sabato 29 marzo 2025

Di chiacchiere e di altro, 2

 La radicalità del femminismo degli anni Settanta è stata colta subito  da uomini attenti al sociale e ai mutamenti che maturavano, studiosi che non si facevano distrarre dagli aspetti più superficiali e pittoreschi del movimento,  riportati dai giornali con intenzioni svalorizzanti.

Scrive Marcuse nel 1974 (Marxismo e femminismo): 

“Le potenzialità, gli obiettivi del movimento di liberazione delle donne si spingono... in regioni impossibili da raggiungere nel quadro del capitalismo, e di una società di classe. La loro realizzazione richiederebbe un secondo livello, nel quale il movimento trascenderebbe il quadro nel quale si trova ora ad operare. In questo stadio, ‘al di là dell’uguaglianza’, la liberazione implica la costruzione di una società governata da un differente principio di realtà, una società nella quale la dicotomia costituita tra il maschile e il femminile è superata nei rapporti sociali e individuali tra esseri umani”

 Pietro Ingrao 1978, conversando con Rossanda in una trasmissione di Radio tre:

".. affrontare le questioni dell’emancipazione femminile comporta affrontare punti di fondo dell’organizzazione della società in generale. Ti faccio un esempio: se vuoi affrontare davvero il rapporto donna/uomo, devi investire caratteri e dimensioni dello sviluppo, occupazione, qualità e organizzazione del lavoro, fino allo stesso senso del lavoro. Contemporaneamente – ecco dove la dimensione diventa diversa – vai a incidere sulle forme di riproduzione della società, sul modo di concepire la sessualità, i rapporti di coppia, i rapporti tra padri e figli, l’educazione, il rapporto tra passato e presente, forme e natura dell’assistenza, eccetera. Cioè una concezione storica, secolare del privato, tutta una concezione delle stato, tutto il rapporto tra stato e privato (…)"

Nel frattempo studiose in tutti i campi del sapere, filosofe, ricercatrici, sociologhe, epistemologhe, scienziate, economiste, psicologhe, teologhe...  affrontavano l'analisi delle radici storiche della asimmetria sociale, politica, economica, culturale tra donne e uomini, collettivamente e individualmente, producendo un ricco patrimonio di conoscenze, consapevolezze, teorizzazioni.

L'apertura del conflitto sociale, politico e culturale generato dalla la nuova coscienza delle donne ha dato luogo a percorsi di lotta differenti tra loro e a volte contrastanti.

Riporto queste due riflessioni di intellettuali uomini prima di tutto perché siano conosciute, poi perché leggo costantemente articoli pieni di fraintendimenti e confusioni: si confonde il femminismo con l'emancipazionismo, bersaglio polemico fin dai primi tempi, volto a conseguire per le donne in ottica paritaria successi e privilegi finora esclusivi degli uomini, senza mettere in discussione la struttura portante della dissimmetria. 

Nei casi più reazionari si arriva a paventare una inversione dei ruoli tra dominanti e dominati, una situazione nella quale gli uomini sarebbero discriminati nel sociale per favorire le donne.

Analisi più raffinate avvertono che l'accento posto sui diritti civili e la frammentazione che ne consegue sarebbe diventata stampella per il sistema produttivo attuale con l'individualismo consumistico.

Ma il femminismo non si è mai risolto  in rivendicazioni in ottica  di emancipazione individuale e/o collettiva a prescindere dal contesto generale nel quale si vive e si opera, per questo ogni ipotesi di reale liberazione delle donne  dai vincoli opposti alla piena autorealizzazione  di ciascuna comporta necessariamente la liberazione di tutti gli altri, a causa dell'intreccio che lega  tutte le componenti umane nella vita sul pianeta.

La divisione ipotizzata all'origine  tra attitudini degli uomini e attitudini delle donne ha determinato due sfere distinte di esperienza di vita e di pensiero, nelle quali sono stati confinate sia le donne che gli uomini, ciascuno nella propria area di competenza, con possibilità di incursioni nell'altra  incoraggiate o ostacolate a seconda delle esigenze generali.
 
