venerdì 19 aprile 2024

Dalle relazioni tra donne alle relazioni tra femministe, parte I Memorie di una femmiista non pentita IV



Forse ci fu un affollarsi troppo repentino di eventi personali e sociali, di idee, scoperte di dimensioni diverse da quelle un po' claustrofobiche nelle quali ero vissuta fino ad allora, ne avrei scontato anni dopo la precipitosità e la mancanza di assimilazione emotiva e intellettiva, però furono tempi caotici anche per molti e molte della mia generazione.
La mia adolescenza, come ho già detto,  era trascorsa nel chiuso di un piccolo nucleo familiare, i miei genitori erano entrambi emigrati a Milano, rompendo in modo più o meno definitivo con la propria famiglia d'origine, non ho frequentato né zie/i, né cugine/i, se non per brevi incontri occasionali.
L’unica parente frequentata con grande amore fu la mia nonna materna, "fuggita" a Milano con la figlia poco più che ventenne e per questo messa al bando dalla propria famiglia d'origine, entrambe furono considerate dai e dalle loro parenti, famiglia patriarcale infarcita di suore e preti, alla stregua di puttane.

D'altronde mio nonno materno, 
il più giovane di undici tra fratelli e sorelle, era socialista e per questo  considerato pecora nera della famiglia benestante, ultracattolica e clericale, Pur essendo socialista poi, mio nonno era anche razzista dato che sembra si sia scandalizzato all'idea che sua figlia sposasse un poliziotto per di più meridionale, non andò neppure al matrimonio della figlia, suppongo fosse anche sessista, allora non si usava questo termine, visto che ha impedito a mia madre di continuare gli studi, mentre si è adoperato per fare studiare il figlio svogliato, con scarso esito.
Mio padre era un proletario, poliziotto e fascista, i miei nonni paterni erano  morti.
Questo conosco della mia storia familiare, dai pochi accenni di mia madre quando avevo quindici o sedici anni.

Non so se mi fa bene andare a risvegliare certi ricordi, da un lato è la prima volta che li analizzo senza l'incalzare di una emozione contingente, in una dimensione più conoscitiva, come è per me la scrittura, dall'altro però mi accorgo di procurarmi un'agitazione imprevista e un sotterraneo disorientamento, pericoloso per la mia fragilità emotiva di donna "anziana", che spesso si manifesta in sogni notturni molesti.

Credo di essere spinta dal desiderio di capire una buona volta, arrivata a questo punto della mia vita, qualcosa del mio rapporto con le donne, passato, presente e futuro.
Non posso che partire da due eventi cardine : il rapporto interrotto bruscamente con mia madre, l'esperienza di vita e di pensiero femminista.
Il nodo è apparso da subito stretto quando, dopo qualche tempo di pratica di autocoscienza condotta con il mio Collettivo ininterrottamente per cinque anni dal 1973 al 1978, ho fatto un sogno ancora vivido nella mia memoria e alquanto terrorizzante, ho sognato mia madre, in figura di morta, che mi inseguiva in un corridoio con un pugnale in mano per colpirmi alle spalle.

Non ho mai fatto analisi, non sono mai ricorsa a colloqui psicologici, non ho mai molto indagato la mia interiorità. Durante l’adolescenza ho sofferto di un eccesso di fantasia compensativa, pari all'impotenza della quale mi sentivo preda. Un'attività fantastico-ossessiva  che mi faceva preferire l'isolamento alla dimensione collettiva amicale, eccesso che mi si è puntualmente ripresentato altre volte nel corso della vita in situazioni di forte frustrazione emotiva.
Gli unici momenti di riflessione sul mio mondo interiore sono stati quelli dell'autocoscienza, in quegli incontri confrontavamo il nostro vissuto nelle relazioni con donne e uomini, nella sessualità agita o patita, nel lavoro, nella rappresentazione del mondo e nella autorappresentazione, mai però, nel mio gruppo, scendevamo a considerare qualcosa di più profondo, sia perché, consapevoli della nostra inesperienza nel campo psicologico, temevamo i possibili disastri derivanti da arbitrarie interpretazioni, sia perché volevamo evitare momenti di "sfogo emotivo", pratica largamente agita nelle tradizionali situazioni amicali tra donne. Consuetudine, questa, che serviva senz'altro a sollevare il morale al momento, ma non incrementava per niente la conoscenza delle responsabilità personali, individuali e collettive nel mantenere l'ordine simbolico vigente e rischiava di incrementare il vittimismo comune, accettato come dato ineluttabile, smorzando ogni volontà di modificazione di sé e del. Mondo.

La pratica dell'autocoscienza ha significato molto per me in termini di comprensione del mondo e di me, mi ha aiutato a uscire dalla dimensione claustrofobica nella quale ero stata -e mi ero- rinchiusa, ma la mancanza di abitudine ad una pacata autoriflessione (sostituita da fantasie compensative esasperate che hanno agito da barriera difensiva) ha inciso in qualche modo sulla deriva ideologica che a un certo punto del percorso ha preso il mio femminismo.

 

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