Le cose che mi colpiscono maggiormente in queste convulse giornate del dopo voto, complice un raffreddamento che mi tiene inchiodata in casa da un paio di giorni e mi costringere a consultare compulsivamente face book e giornali sono tre.
Il turpiloquio, come segno del degrado e della mancanza di rispetto personale non solo nelle relazioni tra le/gli appartenenti al ceto politico, ma anche nei confronti di noi, cittadini e cittadine, che nutriamo verso questa pratica sentimenti contrastanti.
35 anni di insegnamento mi hanno abituato a pretendere il rispetto linguistico delle e degli adolescenti tra loro e nei confronti del personale scolastico, comprendevo l'esasperazione alla quale certi colleghi e certe colleghe (magari frustrati/e dalla scarso prestigio sociale e dalla scarsissima remunerazione economica) potevano indurre in allieve/i con i loro comportamenti poco rispettosi, ascoltavo le ragioni e mi facevo carico del problema all'origine, ma richiedevo fermamente di non ricorre ad insulti, che di per sé avrebbero oscurato le loro ragioni e annullata qualsiasi argomentazione.
Credo che la mia funzione di educatrice, inseparabile nel ciclo delle Medie (di I e di II grado) da quella di insegnante, lo prevedesse, pena sanzioni se non l'avessi esercitata.
Eppure non mi ha mai scandalizzato il turpiloquio in sé, ancora troppo recente era il ricordo degli anni fine '60 inizi '70 quando mi apparve strumento di emancipazione dall'ipocrisia di una società perbenista a parole, censoria nei riguardi di termini e atti che alludessero esplicitamente alla sfera sessuale, soprattuto nei confronti di una ragazza della piccola borghesia quale ero io.
Nella mia esperienza scolastica, con i costumi modernizzati, il turpiloquio, non come insulti diretti ma come esclamazione di disappunto, segnava spesso il passaggio dall' adolescenza all'età adulta. Pur con la mia storia di uso personale del turpiloquio come sfogo liberatorio, faccio fatica a accettarlo in dichiarazioni pubbliche di persone che, pur non essendo insegnanti, dovrebbero esercitare una funzione pubblica di modello di comportamento per tutti tutti/e, giovani e meno giovani, lo avverto come una mancanza di rispetto verso di me, cittadina e elettrice.
Ma la cosa che mi preoccupa maggiormente è che ho senz'altro contezza, nella mia esperienza di vita e di lavoro, che il turpiloquio -se è usato da persone che conoscono più di trecento parole- maschera il più delle volte il vuoto di idee e argomentazioni.
Come cittadina sono un po' spaventata.
Lo scandalo che si sta rivelano proprio negli ultimi giorni della corruzione al tempo dell'acquisto di parlamentari per rovesciare il parlamento appena eletto.
Anche qui nessuno può credere in buona fede che non sia mai accaduto nulla del genere, dall'inizio dello stato italiano ci furono accuse ripetute, e storicamente accertate, di trasformismo, che non era certo dettato da legittimi ripensamenti e cambi di opinione, ma da interessi individuali e cinismo civico.
All'epoca varie voci si levarono a denunciare la cosa, per la platealità che aveva assunto, secondo lo stile da avanspettacolo che caratterizza l'ideatore della pratica, eppure nessuno/a si prese allora la briga di indagare, di pretendere chiarezza, parlo di chi aveva la possibilità istituzionale di farlo.
Poi ci si lamenta dell'operato della magistratura, che entra pesantemente nella lotta politica, ma la magistratura dovrebbe essere l'ultima destinataria di un'indagine, perché in grado di stabilire se effettivamente un reato c'è stato, su segnalazione degli organi di garanzia dei quali le Istituzioni dovrebbero essere dotate, maxime le istituzioni politiche che hanno la pretesa di rappresentarci e guidarci.
Perché nessuno/a allora, presente nel Parlamento, si alzò a chieder chiarezza a tutela della propria dignità e di quella dell'Istituzione?
E su questo mi fermo qui.
Al tempo dello scandalo delle cene di Arcore e del tampinamento da parte dell'allora Presidenrte del Consiglio di ragazze giovani e belle, molti e molte, che in pubblico magari negavano gli episodi, in privato mostravano senso di ammirazione maschile e di ammiccamento da caserma non disgiunto da una punta di invidia, se uomini, di emancipazione femminile se donne, per quanto il potere politico e economico assicurava a un vecchietto, neanche affascinante, un po' floscio e anche un po' noioso con quel vizio di parlare sempre di sé..
Di fronte a prove inconfutabili via via prodotte, si affrettavano a strillare contro il moralismo imperante e invitavano a prendere in considerazione gli atti di governo, non il privato, nel quale ciascuno regna sovrano.
Furono spesi fiumi di parole da parte di donne e qualche uomo per segnalare che i comportamenti privati e quelli pubblici non potevano essere completamente disgiunti in una persona, perché obbedivano a un medesimo ordine culturale e sociale secondo il quale lo scambio sesso-denaro è il fondamento di una costruzione sociale che destina gli uomini e le donne a compiti precisi, distinti ma complementari per la vita di una società.
Questo ordine è il patriarcato; è vero che non è un tutto indistinto, che prevede livelli diversi di relazioni tra donne e uomini, di rispetto tra le persone, che non rimane sempre uguale a se stesso, che evolve nel tempo con l'evolvere della società, delle conoscenze e dei costumi, ma il disprezzo nei confronti delle donne -poste in una condizione di dipendenza- da parte di un uomo che pensa di poter ottenere quello che vuole procurando loro risorse e privilegi, è lo stesso sentimento che si nutre verso uomini, che meno ricchi e potenti, devono dipendere per ragioni di sopravvivenza o privilegio.
La radice è la stessa, in quanto alla connotazione di patriarcato -che tenta di mantenere le donne in un'asimmetria di potere e risorse rispetto agli uomini per conservare il comando, si è strettamente intrecciata, nel corso del tempo, quella di capitalismo, con la ingiusta allocazione di risorse e ricchezze.
Davvero no si voleva vedere che misoginia e corruzione andavano in questo caso di pari passo?
E infine il dato per me più allarmante: é stato osservavo da uno dei suoi clientes* che se l'indagine sulla compravendita di senatori fosse emersa prima delle elezioni Berlusconi avrebbe vinto le elezioni.
Sembra un'affermazione paradossale, ma se consideriamo lo spirito civico di cui fanno mostra molti/e cittadini italiani/e -disprezzo per la cosa pubblica, insofferenza verso le regole di convivenza, ammirazione per chi è furbo e imbroglia i "fessi"- l'affermazione non appare così lontana dal vero, dal momento che nella nostra recente democrazia non abbiamo ancora del tutto smaltita l'attitudine al servilismo nei confronti di chi è più forte, italiano o straniero che sia.
Ma io non ci credo, mi sembra che ci siano incoraggianti segni di risveglio.
*Nell'antica Roma, persone subordinate a un patrono. In cambio di protezione, assistenza giudiziaria e distribuzioni di cibo e denaro (sportula), procuravano al patrono voti alle elezioni e si arruolavano per lui. Il rapporto era ereditario, consacrato dalla pratica e dalla legge. Intere comunità divennero clientes dei generali romani che le avevano conquistate. Clientele si chiamano ancora in età contemporanea i gruppi di cittadini elettori che sorreggono i notabili politici ottenendone favori, in una rete di reciproci interessi (clientelismo).(http://www.pbmstoria.it/dizionari/storia_ant/c/c146.htm) |