Divisione considerata naturale, e non storicamente determinata, in  grado di mantenere l' ordine simbolico e materiale fondato sullo scambio sessuo-economico, da quale derivano altre forme di dominio  che ancora sperimentiamo e messe a profitto dai vari sistemi sociali e culturali che conosciamo nel tempo e nello spazio.

Gli strumenti materiali e  concettuali alla base della nostra convivenza sul pianeta sono stati costruiti sulla base di quella concezione, che ha permeato di sé mentalità fantasie, angosce, immaginazioni, speranze, paure sedimentate nella nostra interiorità di donne e uomini.

Per questo è così difficile, lento, faticoso il tentativo di modificarli alle radici,  mettendo in discussione priorità di valori ritenute naturali e quindi inconfutabili.

Se il continuo richiamo alla  formulazione di ipotesi di convivenza civile e democratica  adatte a  contrastare il crescente autoritarismo e bellicismo non parte prima di tutto dalla messa a tema  delle "forme di riproduzione della società, del modo di concepire la sessualità, i rapporti di coppia, i rapporti tra padri e figli, ...." (Ingrao '78) ogni tentativo di reale mutamento della situazione  attuale di sfruttamento di persone, ambienti,  popoli, terre animali cose è destinato a infrangersi  su motivazioni apparentemente incontestabili.






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lunedì 24 marzo 2025

Di chiacchiere e di altro

Chiacchiera, definizione del Dizionario:

"Conversazione protratta più o meno a lungo, per passatempo o come sfogo a considerazioni e pensieri frivoli o banali oppure malevoli."

Agli inizi del femminismo, negli anni Settanta, quando si tentava di spiegare che cosa fossero le riunioni di presa di coscienza, maturate  in breve tempo in riunioni di "autocoscienza", si specificava che non si trattava delle solite chiacchiere di donne al mercato, ai giardini,  davanti alle scuole, luoghi frequentati dalle donne e legati al perimetro di attività di vita e di pensiero di molte, con il correlato di sfoghi, lamentele, consolazioni reciproche in situazioni di vita materiale e simbolica che risultavano simili tra loro, ma appunto di analisi di sé in relazione al mondo nel suo complesso, non solo in relazione agli uomini. 

Negli ultimi cinquant'anni molto è cambiato, l'ambito di vita e esperienza delle donne si è allargato a tutti gli aspetti e settori della società, il che comunque non esclude l'esercizio della chiacchiera tradizionale, anche se non  è più l'unica forma di comunicazione tra donne.

Tutte noi vecchie abbiamo sperimentato  da piccole la noia di assistere accanto alle nostre madri alle chiacchiere con amiche, alle loro lamentele, che in qualche caso hanno scatenato dentro di noi desideri di  riscattare da adulte la loro figura interiorizzata. 

A questo riguardo mi tornano alla mente certe considerazioni di V. Woolf in merito alla scrittura delle donne :
"...poiché un romanzo ha questa corrispondenza con la vita reale, i valori che lo animano sono entro certi limiti gli stessi della vita reale. Ma è ovvio che i valori delle donne molto spesso differiscono da quelli che sono stati inventati dall'altro sesso; è naturale che sia così. Eppure sono i valori maschili a prevalere. Parlando grossolanamente, il calcio e lo sport sono 'importanti', il culto della moda, acquistare vestiti sono 'frivolezze'... Ecco un libro importante, pensa il critico, perché parla di guerra. Quest'altro invece è un libro insignificante perché ha a che fare con i sentimenti delle donne in un salotto."*

Woolf continua a analizzare la posizione delle scrittrici in conflitto tra lo scrivere come scrivono le donne, rimanendo fedeli a se stesse, quindi sorde alle voci ostinate che volevano insegnare loro come scrivere e come pensare, o scrivere come scrivono gli uomini.

Abbandonando la prospettiva letteraria di Woolf, la sua osservazione coglie un punto fondamentale, la gerarchizzazione fatta dagli uomini  di valori da loro 'inventati'- calcio e guerra- ritenuti "naturali "e "universali' contrapposti a sentimenti, aspetti del lavoro casalingo, di cura di persone, animali, ambienti, oggetti. Argomenti secondari, anche se sono quelli che permettono il proseguimento della vita umana e animale.  

