martedì 13 dicembre 2016

Femminismi e identitarismi

Continuo a scoprire, grazie a fb, cose molto interessanti, nel senso che grazie alla battaglia referendaria e alle posizioni dichiarate da molte prima e dopo il 4 dicembre risultano evidenti come non mai le differenze di idee, pensiero e prospettive tra femministe, anche di lunga data, e quindi con alle spalle anni di riflessioni, errori, ripensamenti (parlo per me).
Le vicende del Referendum, lo scontro tra femministe sostenitrici del Sì e del No hanno chiarito meglio che altre volte, forse per l'impatto mediatico assunto dalla campagna referendaria, la distinzione fondamentale tra femminismo della parità, o femminismo delle pari opportunità, o femminismo istituzionale -tutte definizioni più o meno approssimative che ritengono che i problemi di relazione donne uomini si risolvano riconoscendo il merito delle donne in tutti i campi pubblici, oltre che nel privato- e femminismo che mette a fuoco le relazioni tra donne e uomini a partire dal dettato patriarcale della divisione sessuale del lavoro, dei ruoli, delle funzioni.
Io credo comunque che ogni provvedimento, politica o scelta che migliori la situazione sociale e personale delle donne in generale sia ben accette, e sostengo le lotte collettive condotte dalle donne per migliorare la qualità della loro vita, in ogni campo e settore, ma ritengo che non si possa limitarsi a accomodarsi nel sistema attuale di vita e di lavoro, senza cercare contemporaneamente modi e strumenti per cambiarlo radicalmente
Negli ultimi tempi ho frequentato molto più del solito f.b, e proprio in occasione  dei due grandi eventi: campagna referendaria e Manifestazione di Roma contro la violenza maschile sulle donne ho notato il riproporsi di meccanismi identitari sia in termini partitici che di gruppi femministi.
Alla fine degli anni Sessanta, quando si formarono  in Italia i primi gruppi del Movimento l' identità femminile, alla quale dovevano conformarsi le donne reali, fu indagata, scomposta nei suoi tratti essenziali; l'obiettivo delle ricerche teoriche e delle  contemporanee pratiche politiche era quello di destrutturare l'identità femminile tradizionale, analizzando i modelli sociali e culturali nei quali era stata tradizionalmente inscritta e criticandone la naturalizzazione. 
Negli anni Ottanta si verificò un cambiamento semantico, si preferì parlare di soggettività, la parola soggettività pone l'accento sul soggetto dei processi di individuazione, e quindi sulla differenze tra i vari soggetti, mentre il termine identità richiama in primo luogo il concetto di appartenenza -a un genere, una classe, un sesso, una collettività, una etnia, una lingua, un gruppo politico, una squadra, un esercito, una religione .....- insomma a un gruppo sociale omogeneo per certi tratti, individuati e promossi a elementi  determinanti l'inclusione o l'esclusione di altri/e che non condividono quei tratti.
Di qui la logica della contrapposizione noi/voi (loro), con le distorsioni in amico/nemico, buono/cattivo, e tutte le contrapposizioni escludenti che abbiamo sentito formulare nel corso nella nostra vita.
E' quanto è avvenuto in questo ultimo mese e mezzo, appunto tra femministe, non solo riguardo al Referendum, ma anche riguardo alla partecipazione alla Manifestazione.
Non si tratta di assegnare  patenti di veri o falsi femminismi, anzi proprio la loro contrapposizione, alimentata a volte dai giornali come se i meccanismi identitari costituissero l'unico mezzo di relazione  e confronto tra persone e gruppi, costituisce un'arma di distrazione di massa dai veri temi in questione. 
Si tratta di prenderne atto, senza cadere nella trappola, senza rinunciare alle ragioni del confronto, e anche conflitto, tra opinioni e ideali diversi.
Senza cioè deragliare in guerre, che giocano solo al mantenimento dello status quo.

