venerdì 5 aprile 2024

Una valigia di carbone. Memorie di una femminista non pentita


Valigia di carbone, 3 giorni senza uscire di casa, una poesia, che si concludeva con un “Viva Adriana”.
Le uniche notizie sulla mia nascita presenti nei racconti di mia nonna e mia madre, insieme alle osservazioni che raggiungevo a fatica due kili di peso, che ero molto carina malgrado la magrezza, e soprattutto che mio padre per tre giorni di seguito non era uscito di casa.
Quest’ultima espressione era detta con tale enfasi che fino all’età di sette o otto anni ero molto orgogliosa di questo segno di elezione e di affetto nei miei riguardi, tanto che lo dicevo a chiunque incontrassi anche casualmente.

 Più tardi appresi da qualche frammento di racconto di mia madre dell’abitudine paterna di stare fuori casa la sera, gioco e forse donne (?) tanto da costringerla a passare lunghe ore seduta sugli scalini davanti alla porta, per la paura di stare in casa da sola, salvo rientrare precipitosamente al suono dell’ascensore.

La valigia piena di carbone e la poesia invece erano regali del mio padrino di battesimo, al quale ho voluto molto bene, che è stato un’assidua presenza nella nostra vita familiare, fino al momento in cui si è sposato, abbastanza tardi negli anni.

 Non so altro, mia madre è morta quando avevo vent’anni, non mi ero ancora interessata ai dettagli della gravidanza, del parto, e dell’allattamento e non ho fatto in tempo a rivolgerle domande; non mi sono neanche sognata di chiedere notizie a mio padre, morto molto più tardi.
Del che resto neanche lui ha mai accennato alla nascita mia o di mia sorella, come se la cosa non l’avesse riguardato per nulla, neanche al tempo delle mie due gravidanze, o dei miei parti.
La divisione dei compiti e la distinzione dei ruoli hanno operato nel profondo della mia e della sua psiche, anche quando avevo maturato una nuova coscienza e consapevolezze femministe.

Oggi penso che abbia influito molto la sensazione di distanza che ho avvertito fin da subito in mio padre rispetto al mio mondo emotivo-sentimentale, del quale si impossessò mia madre, in maniera troppo invadente, mi dichiarò che avrebbe voluto che condividessi con lei i momenti dell’adolescenza che le erano stati negati per vicende familiari.
Acconsentii per amore verso di lei, ma non andava bene, ora lo so, non potei confrontarmi con altre donne adulte perché i miei genitori si erano allontanati dai rispettivi luoghi di origine e dalle famiglie, fui pertanto esposta senza difese alle sue ansie e angosce, fobie, e divenni troppo dipendente da lei in una dimensione simbiotica.

L’unica parziale compensazione  nei confronti di una relazione madre figlia malata mi fu offerta dal femminismo negli anni Settanta, dall’Autocoscienza, dal confronto con donne di età diverse nei collettivi e nei gruppi.

Non so se mio padre sia stato escluso da mia madre o si sia autoescluso, sta di fatto che la dimensione intima non si recuperò più, contò dapprima il fatto che avrebbe voluto un figlio maschio, in seguito la mia scelta di un orientamento politico opposto al suo. Non ci confrontammo mai, entrambi evitammo accuratamente.
 
Sono nata il 3 febbraio 1945, di sabato. Nei primi tredici giorni del mese a Milano ci sono stati gli ultimi attacchi aerei, quattordici; Milano era allo stremo, al freddo e alla fame, tanto che il Comune organizzava mense collettive.

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