Allora ripensando ai nostri discorsi degli anni Settanta  è chiaro che la critica che rivolgevamo non era ai valori in sé, quanto all'accettazione -spesso forzata-  della gerarchizzazione e delle convinzioni che questi valori veicolavano: la costrizione delle donne nella sfera prioritaria, perché 'naturalmente femminile', della cura delle funzioni materno-seduttiva, con la libertà di prendersi rivincite  nell'ambito degli affetti, senza sottoporre a analisi e mettere in discussione il dato dello scambio sessuo-economico alla base della relazione e responsabile del  dominio degli uomini sulle donne. 

Lo stato delle cose è per fortuna modificato rispetto allo scenario del quale parla Woolf, 1929, Inghilterra, nucleo della cultura e della società emancipata del nostro Occidente, ma la sua riflessione continua a essere purtroppo quanto mai preziosa. 

* Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, Milano, 1995, Mondadori




lunedì 24 febbraio 2025

Piccolo dizionario dell'inuguaglianza femminile

In una lettera  del 1976 all'amica Michèlle  Causse  Alice Ceresa scrive  a proposito di un libro  che sta elaborando da qualche anno, dopo la pubblicazione di La figlia prodiga

"Ho scoperto che non posso scrivere un libro tutto di seguito... Credo che le donne non dovrebbero mai scrivere libri tutti di seguito, vale a dire per es. romanzi, perché ho il forte sospetto che non corrisponda loro questa forma presuntuosa di 'creazione' organizzata banalmente come la banale vita che ci hanno fatta. Forse le donne dovrebbero fare filtri, come le streghe. Io, per ora, distillo." (p. 7)

ll lavoro al quale si sta dedicando durerà tutto il resto della vita, non sarà mai completato a causa delle continue varianti, limature.  

Sarà pubblicato postumo nel 2007, sulla base degli inediti ritrovati nell'Archivio in Svizzera,  sei anni dopo la morte,   con il titolo Piccolo dizionario dell'inuguaglianza femminile, Roma, nottetempo, 2007.

Si tratta di una quarantina di voci, scritte nel suo stile ironico e provocatorio, che affrontano criticamente i temi delle vita, i linguaggi dei saperi disciplinari,  le relazioni donne uomini, i sentimenti, i luoghi comuni sotto forma di brevi narrazioni.

Sempre in una lettera a Michèlle  Ceresa espone il nucleo ispiratore del suo pensiero:

"Adesso ti spiego come la vedo io: per me l'"inuguaglianza femminile non è fatta dei temi delle rivendicazioni, ma è ancorata nell'intera visione del mondo; ergo, se io faccio un dizionario (che comprende le parole dello scibile), devo fare il giro anzitutto delle radici di quest'albero dell' inuguaglianza. Anzi, ti dirò che la mancanza di questo giro d'orizzonte è la maggiore debolezza delle femministe anche se capisco che chi si batte (fortunatamente per noi tutte) nelle strade non può avere di queste preoccupazioni. Io però le posso avere, anzi, direi che debbo... Perché dovremmo parlare soltanto delle foglioline di questa pianta? Con il rischio che poi ci ritroveremo con un 'ibrido' fatto su nostra misura (ovvero sulla misura delle nostre richieste) in uno di quei loro laboratori misogini? [...] Non vorrei che la somma tutto sommato finita delle 'rivendicazioni femminili' finisca con un'altra fregatura che sarebbe molto peggiore della prima. 

Conclusione: il piccolo dizionario io non lo scrivo per le donne; lo scrivo perché va scritto. E siccome io scrivo difficile, ebbene, sarà difficile; non mi risulta che le cose (e neanche quelle da capire) siano facili."(pp. 13-14)

Quasi cinquant'anni fa Ceresa congiunge la sua sensibilità di artista  con la sua dimensione di  donna del Novecento.

È una grande scrittrice, di nicchia, stimata e ammirata da critici e critiche, in misura minore da lettrici e lettori comuni, convinta della funzione indispensabile dell'arte, in grado, per chi la pratica e per chi la gode di svelare la "vera voce della vita", altrimenti muta.