lunedì 12 dicembre 2016

Effetti collaterali della campagna referendaria

La recente campagna referendaria, brandita dal Governo e suoi fautori e fautrici come campagna elettorale all'ultimo sangue, si è conclusa, ma contrariamente alle attese, non si sono concluse le polemiche, le recriminazioni, il livore  e l'astio di chi ha perso e l'irrisione  da parte di di chi ha vinto.
L'impostazione e la gestione della campagna referendaria, stravolta in campagna elettorale, 
è stata sciagurata,  ha lasciato i suoi frutti avvelenati,  nel senso di aver definitivamente lacerato quello che ancora restava del tessuto culturale e sociale dopo vent'anni di rozzezza istituzionale
Il tutto mentre si profila una vera battaglia elettorale.
Già i termini messi in campo all'inizio, vittoria o sconfitta, indicavano la strada obbligata, deviandola astutamente da quello che avrebbe dovuto essere il vero fuoco del confronto: la modifica della legge di convivenza della popolazione italiana, i due termini erano tesi a provocare il sopravvento di emozioni e sentimenti comuni a tutte e tutti, e, in ultima analisi, a creare confusione.
Il succedersi dei fatti ha dimostrato che in campo c'era ben altro, interessi politici contingenti e pressanti da parte di chi deteneva il potere.
In questo momento mi interessa fare una breve considerazione su un  fenomeno particolare, lo scontro tra le soggettività femministe e democratiche di entrambi gli schieramenti, scontro che si è rivelato un' inconfutabile dimostrazione di come sia velleitario pensare che donne consapevoli di femminismo possano adottare un modo di confliggere diverso da quello consuetamente praticato dagli uomini. 
Non c'entra nulla la passione politica, che per me è un valore, ma la modalità nella quale è stata condotta la battaglia, non parlo del conflitto, sempre acceso tra donne, fin dalle origini del femminismo, ma della modalità di confliggere
Il femminismo, in tutti i suoi filoni, ha sempre esortato a non imitare i modelli maschili di comportamento, a porre attenzione alle relazioni tra persone, astenendosi dal linguaggio triviale della politica degli uomini. Linguaggio brandito ugualmente dagli e dalle esponenti di tutti i partiti e i gruppi politici, nessuno escluso.
Visto in positivo il processo appena concluso ha svelato le profonde differenze di ideali, valori e obiettivi  riguardo ai modi e agli strumenti per combattere il patriarcato, diversità spesso celate in appelli generici all'unità di intenti.
E' emerso che non siamo d'accordo neppure sul contrasto all'uso sessista della lingua, a trent'anni dalla ricerca Sabatini sul sessismo della lingua italiana, e dopo fiumi d'inchiostro sull'androcentrismo e sull'uso del maschile come pseudo-universale, che pone le donne in posizione asimmetrica (subordinata) nella lingua e quindi nelle mentalità che in lei si formano. 
Lungi dall' essere una questione secondaria è invece fondamentale, perché determina le rappresentazioni e le autorappresentazioni di uomini e donne, dalla nascita in poi, influenzando aspettative e comportamenti.
Se a questo si aggiunge che non tutte le femministe vogliono combattere il neo-liberismo, e le sue forme più o meno evidenti,  ma utilizzarne gli spazi concessi per trarne vantaggi, non possiamo meravigliarci della divisione, sempre più netta che si profila all'orizzonte.
Visto in negativo resta l'amarezza di constatare come le appartenenze politiche,  per chi le ha, siano di gran più cogenti di altre possibili alleanze, ancora poco delineate e in quanto tali poco rassicuranti.
il bisogno di sentirsi in qualche modo protett* da una comunità lo proviamo tutte e tutti, e su questo giocano i e le potenti, nei campi politico, culturale e sociale, le vere rotture implicano spesso il ris chio della solitudine.
Credo sia giunto oggi il momento di dedicarsi alla riflessione, tralasciando i detriti di rancore, vittimismo e  rivendicazionismo che ci premono le spalle, pur consapevoli delle differenze di intenti e obiettivi. 

