Memorie di una femminista non pentita (V puntata)
Approdai al femminismo alla fine del1970, proveniendo da una formazione politica di quelle che allora erano definite extraparlamentari, il primo volantino che scrissi come “femminista” fu contro il lavoro domestico, dal titolo “Basta con il doppio lavoro”.
Le riunioni erano tenute con compagne del mio gruppo politico di riferimento e alcune operaie della Sit Siemens, e della Farmitalia, sindacaliste conosciute durante il lavoro di volantinaggio davanti alle fabbriche, che ottennero anche di utilizzare i locali delle mense aziendali per le riunioni.
Ci furono incontri serali con le mogli degli operai della Pirelli, insieme a Serena Nozzoli, che
stava preparando il suo libro Donne si diventa, pubblicato nel 1973,
I temi vertevano innanzitutto sul carico di lavoro domestico, accanto a quello in fabbrica, lavoro spesso accentuato dalla progressiva sottrazione di compagni e mariti, impegnati anche nel lavoro politico in un periodo che si annunciava ricco di lotte sociali, si denunciavano anche la disparità di trattamento tra donne e uomini sul posto di lavoro, la carenza dei servizi sociali.
Data la mia cultura politica il mio interesse era stato rivolto inizialmente alla questione dei diritti sociali, si privilegiava il rapporto con le lavoratrici, ma questa pratica entrò ben presto in crisi di fronte alle elaborazioni dei gruppi con i quali venni subito in contatto, confronto che mise in luce il rischio di riproporre un atteggiamento “paternalistico” nei confronti delle “altre” che si andavano a incontrare.
A parte il l DEMAU di Daniela Pellegrini e Lia Cigarini che durava da anni, tra il giugno e il settembre 1970 si formarono Anabasi, fondato da Serena Castaldi, che dopo un soggiorno in USA portò documenti del nascente femminismo, confluiti nel numero speciale Donne è bello e nella rivista Al femminile, il mio Collettivo, il gruppo di Carla Lonzi, che incontrai in una mansarda a Brera, senza purtroppo cogliere la radicalità del discorso, così che dopo un paio di volte non la frequentai più.
Arrivarono poi da Trento le ragazze de Il cerchio spezzato, che avevano scritto: La coscienza
di sfruttata e che presero casa insieme a Milano.
Tra il 1970 e il 1974 nascono e operano a Milano una trentina di gruppi, dotati di nome sede e produzione di materiali.
Nonostante le differenze di analisi e di pratiche c’è all’inizio un rilevante scambio di presenze alle riunioni indette dai vari collettivi, il dibattito è vivace, si discute a lungo se sia più importante allargare la comunicazione ad altre donne, per cercare obiettivi comuni di lotta, oppure riflettere, suddivise in piccoli gruppi, sulle proprie resistenze alla presa di coscienza.
Ci si interroga sul nesso tra sfruttamento capitalistico del lavoro e condizione delle donne, sui concetti di lavoro produttivo e lavoro riproduttivo, sul ruolo della famiglia nella vita delle donne e della società.
Le prime analisi vertono principalmente sulla considerazione delle donne come “gruppo sociale oppresso”, da cui le diatribe se devono essere considerate casta o classe.
Fondamentale diventa il concetto di “sorellanza”, legato all’idea di comune oppressione, che
che nelle intenzioni dovrebbe sostituire la tradizionale competitività e rivalità tra donne rispetto all’uomo di turno.
Ricordo comunque situazioni di euforia, entusiasmo per il piacere di ritrovarsi insieme a lavorare a un progetto ancora molto nebuloso -ma appassionante- di radicale modificazione della propria vita individuale e di quella collettiva, malgrado la confusione di concetti e termini e le accese discussioni.
Le difficoltà appaiono in tutta la loro evidenza nel primo momento di confronto pubblico tra i gruppi, il Convegno del giugno 1971 alla Società Umanitaria. Vi partecipano donne, circa 70, di Milano, Padova, Ferrara, Pisa Trento, Firenze, Bologna, Torino, si verifica in questa occasione una separazione anche fisica: Anabasi propone di abbandonare la sala del dibattito, incentrato sul tema delle condizioni di lavoro domestico e extradomestico per scendere in giardino a parlare di sé.
È da sottolineare il fatto che poche abbandonano la sala di riunione, ma il gesto colpisce moltissimo tutte quante perché è la prima manifestazione pubblica e provocatoria di differenze tra noi, delle quali sinora si era solo parlato o che erano state agite nel chiuso del proprio gruppo.
Inoltresi profila la futura contrapposizione tra i due filoni fondamentali del femminismo milanese, quello autocoscienziale di riflessione sul simbolico, sull’inconscio e quello orientato ad affiancare alla pratica dell’autocoscienza un contemporaneo intervento sul sociale.
È comunque durante il Convegno che pende corpo l’idea di trovare una sede comune ai vari Collettivi, finora riunitisi nelle case.
La sede sarà aperta alla fine del ’72, la sede di Via Cherubini, contemporaneamente matura il progetto di un giornale, il primo Sottosopra, pubblicato nel 1973.
Via Cherubini è il luogo di riunioni intergruppi e anche spazio a cui possono accedere donne non organizzate in collettivi, grazie al passaparola, è una situazione che permette di sperimentare nuovi modi di stare insieme tra donne, iniziano così cene, feste.
Nel ’73 si costituisce a Milano il gruppo Lotta Femminista, che si differenzia dai gruppi analoghi in altre città d’Italia proprio perché adotta la pratica dell’autocoscienza.
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