martedì 24 giugno 2014

Memorie di una femminista non pentita (II puntata)

Sono stata cattolica convinta, a quindici anni insegnavo catechismo alle bambine del mio oratorio, sono cresciuta in una famiglia nostalgica del fascismo e tradizionalista nei costumi e nelle relazioni, ma con una madre che cercava di motivare fortemente le sue figlie all'emancipazione economica, anche e soprattutto da un eventuale marito, un' emancipazione che a lei era mancata.
In questo senso si è battuta perché continuassimo gli studi, evitandoci il corso per "segretaria d'azienda" che, sosteneva mio padre, era il più adatto alla nostra situazione economico-familiare. 
La storia imparata al liceo, la filosofia, i classici greci e latini mi aprirono orizzonti sconosciuti nel mio ambiente familiare, nel quale mio padre si vantava di non aver mai letto un libro in vita sua (ma leggeva regolarmente tutti  giorni il Corriere dalla prima all'ultima pagina) e gli unici libri in casa erano la collezione di mia madre dei libri di Delly, che comunque ho letto anch' io, insieme a quelli che prendevo numerosi, divorandoli, nelle biblioteche scolastiche. 
Le spese per i libri non erano contemplate nel ménage familiare; a nove anni, al tempo della cresima, chiesi come regalo alla mia madrina I promessi sposi. Mi regalò il romanzo in edizione Salani, con la copertina di cartone rosso, lo lessi tutto d'un fiato e lo rilessi più volte, era l'unico "classico" che allora possedevo. 
Quando andai in IV ginnasio la professoressa di Italiano, Latino, Greco, Storia e Geografia (allora l'ordinamento scolastico prevedeva questo) chiese se avessimo in casa un'edizione dei Promessi sposi, io orgogliosamente mostrai la mia e fui irrisa e presa in giro perché era un'edizione di romanzetti rosa, imparai da allora a riconoscere il sadismo di certi  insegnanti e la loro impreparazione pedagogica. 
Gli studi universitari, mi occupai da subito di Storia, continuarono ad alimentare la mia cultura iniziale così modesta, e mi portarono a posizioni e a sensibilità politiche e sociali ben lontane dai valori coltivati in famiglia, ma fu il femminismo che diede una svolta radicale, perché la sua critica rovesciava il presupposto su cui si fondava l'ordine simbolico dominante, la "naturalità" dei ruoli sociali basati sull'appartenenza di sesso. 
Questo presupposto, dal quale conseguono la divisione del lavoro, l'organizzazione delle famiglie, del mondo produttivo, della società e degli Stati,  non era mai stato messo in dubbio, né dalla  sinistra, né dall'emancipazionismo, tanto meno dalla religione, che poneva l'accento sulla complementarità dei due ruoli.
Io personalmente provavo una allora inspiegabile insofferenza nei confronti del mio destino biologico-sociale tradizionale. Anche se avevo davanti agli occhi esempi di matrimoni riusciti e famigliole felici,  a cominciare dalla mia, mi sembrava che con il matrimonio sarebbe finita "la mia vita" libera e avventurosa, allora ricorsi a uno stratagemma fin dalla prima adolescenza: fantasticavo sul fatto che non mi sarei mai sposata perché il mio grande amore moriva in un incidente, in seguito all'evento drammatico avrei maturato la decisione di restare fedele alla sua memoria, date le mie convinzioni religiose non si poneva neppure il discorso di relazioni extraconiugali!
In un solo colpo mi liberavo di una "gabbia" verso la quale mi sentivo destinata dalla mia formazione familiar-religiosa, ma mi mettevo a posto la coscienza con la mia dimensione di "vera donna" che metteva l'amore davanti a tutto, anche alla realizzazione personale.
Così potevo contemporaneamente continuare a coltivare il mio romanticismo, un po' esagerato, leggendo e commovendomi davanti a storie d'amore -era il tempo di Guerra e pace e Anna Karenina-, senza rischiare di caderci di persona.
Allo scadere del ventesimo anno di età mi sono innamorata -colpo di fulmine- di un mio compagno di Università, e mi si è rivoluzionata la vita.


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