sabato 26 novembre 2016

Agnus Dei e la Manifestazione di Roma contro la violenza maschile sulle donne

Ho visto il film Agnus Dei nella  giornata mondiale  contro la violenza sulle donne, del tutto casualmente, erano mesi che non andavo al cinema a causa di impegni personali, mentre io normalmente vado al cinema una volta alla settimana.
Sono superstiziosa e, senza enfatizzare la coincidenza, non posso fare a meno di annotarla.
Il film è commovente e potente, ma in questo momento mi interessa scrivere di quello che mi ha messo in moto, piuttosto che dell'evento artistico.
La storia è accaduta realmente, nel 1945, in una zona della Polonia appena liberata dai tedeschi e controllata dalle truppe sovietiche, è tratta dagli appunti medici di una dottora francese, volontaria della Croce Rossa in un centro di recupero dei soldati francesi feriti, una giovane di 27 anni che, purtroppo, l'anno dopo sarebbe morta accidentalmente in un altro centro medico, sempre in Polonia.
La dottora viene chiamata in un convento di monache benedettine per assistere al parto di alcune di loro, violentate dai russi dopo la liberazione dai tedeschi.
Sul fatto che le truppe di liberazione, in questo caso russe, abbiano violentato donne ebree liberate, tedesche nemiche, suore, e via dicendo ci sono racconti e testimonianza, in realtà poco diffuse, per ragioni di convenienza politica. D'altronde anche gli stupri e gli abusi degli altri liberatori d'Italia non sono tanto raccontati, tranne qualche caso, La Ciociara docet, sempre per convenienze politiche; meglio soffermarsi su quanto avviene altrove, di cui purtroppo abbiamo ricca testimonianza dalla fine del secolo scorso a oggi.
Nel film però accanto alla violenza primaria, lo stupro collettivo da parte dei "maschi guerrieri" nei confronti di qualunque preda incontrino, infatti anche la dottora, intercettata da sola da un manipolo di soldati, russi evita uno stupro solo per l'intervento di un ufficiale, che evidentemente teme problemi, essendo lei una francese, cioè alleata.
Ma le intima di non farsi più sorprendere, evidentemente a viaggiare da sola, visto che appartiene alla  categoria dei vincitori.
Accanto a questa violenza primaria: degli uomini sulle donne durante le guerre, ci sono altre violenze, tutte rappresentate.
C'è la vergogna e lo stigma sociale che colpirebbe delle suore, supposte vergini, che per il voto di castità dovrebbero essere né toccate né guardate, che sarebbero condannate dalla società all'isolamento, alla miseria o peggio: colpa e vergogna loro se sono state stuprate.
C'è la violenza della religione: molte sono convinte di cadere nel peccato se solo la dottora le tocca o le osserva, perché infrangerebbero volontariamente il suddetto voto di castità, la madre superiora per evitare "lo scandalo e l'umiliazione", per "proteggerle" porta i bambini e le bambine nate di nascosto neòl bosco e le abbandona lì, davanti a una croce, con l'alibi che la Provvidenza ci avrebbe pensato lei!
Crimini su innocenti, donne e neonate/i, come recita il bel titolo francese Les innocentes.
In questo orrore e sofferenza infinite, la dottora, atea e comunista in relazione con una delle suore, migliora, almeno parzialmente la situazione.
Commovente anche il rapporto tra queste donne, dalle scelte di vita, dalle idee, dalle soggettività così diverse, eppure così lucide  su quello che occorre fare per contrastare la tragedia.
Ognuna rinuncia a qualcuna delle proprie convinzioni e alle resistenze interiori, lo si vede dalle inquadrature dei visi, pensosi mentre pendono le decisioni, per collaborare con l'una con l'altra.
Torno alla coincidenza di cui ho parlato all'inizio e alla costruzione della Manifestazione di Roma contro la violenza maschile sulle donne, a tutte le polemiche che l'hanno accompagnata, a tutti i ritiri dalla Manifestazione di donne singole e in gruppi in nome di principi inderogabili, a tutte le giustificazioni, tutte valide, prese una per una.
Ma la lezione dell'episodio narrato nel film non può essere ignorata.