Basti una scheda per entrare nel mondo del Piccolo dizionario:

"Letterario (personaggio femminile il): curiosamente le opere letterarie, benché da lontanissimi tempi preponderantemente stese da penne o macchine da scrivere maschili, abbondano di personaggi letterari femminili che parlano, pensano e agiscono pertanto per bocche e menti maschili.

Pertanto il personaggio letterario femminile, ivi comprese le sue ambasce e i suoi aneddoti, va considerato alla stregua di un travestito nei casi migliori e corrisponde a semplice farneticazione in quelli peggiori, quando esca, magari per giunta in prima persona, dalla penna o macchina da scrivere maschile. Come tale costituisce un'importante chiave di lettura della considerazione maschile in fatto di donne, e ne raffigura fedelmente opinioni, desideri e incomprensione. 





venerdì 7 febbraio 2025

Dominio maschile, struttura produttiva, femminismo

 Una delle acquisizioni più importanti del femminismo degli anni Settanta è che considerare le donne soggetti al pari degli uomini in ogni ambito di vita e di  pensiero, smettendo di rappresentarle interne alla categoria di umanità declinata al maschile inteso come neutro universale, ha costretto a confrontarsi con le parzialità che costituiscono l'umanità, a partire dalla prima distinzione tra donne e uomini. Questo ha implicato una rivoluzione di sguardi, di punti di vista, di convinzioni create da tempi immemorabili, di certezze consolidate, di sicurezze assimilate oltre che nella vita quotidiana, nella vita pubblica e sociale, nei campi e settori di studi e ricerche, nei conflitti e nelle lotte.

Il  lavoro definito come produttivo di merci e servizi è strettamente intrecciato con il lavoro di cura, anzi si basa su quest'ultimo per la propria sopravvivenza, ma le due sfere sono state separate -come fossero autonome l'una dall'altra- dalla divisione patriarcale del lavoro: alle donne la sfera della cura corrispondente alle loro attitudini e capacità presupposte "naturali"e agli uomini quella della produzione, secondo altre attitudini  supposte come "naturali". 
Divisione che oggi è stata messa fortemente in crisi  dalle modificazioni economiche, sociali, culturali e di costumi, ma permane la struttura della divisione sedimentata in secoli nelle mentalità di donne e uomini, nell'immaginario, struttura ancora documentabile nella lingua di comunicazione, e pronta a riemergere nelle contingenze pratiche e nelle ideologie. 

La soggettività delle donne si è storicamente plasmata durante la nostra evoluzione nelle attività di accudimento di persone, animali, piante e oggetti, di raccolta e preparazione di cibi, di riparazione e mantenimento di ambienti di vita,; la comunità degli uomini ha perimetrato l'ambito di attività e realizzazione delle donne nel campo della maternità reale e simbolica e della seduzione, .
Il riconoscimento e l'apprezzamento di familiari e estranei, quando c'era, compensava dell'insignificanza sociale caratteristica della maggioranza delle donne, che impediva di mettere voce nelle decisioni importanti di vita individuali e collettive.
L'alibi generale per l'esclusiva attribuzione dei compiti di cura  era costituito dal  fatto che le loro fatiche erano dettate dall'amore, l'arma potente di assoggettamento delle donne.

Quando poi le  attività di cura sono entrate nel mercato sono state svalutate socialmente, proprio perché femminili, e quindi poco pagate, anche se svolte da uomini.
Un esempio per tutti la situazione delle e degli insegnanti, almeno nel ciclo della scuola primaria e delle medie,  connotata da aspettative di tipo materno.

Analogamente la soggettività maschile ha assunto caratteristiche "adatte" alla produzione, alla politica, alle  istituzioni, senza doversi preoccupare delle attività fondamentali del lavoro di cura, consegnate totalmente  alle donne. 
Questo impoverimento  psichico e fisico degli uomini è diventato una causa della loro fragilità complessiva, che sfocia in molti casi in violenza e prepotenza quando la donna preposta a tali compiti si sottrae.

