venerdì 22 marzo 2013

Tra estraneità e coinvolgimento


Per mantenermi in equilibrio di umore nell'occuparmi delle vicende politiche degli ultimi mesi (vista la crescente vulnerabilità direttamente proporzionale alla fragilità psicofisica indotta dall'invecchiamento) oscillo tra estraneità e coinvolgimento.
Due posizioni che mi sono entrambe familiari.
All''estraneità alla politica sono stata educata sia perché donna in una società patriarcale, sia perché vivevo in una famiglia preda della tipica frustrazione dei "vinti/e della Storia".
Il ritornello consueto era che la politica fosse una "cosa sporca", che chiunque approdasse a luoghi di potere si sarebbe comportato nello stesso modo, così che "i più deboli" ci sarebbero andati sempre di mezzo, ineluttabilmente.
Mantenni questa dimensione fino alla fine del liceo, impreziosendola anche con lo stoicismo dei classici latini, almeno come lo intendevo io allora.
Negli anni Sessanta, lo studio della Storia all'Università, che mi appassionò da subito (al liceo avevo privilegiato la filosofia, provenendo allora gli insegnanti di storia dagli studi filosofici, per classe di concorso) e il contemporaneo sommovimento culturale e politico che si verificò anche nelle Università  italiane determinarono l'interessamento alle vicende sociali, culturali  e politiche, nazionali e internazionali, che non mi ha più lasciato.
Anche al tempo del femminismo degli anni Settanta pur conoscendo e condividendo le lucide analisi di Virginia Woolf sull'estraneità delle donne ai riti della politica maschile non ho mai abbandonato l'amore per le vicende politiche del mio tempo, e non ho mai dichiarato la mia estraneità alla formulazione di regole di convivenza, come parte del  femminismo propose allora.
Eppure in questi giorni mi sono sorpresa a pensare facciano tutt* quello che vogliono, non mi interessa più.
Ad una riflessione meno indotta dall'emozione mi sono accorta che su tutto prevale il desiderio -e la delusione successiva- di arrivare a una dialettica politica senza gli effetti distorcenti, oltre che immobilizzanti, dovuti alla presenza del signor Berlusconi. 
Non  abbiamo tutt* né gli stessi interessi materiali né gli stessi ideali, occorrono mediazioni per convivere, occorre quindi che le/gli rappresentanti rappresentino appunto la molteplicità di interessi e ideali, rispettando anche il volere delle minoranze, per questo il concetto di "popolo", come un tutto coeso è un'astrazione.
Il confronto politico nell'attuale sistema democratico -molto imperfetto ai miei occhi, ma per ora non ne vedo realizzati di migliori- è normalmente problematico, e presuppone un interesse generale in qualche misura superiore agli interessi immediatamente individuali, per questo ci si deve affidare con fiducia alle persone delegate al confronto.
Del resto anche nel piccolo gruppo di un'assemblea di classe, di condominio, di quartiere, luoghi  dove si può sperimentare una qualche forma di democrazia diretta, si incontrano grandi difficoltà a trovare una strada comune. 
Da noi la situazione è da anni inquinata e distorta a causa di privilegi acquisiti e mantenuti anche ricorrendo a strumenti ai limiti della legalità democratica (leggi ad personam e quant'altro) e comunque strumenti politicamente inopportuni, secondo le regole della nostra democrazia.
L'effetto distorcente, fino a deviare il conflitto verso una guerra  pro o contro una singola persona è sotto gli occhi di tutt*.
Si biasima da più parti l'antiberlusconismo -al quale alcuni nostri politici devono la loro recente fortuna elettorale, ora sfumata - e si osserva giustamente che ha prodotto effetti distorti, ma per 
liberarsi di questo schema di comportamento, che impedisce ogni confronto libero, credo opportuno rimuovere l'ostacolo, deciso a presidiare il confronto politico a tutti i costi e con tutti i mezzi a disposizione.
Finché perdurerà la situazione attuale, che ingessa ogni possibilità di reale cambiamento dello stato delle cose, temo continuerò la mia oscillazione tra estraneità e coinvolgimento.

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