sabato 19 novembre 2016

Femminismi degli anni Settanta, rotture e permanenze

In tempi di stucchevoli domande se il femminismo è vivo o morto, se è stato o no complice di un’accelerazione del neocapitalismo (secondo l’affermazione di una studiosa che ha avuto grande eco sui mezzi di comunicazione nostrani, Nancy Fraser)  proponendo un’emancipazione di donne che utilizzano a proprio vantaggio ogni possibilità offerta dal mercato e dalle tecnologie, occorre ricordare che cosa è stato il femminismo nato in Italia agli inizi degli anni Settanta.
I primi nuclei di donne che si trovarono a parlare di quella che allora  era chiamata la questione femminile affermarono da subito la loro distanza dalla prospettiva emancipazionista, condotta da anni da parte dell’associazionismo femminile, e dalle Commissioni dei partiti, in particolare Cif e Udi.
La differenza tra emancipazionismo e femminismo consiste nella volontà di quest’ultimo di scardinare un ordine culturale e sociale fondato sulla divisione patriarcale di ruoli e funzioni, invece che limitarsi a richiedere diritti per correggere gli aspetti strutturali di discriminazione e subordinazione delle donne rispetto agli uomini, mentre la prospettiva emancipazionista si propone di migliorare l’assetto del sistema rendendolo più giusto e equalitario.
Alcuni temi che ricorrono frequentemente nel dibattito attuale, specie tra donne giovani  rimandano a questioni ampiamente dibattute all’interno del  movimento delle donne degli anni Settanta, segno che molte questioni non sono state ancora risolte.
In termini di permanenza abbiamo il tema della maternità, declinato allora nella prospettiva di maternità cosciente perché In una situazione nella quale in Italia era proibita la contraccezione, se non quella ammessa dalla chiesa, definita metodo naturale, il ricorso all’aborto era una questione di classe, chi aveva soldi lo effettuava in sicurezza, le altre rischiavano patologie e la vita. 
La questione dell’aborto, sovente riassunta nei mezzi di comunicazione con la semplicistica espressione diritto di aborto, era inserita nella prospettiva della scelta autonome delle donne di avere o non avere figli, l’espressione diritto d’aborto era rifiutata da una parte consistente del movimento femminista allora come oggi, perché maschera la dimensione di violenza e sofferenza fisica e psichica che procura un aborto ad ogni donna che decida di farvi ricorso.
Oggi si è ancora in presenza di tentativi ripetuti di cancellare la legge e, nel caso non riescano, a renderla inapplicabile per mezzo dell’obiezione di coscienza, ma il tema della maternità è coniugato con quello della precarietà del lavoro.
Un’altra permanenza riguarda il tema della sessualità, la tanto sbandierata rivoluzione sessuale si è dimostrata nella realtà una modernizzazione dei costumi, che ha cancellato il ritardo storico di cui soffriva l’Italia in questo campo; non si sono risolti i problemi, anzi si sono complicati con il fiorire di istanze neoliberiste che inducono alcune donne a mettere a profitto lo scambio sessuo- economico, che fonda la relazione patriarcale tra donne e uomini, stravolgendo il significato dell’espressione l’utero è mio e lo gestisco io. Espressione che allora intendeva affermare la volontà delle donne di sottrarsi al controllo di uomini (mariti, padri, fratelli) medici e preti del loro corpo e delle loro funzioni sessuali e riproduttive.Un’altra permanenza riguarda il tema che allora si chiamava doppio lavoro (lavoro domestico di manutenzione di ambienti, persone, cose) e il lavoro fuori casa, e che oggi si chiama  cura.
Il tema fu subito presente alla riflessione femminista, ma venne trascurato dalla parte del femminismo più presente nei media e da molte femministe stesse.
Negli anni Settanta alcuni collettivi femministi, in particolare veneti, milanesi e emiliani, riuniti nel gruppo Lotta femminista, misero a punto analisi molto sofisticate della funzione delle donne nel privato e nel sociale,  funzione fondata sullo sfruttamento del ruolo femminile naturalizzato e base principale dell'accumulazione capitalistica. L'analisi del lavoro domestico, affettivo, relazionale, di sostegno psicologico, sessuale e sentimentale, erogato dalle donne in nome dell'amore, ebbe anche una buona diffusione in libri e documenti che circolarono anche in fabbriche e scuole, ma la pratica a cui diede luogo non raggiunse i risultati sperati. Ad esempio l'iniziativa dello sciopero del lavoro domestico non ebbe successo, non solo per il sentimento di abnegazione interiorizzato dalle donne, ma perché le prime a essere colpite da questa forma di lotta sarebbero state proprio le donne, che nelle case ci vivono, mangiano, ci cucinano, che riordinano, i luoghi nei quali vivono insieme alle altre e agli altri.  
La ricchezza e la complessità delle analisi fu semplificata e troppo presto liquidata nel movimento stesso, inoltre l’espressione salario al lavoro domestico, adottata dalla parte veneto-emiliana di Lotta Femminista, non quella milanese,  fu strumentalmente fraintesa non solo dagli oppositori e dalle oppositrici al femminismo, ma anche da molte donne del movimento;  fu considerata sinonimo di pensione alle casalinghe  e in quanto tale combattuta come strumento non solo inadeguato economicamente ma destinato a fissare e confermare il ruolo femminile all’interno della società.. 
Il femminismo italiano  che ebbe maggiore risonanza si dedicò all’indagine delle complicità delle donne con l'ordine del discorso dominante, alla ricerca delle immagini di genere interiorizzate, delle implicazioni, consce e inconsce con il sistema che si voleva combattere. 
L'errore fu la contrapposizione dei due momenti, che, ugualmente importanti, avrebbero dovuto procedere parallelamente, e non escludersi a vicenda. 
Ricademmo in questo modo nella contrapposizione dualistica che mettevamo in discussione in altri campi.
Il discorso del lavoro invisibile delle donne si diffuse in altre aree dell'Europa e degli USA.
Oggi penso che per l'Italia il discorso fosse troppo anticipatore, non a caso torna prepotentemente alla ribalta in questa temperie politica, sociale e culturale.  
Rispetto poi alle domande che cosa è cambiato negli ultimi trent’anni e cos’è oggi fare politica,
c’è da osservare che sono cambiate certe condizioni, ci sono più donne nei posti che contano, nel lavoro, nella politica, si fanno discorsi sulla femminilizzazione del lavoro, sul valore aggiunto dell’avere donne nelle organizzazioni, ma se questa massiccia presenza delle donne non esita in un reale cambiamento delle relazioni donne uomini, nella sostanza, non nella superficie, anche in questo caso si tratta di modernizzazione semplicemente.
Frequentando donne giovani oggi colpisce il fatto che molti aspetti di quelle discussioni, dibattiti, riflessioni sono ignorati, eppure i Centri e le Case delle donne, nati numerosi negli anni ’80 in molte città,  hanno fatto un egregio lavoro d'archivio, non solo per preservare, ma per rendere leggibili i documenti del primo femminismo. Donne dei Centri, delle Librerie e delle Biblioteche delle donne e documentaliste hanno lavorato per raccogliere e organizzare testi, volantini, ciclostilati dispersi nelle case, hanno inventato nuovi sistemi di classificazione e linguaggi di indicizzazione. C'è stato a Milano un Convegno internazionale sul tema, finanziato dalla CEE, e gli Atti sono stati pubblicati; è pubblicato Linguaggiodonna. Il primo Thesaurus di genere in Italiano, costruito sui documenti del Centro di studi storici di Milano. Sono stati pubblicati anche libri che ricostruiscono la storia, penso a Bologna, Milano, Torino, Genova, e altre città.
E' nata la Rete Lilith, che ha costruito una banca dati di tutto il patrimonio di idee e esperienze espresso dal femminsimo in Italia. Tutto lavoro ignorato completamente dai mezzi di diffusione di massa e trascurato da buona parte del femminismo, almeno quello di donne tese a accreditarsi presso le istituzioni che contano, a ricevere riconoscimenti pubblici. Oggi si vedono i risultati: ignoranza assoluta da parte di molte/molti, mistificazioni e tentativi di piegare il femminismo alle proprie idee.







