mercoledì 21 dicembre 2011

Politica e etica

Politica e etica

Ho letto la recensione a un libro di Stefano Rodotà appena pubblicato da Laterza, intitolato, provocatoriamente penso, Elogio del moralismo.

Il titolo mi ha ricordato la battuta di Roberta De Monticelli, che  la settimana scorsa nel salotto Caracci, istituzione culturale di Milano, osservando di essere stata definita da Giuliano Ferrara sul Foglio "una moralista pacchiana" ha detto convinta: "Moralista sì, pacchiana no".

Si stava conversando con lei dei suoi due testi, ispirati al grave stato di cose presenti in Italia negli ultimi vent'anni, libri intitolati rispettivamente  La questione morale e La questione civile.

Due persone che stimo usano un termine connotato  normalmente al negativo, la parola moralismo.

E'  risultato per me importante che nel corso della chiacchierata De Monticelli osservasse che del doppio discorso filosofico che tematizzò il patto sociale nel Settecento-Ottocento, si sia progressivamente imposto all'opinione e alla coscienza pubblica
quello utilitaristico alla Hobbes,  in cui si afferma che ci si mette insieme perché così si ha vantaggio (si rinuncia a un certo grado di libertà per vantaggi maggiori),  che poi è il filone a cui si ispira appunto l'economia di mercato.

Mentre l'altro discorso, risalente a Kant , che dice che non c'è solo questo aspetto, ma c'è anche l'amore per il bello, il giusto, il buono, è stato un po' marginalizzato e sottaciuto.

Quello stesso  Kant che raccomanda di  operare in modo che l'altro non sia solo mezzo, ma anche fine (forse sotto sotto era un comunista).

L'etica, come modalità di rapporti tra le persone, gli animali e le cose in una società organizzata,  è sì storicamente determinata, in movimento con il mutare dei tempi e dei costumi, ma  non può prescindere da concetti orientanti quali: bene, bellezza, giusto...

Valori che, dice De Monticelli, non sono ontologicamente o metafisicamente fondati, ma sono qualità, positive o negative delle cose.

Questo è il fondamento di un'etica laica, che esiste, senza bisogno che una parola divina ci insegni la "sua etica", garantita per via soprannaturale, per emanciparci dalla presunta  animalità e ferocia insita nei rapporti umani.

E qui secondo me cascano gli "asini" che sostengono di gradire la morale cattolico-cristiana, ad esempio nella educazione dei/delle figli/e, come modello di educazione, appunto come se non ce ne fossero altri.

La questione è inscindibile dalla conoscenza  e dal processo di  ampliamento della conoscenza individuale e collettiva che finora ha avuto corso nella nostra storia di umani/e, per noi conoscenza  ha significato coscienza.

Il sistema politico-economico, soprattutto negli ultimi vent'anni,  ha ostacolato il reale processo di allargamento della conoscenza,  obiettivo perseguito da molti/e di noi  a partire dagli anni Sessanta, dissimulando l'opera di freno con  lo sviluppo dei   mezzi di comunicazione e di informazione di massa, quali agenti di educazione e istruzione, puntando proprio  sull' affermazione dell'utilitarismo come dimensione etica naturale, del consumismo come conseguente comportamento sociale.

Far coincidere il concetto di libertà con la libertà di consumare beni, oggetti, persone è l'esito finale, utile a chi pensa prima di tutto al profitto delle proprie aziende.

E' dura cosa invertire il processo educativo, si fa la figura di pauperisti, moralisti vecchio stampo, retrogradi che vogliono tornare al Medio Evo, perché l'utilitarismo è l'unico ambito filosofico -più o meno- conosciuto, e è considerato l'unica dimora filosofica dell'umanità laica, da questo traggono alimento  le religioni, ben contente di dimostrare che sono l'unica alternativa all'arido utilitarismo, e in nome di questa salvaguardia dell' umano pretendono di parlare a tutte e tutti.
Ma l'altra questione chiamata in causa da un'etica laica -non garantita da un dio- è quella della responsabilità, collettiva, ma soprattutto individuale. Questo è secondo me un grande ostacolo per un sistema culturale e economico che punta a avere a disposizione servi fedeli - e ben ricompensati- piuttosto che persone autonome, e quindi potenzialmente conflittuali.
Responsabilità nei confronti di se stessi e degli altri, nell'abitare questa casa comune che è il nostro mondo.

1 commento:

  1. grazie Adriana! è vero che spesso l'essere moralisti, il moralismo sono connotati negativamente o comunque fuori moda, chissà poi perché... io sono felicissima di essere una moralista! le tue parole con i libri della DM ci aiuteranno a insegnare un po' di sano moralismo alla piccola Alice.

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