne, appropriazione della persona stessa e non solamente della sua forza-lavoro, qualcosa che va anche oltre l’appropriazione sessuale, il lavoro sessuale, e riguarda l’insieme del lavoro e della vita delle donne : dalla cura dei bambini, degli anziani, degli uomini, ai servizi personali dati a tutta la comunità".....