martedì 15 novembre 2016

Inizi del femminismo a MIlano

Riprendo un discorso già fatto un anno fa sugli inizi del femminismo a Milano.

Dopo una prima fase di riunioni nelle case tra sindacaliste, donne dell'UDI, studenti (-esse) che avevano letto i documenti portati dagli USA da Serena Castaldi, incontri con Daniela Pellegrini e Lia Cigarini, allora entrambe nel Demau, che si riuniva dal 1966, con un taglio antropologico, con le ragazze de Il Cerchio spezzato, trasferitesi a Milano da Trento (Elena Medi, Luisa Abba, Silvia Motta, Gabriella Ferri) e incontri con donne di Torino, Padova, Ferrara, Modena, si decise nel 1971 di fare un Convegno, per pubblicizzare temi e discutere tutte insieme.

Dal momento che con le altre avevo tanto lavorato all'organizzazione dell'evento fui molto contenta del "successo" quanto a affluenza di donne, ma nello stesso tempo mi resi conto che stavano entrando in crisi la visione  "comune" della "condizione delle donne"  e per me il mio modo di partecipare al movimento fino ad allora., avevo cominciato stilando un volantino dal titolo "Basta con il doppio lavoro", distribuito alle donne della Siemens e  della Farmitalia, fabbriche a prevalente mano d'opera femminile, allora situate a poche centinaia di metri l'una dall'altra sulla circonvallazione esterna di Milano.

Certo si respirava l'entusiasmo all' idea di lavorare tutte insieme a un progetto, ancora molto nebuloso, ma di radicale modificazione della vita individuale e collettiva di donne e uomini, ma risultarono evidenti le diversità tra noi, forse fino ad allora mitigate dal calore ambientale delle riunioni casalinghe.

Vi parteciparono circa 70 donne, di Milano, Padova, Ferrara, Pisa, Trento, Firenze, Bologna e Torino.