Il mondo della produzione, così come si è venuto configurando negli ultimi tre secoli, è stato egemonizzato da un sistema di produzione, il capitalismo, che ha puntato esclusivamente all'incremento dei profitti dei maggiori detentori dei mezzi di produzione, e ha estratto ricchezza oltre che dalla forza-lavoro impiegata,  anche dalle attività del lavoro di riproduzione erogate dalle donne in tutto il mondo, con carichi di lavoro diversi a seconda delle situazioni economiche e sociali. 
Inoltre  il capitalismo, nelle sue varianti nel tempo e nello spazio, ha saccheggiato fino all'inverosimile  terre, acque, animali e piante. 
Il mondo della cura è stato pretestuosamente offerto come contrapposto alla ferocia considerata indispensabile a quello della produzione,  pertanto è stato idealizzato come luogo appagante e  irenico,  il luogo dell'affetto disinteressato, dove ritemprare le forze e le energie spese nelle attività pubbliche. 
In questo consiste l'intreccio attuale tra capitalismo e  dominio maschile. 

Negli ultimi decenni si sono prodotti molti cambiamenti nella struttura economica, la femminilizzazione del lavoro ha  preteso  che le attitudini "naturali" e le capacità tradizionalmente maturate dalle donne nell'ambito della cura fossero apprese anche dagli uomini  ed esercitate nel campo della produzione, fino a arrivare alla richiesta di lavoro gratuito in certi casi, così come è gratuito il lavoro domestico.

Si moltiplicano i tentativi da parte delle donne di sottrarsi agli obblighi derivanti dal modello tradizionale di famiglia, ma al mutare delle condizioni storiche non corrisponde un altrettanto veloce cambiamento di mentalità, di sensibilità, di comportamenti. 
La forza di inerzia del modello dominante prolunga certe posizioni mentali, anche quando vengono meno le condizioni materiali che l' hanno prodotto. 

Quindi occorre affiancare alle lotte sociali le battaglie culturali per l'eliminazione delle immagini interiorizzate relative alla relazione donne e uomini, che sono la base delle rappresentazioni e autorappresentazioni di donne e uomini, principali responsabili dell'inerzia linguistico-mentale.

Ecco perché per cambiare alle radici il sistema di produzione che ci affligge occorre lottare contro il dominio maschile, che è un suo potente sostegno e viceversa per rovesciare il dominio occorre abbattere il sistema economico che  vi si è intrecciato; non sono possibili scorciatoie.


mercoledì 4 dicembre 2024

Guerra tra i sessi, espressione abusata per contrastare la "marea di donne" incalzante

 

I tentativi di delegittimare  nel senso comune la valenza politica delle lotte  nazionali e globali delle donne con l'argomento che il patriarcato non esiste più franano davanti a prove e argomentazioni anche semplici.

Scendono in campo filosofi, l'eccellenza del pensiero, per convincerci che il femminismo, definito come un tutt'uno omogeneo negli  intenti e nei metodi, è il migliore alleato del neo-liberismo e che ha lo scopo di mascherare  le vere diseguaglianze, di classe, economiche...

Per sostenere questa tesi si ricorre a manipolazioni di  parole e concetti base, ed ecco il ricorso all'espressione "guerra tra i sessi".

Non si finirà mai di contrastare questo concetto volto a spaventare e quindi neutralizzare presso l'opinione pubblica le acquisizioni pratiche e teoriche  del neo-femminismo degli anni Settanta del secolo scorso.

La guerra tende all'annichilimento, l'asservimento, la distruzione fisica e psichica, la mortificazione del nemico  per ridurlo in potere del vincitore, limitandone autonomia e libertà.

C'è qualcosa di analogo  a come le donne vivono nella situazione di dominio maschile?

L'idea che il dominio maschile sulle donne finisca con il far trascurare  le altre forme di dominio in atto  è falsa, dal momento che proprio dall'analisi dell'asservimento delle donne ha preso campo l'analisi di molti altri settori nel quale si esercita il dominio.

Forse c'è la paura, più o meno consapevole in molti, del rovesciamento dei ruoli sull'esempio di quello che hanno fatto gli uomini alle donne, e quindi di trovarsi a loro volta in quella situazione.

Le donne che accettano di restare nei perimetri assegnati dal dominio maschile, perimetri sempre più ampi, aggiornati alle esigenze sociali, modernizzati almeno da noi,  godono di tutele, privilegi esaltazioni retoriche, diventando le migliori alleate dei maschi e dell'ordine socio-culturale vigente.

Invece Il conflitto può anche essere aspro, disturbante la quiete e l'ordine sociale dato, lungo e apparentemente insanabile, ma tende a una mediazione, che si spera la più  equa possibile, non alla distruzione dell'avversario.

I documenti femministi degli anni Settanta non parlavano di guerra, bensì di di conflitto tra i sessi, il termine guerra semmai lo si leggeva in testi giornalistici, che condannavano donne del movimento come  portatrici di disordine sociale,e etico, donne isteriche, odiatrici degli uomini...

Alla voce  "conflitto"  nel Thesaurus costruito sulla lingua naturale di documenti del Movimento delle donne degli anni Settanta e Ottanta si legge:"conflitto tra i sessi U (Usa)  contraddizione tra i sessi", mentre alla voce guerra troviamo: "guerra Va (Vedi anche lotta armata, pace)".

Linguaggiodonna. Primo thesaurus di genere in lingua italiana, Adriana Perrotta Rabissi e Maria Beatrice Perucci, ed. Centro di Studi storici sul movimento di liberazione della donna in Italia, Milano, 1991, ora consultabile in rete al sito 

https://www.fondazionebadaracco.it/wp-content/uploads/2021/05/Linguaggiodonna.pdf


martedì 3 dicembre 2024

Diritti, una parola abusata per depotenziarne la politicità

 Diritti, una parola abusata per depotenziarne la politicità

Che i  Governi propinino una serie di frottole per rabbonire  le cittadinanze estenuate, disilluse, frustrate.è cosa comune.

Che le frottole siano facilmente smentibili, ma richiedano almeno curiosità e ricerca, invece di lamentele e recriminazioni, è altrettanto comune.

Ma che  si strumentalizzino concetti fondamentali della coesistenza fra le persone -i diritti-  puntando sull'ignoranza  e sull'indolenza di molte e molti è criminale.

È senso comune che affermare diritti, anche per legge, non comporta che le persone alle quali questi diritti sono rivolti possano accedervi per un infinità di ragioni, a partire dalle condizioni materiali di vita.

Se finora si è parlato di diritto di emigrare da parte di chi rischia la vita, la sicurezza fisica, economica, sociale, religiosa...in paesi e situazioni  estreme, da qualche tempo il nostro governo  stravolge l'espressione, per sostenere la propria irresponsabile e crudele politica nei confronti di migranti, a Diritto a non emigrare!

Non val neppure la pena analizzare l'infelice espressione dal punto di vista logico, filosofico, storico, antropologico, sociale...

Denuncia l'arroganza di chi ritiene tutti cittadini e tutte  le cittadine  pari al proprio livello  intellettivo-conoscitivo.

Denuncia l'impotenza di mettere mano in modo minimamente civile e responsabile a un emergenza   di dolore e sofferenza per migliaia di persone.

Un'ultima questione è la separazione che è attuata nel discorso pubblico tra diritti civili e diritti sociali, di questi ultimi non si parla, si enfatizzano i primi, con la massima attenzione  a porre i limiti opportuni.

domenica 20 ottobre 2024

Memorie di una femminista non pentita XI, il Centro studi di Milano, I parte

Con la fine del Gruppo per l’espressione della donna terminò per me la pratica dell’Autocoscienza, l’ultimo periodo era stato faticoso sia nella dimensione politica che in quella personale, ero entrata in una fase di turbamenti e confusione, mi dedicai a cercare di risolvere le difficoltà materiali e psicologiche di vita e lavoro.

Mi allontanai dai luoghi del Movimento e persi di vista le mie amiche femministe.

Nell’agosto dell’’80 conobbi a Londra Pierrette Coppa, che era lì per approfondire i suoi studi di psicoterapeuta.

Mi aveva messo in contatto con lei Laura Grasso, compagna del gruppo di autocoscienza, Pierrette mi trovò anche la sistemazione in casa di un’amica.

 Passammo insieme tutto il mese, spesso mi accompagnava a scoprire luoghi particolari di Londra,
lontani da quelli turistici, città che conosceva benissimo perché più volte aveva trovato lavoro, anche come dogsitter.

La sua famiglia, di modeste condizioni, era emigrata in Francia al tempo del fascismo, al ritorno in Italia Pierrette aveva svolto vari lavori, andando anche spesso in Francia e Inghilterra, mentre studiava, finché era approdata alle edizioni Mazzotta di Milano, dove aveva conosciuto Elvira Badaracco, autrice di testi sulla salute e sulla condizione delle donne lavoratrici, pubblicati dalla casa editrice.

Elvira aveva lasciato  il Partito Socialista quando Craxi ne era diventato Segretario, era ancora piena di energia e di voglia di politica e accettò con entusiasmo il progetto di Pierrette,  che la considerò la persona giusta per occuparsi del Centro a tempo pieno.

A Londra Pierrette, venuta a conoscenza del  mio recente passato di femminista, mi invitò a frequentare il Centro, mentre osservava ironicamente che appena costituito il Centro studi se ne era andata per studio e lavoro.


Nell’agosto dell’’80 il Centro aveva sette mesi di vita, essendo stato costituito il 28 Dicembre 1979.

 Le intenzioni delle socie fondatrici a proposito delle attività del Centro divergevano alquanto. All'inizio Pierrette, di fronte alla massa di manoscritti di donne che affluivano alla casa editrice e finivano per essere  scartati, aveva pensato di raccoglierli e salvarli. Elvira pensava piuttosto a testi di carattere politico-istituzionale. Le giovani femministe contattate per affiancare Elvira nel lavoro del Centro, Maria Beatrice Perucci e Pucci Selva insieme con altre socie che aderirono da subito all’iniziativa, orientarono la raccolta su documenti e testi del  femminismo.

Il primo Bollettino del Centro, del Marzo 1981, riporta lo Statuto e l’elenco delle socie: 30 tra ricercatrici, accademiche, sociologhe in prevalenza, più  due Centri già attivi: DWF e la Cooperativa Lenove, più una socia corrispondente dall’università del Quebec.

 Il Bollettino numero 1 del  Centro inizia in questo modo:
"Facciamone in breve la storia.
La voglia di raccogliere, conservare, capire i tracciati della nostra storia di donne è nelle cose da anni: Centri di documentazione, Libreria di donne, Gruppi di ricerca, Radio Libere, sorti un po’ ovunque, sono segno di un procedere spesso per piccoli gruppi, in questa direzione.
Di questi gruppi, alcuni hanno voluto e saputo riferirsi ad una realtà ampia, nazionale, e sono oggi molto conosciuti; altri sono ‘visibili ‘solo al contesto locale.
Ma tutti sono sorti, sempre con pochissimi mezzi, per una forte volontà delle donne.

Forse l’intenzione prima che muove ognuna di queste realtà…è la volontà di capire…la nostra realtà di oggi.
…..

Negli incontri del primo periodo abbiamo individuato e definito tre settori di lavoro su cui impegnare il Centro:

-raccogliere e organizzare l’archivio del materiale documentario prodotto in Italia negli anni del nuovo femminismo

-creare un nucleo di biblioteca specializzata

-creare al nostro interno situazioni di ricerca e nello stesso tempo raccogliere l’informazione e farla circolare su ciò che che nei diversi ‘luoghi’ si sta producendo...."

 Seguono lo Statuto, composto di 14 articoli, che delinea anche la struttura organizzativa: presidenza, segreteria, poi l’elenco delle socie, quindi la comunicazione della ricerca in corso, che intende raccogliere tutto quanto espresso dalla nuova coscienza delle donne, materiale edito e inedito, che darà luogo al volume “Dal movimento femminista al femminismo diffuso. Ricerca e documentazione nell’area lombarda”, Battisti, Calabrò, Confalonieri, Gay, Ghezzi, Grasso, Perrotta Rabissi, Perucci, Pezzini, Scaramuzza, Selva, a cura di Annarita Calabrò e Laura Grasso, Franco Angeli, Milano, 1985, pp.558

Purtroppo oggi circola un’edizione di 267 pagine, pubblicata nel gennaio 2004, privata della seconda parte, quella che dava conto delle attività delle altre città lombarde, ricche di iniziative, condotte in situazioni problematiche per molte donne, ad esempio le Valli alpine, caratterizzate dalla emigrazione degli uomini verso la Svizzera.
Realtà considerate “periferiche” in un’ottica da un lato milanocentrica, dall’altro schiacciata sul filone del femminismo delle analisi dell’inconscio, del simbolico, della psicanalisi.

La rappresentazione del femminismo nei mezzi di comunicazione di massa e anche le ricostruzioni di femministe, purtroppo, hanno alimentato l’idea che il  femminismo focalizzato sull'inconscio, sul simbolico con i suoi sviluppi teorici, sia stato l’unico filone di femminismo attivo e valido, almeno a Milano, a discapito dei filoni materialisti, concentrati su temi sociali, economici, di conflitto di classe.

Distorsione che è stata in parte corretta a partire da 2000.
L’analisi di questa seconda parte della ricerca Dal Movimento femminista...sarà l’argomento della prossima puntata della mia Memoria.
 
Il cuore del progetto del Centro fu l’archivio, quindi, che diede vita a tutte le intense attività di studio e ricerca  di sistemi di classificazione che consentissero la rappresentazione dei contenuti specifici espressi dal patrimonio del materiale raccolto, edito e inedito.

Si arrivò all’organizzazione a Milano nel 1988 del Convegno Internazionale sulle esperienze di organizzazione e informazione delle donne europee, patrocinato dalla CEE.  

Convegno che registrò la partecipazione di numerosi Centri, Archivi e Biblioteche italiane e estere nel quale si confrontarono i vari sistemi adottati dai Centri per fare emergere la specificità dei contenuti dei testi, editi o inediti,  a firma di donna..

Gli Atti  e gli interventi al Convegno sono pubblicati nel libro  "Perleparole. Le iniziative a favore dell’informazione e della documentazione delle donne europee", a cura di Adriana Perrotta Rabissi  e Maria Beatrice Perucci, Roma, Utopia, 1989.

 Il lungo lavoro di ricerca di un linguaggio di indicizzazione che rappresentasse adeguatamente i contenuti dei documenti delle e sulle donne portò alla costruzione  di "Linguaggiodonna. Primo thesaurus di genere in lingua italiana", di Adriana Perrotta Rabissi e Maria Beatrice Perucci, con la collaborazione, una vera e propria supervisione, di Piera Codognotto, Milano, Centro di studi storici sul movimento di liberazione della donna, 1991, Bollettino n. 6

"Linguaggiodonna" fu adottato come strumento di indicizzazione  dalla Rete Lilith, la rete dei Centri, Librerie, Archivi e Case delle donne in Italia.

 L’idea dell’Archivio non fu apprezzata da alcune femministe, che lo considerarono un congelamento della memoria e della sua documentazione, non ne fu intesa la valenza dinamica di organizzazione  delle  analisi e teorizzazioni del Movimento delle donne, per renderle fruibili alla nostra riflessione  e a chi volesse interessarsene,  oltre alla sua propria funzione di salvaguardia dalla dispersione dei documenti. prodotti dalla nuova coscienza delle donne.

Il contrario quindi di una mummificazione, ma una ripresa di temi e proposte.

In realtà nei 15 anni di vita del Centro, dal 1980 al 1994, anno in cui morirono a pochi mesi di distanza Elvira e Pierrette, nelle riunioni di Segreteria e nella pratica del Centro si confrontarono due  tendenze, una di Movimento, concentrata a lavorare sui temi della documentazione e dell'informazione, l'altra tesa a approfondire temi di carattere storico-letterario.


Nota

Linguaggiodonna è interamente consultabile al link:

https://www.fondazionebadaracco.it/wp-content/uploads/2021/05/Linguaggiodonna.pdf