Quasi tutte le intervenute al Convegno con relazioni e comunicazioni, e in particolare le partecipanti delle altre città, tranne le donne di Totino e Milano, avrebbero costituito di lì a poco Lotta Femminista.
 Le donne di Torino facevano parte del gruppo Collettivo Rivoluzionario, avevano cominciato a riunirsi separatamente dai compagni, il loro primo documento era stato stilato nel settembre del 1970, in seguito alcune di loro avrebbero dato vita al Gruppo femminista di Via Petrarca.
Le donne di Milano si avrebbero dato vita a collettivi differenti tra loro, una parte di lì a qualche tempo avrebbe dato cita a un Gruppo di Lotta femminista, diviso in due sottogruppi quando faceva autocoscienza.

La caratteristica infatti di Lotta Femminista di Milano era quella di praticare "l'intervento esterno" su situazioni di donne particolari e contemporaneamente fare autocoscienza. Cosa largamente disapprovata da Lotta Femminista Nazionale.

Anche se al tempo del Convegno non era stato ancora teorizzato il separatismo, il Convegno era riservato alle sole donne.

Il tema fondamentale in discussione era il doppio lavoro, domestico e per il mercato, e le condizioni delle lavoratrici e delle casalinghe, le modalità di intervento ricalcavano, come ho già scritto, quelle tipiche delle assemblee dei movimenti: tavolo di presidenza, relazioni strutturate, interventi delle presenti.

L'invito provocatorio di Serena di Castaldi, del gruppo Anabasi, a scendere in giardino, abbandonando una situazione di convegno tradizionale per parlare di sé in modo informale, anche se fu poco poco seguito, introduceva già quella che sarebbe stata la divisione, deleteria, tra due dimensioni del femminismo milanese a lungo considerate inconciliabili, quella prevalentemente autocoscienziale, che si sarebbe in seguito  orientata all'analisi del profondo, e quello orientato anche all'intervento nel sociale, intervento interno e intervento esterno, si diceva allora.

L'errore fu, ma lo dico col senno di poi, la divaricazione tra due momenti che avrebbero dovuto procedere strettamente connessi, vale a dire da un lato l'analisi dell' interiorizzazione dell'ordine costituito attraverso l'esame delle immagini di genere, delle complicità di noi donne con il patriarcato, dei vantaggi e delle nicchie di potere che questo garantisce, dall'altro l'analisi dei processi economici e sociali messi in atto dal sistema capitalistico, una volta assunta e utilizzata la gerarchizzazione dei ruoli imposta dal patriarcato, in particolare l'artificiosa separazione tra produzione e riproduzione.

Diverse furono di conseguenza le pratiche politiche: puntare sulla trasformazione delle relazioni tra donne, per prima cosa, e quindi tra donne e uomini per cambiare lo stato delle cose nel primo caso; intervenire nelle situazioni di maggiore sfruttamento del lavoro e della vita delle donne con l'intenzione di alimentare conflitti e costruire alleanze, nell'altro.

I due filoni procedettero separatamente, producendo entrambi un consistente patrimonio teorico che negli anni '80 fu raccolto e organizzato negli Archivi, Centri, Librerie e Case delle donne.

Se la riflessione di chi privilegiava l'intervento esterno mancava dello sguardo dentro le soggettività, in merito agli schemi di relazioni, alle fantasie, alle paure, ai desideri, alle aspettative, indispensabile motore di un reale cambiamento di paradigma, il lavoro di riflessione, derivante dal movimento dell'autocoscienza e della pratica dell'inconscio, che in Italia sarebbe stato poi considerato il "vero femminismo", avrebbe prodotto mutamenti rilevanti nelle vite e nelle coscienze delle donne del movimento, ma sarebbe risultato alla lunga circoscritto appunto alle donne del movimento, o a questo contigue, con minore penetrazione nelle donne più esterne, anche per ragioni anagrafiche, una volta concluso il fermento sociale degli anni Settanta.

Comunque al Convegno del 1971 prese corpo l’idea di trovare unasede comune ai vari collettivi, al di fuori delle case private.

Ho già scritto delle riunioni del Collettivo Milanese che si tenevano a casa mia dall'autunno del 1970 al giugno 1971, non si poteva parlare ancora di autocoscienza, quanto piuttosto di presa di coscienza della subalternità-materiale e culturale- agli uomini, che accomunava tutte le donne, indipendentemente dalla loro posizione sociale, anche se poi si tendeva a distinguere tra chi sembrava "privilegiata" comunque, la moglie di Agnelli, per disponibilità economica maggiore rispetto alle operaie, impiegate, contadine.

Le parole ricorrenti nella riflessione erano oppressione, in tutti gli aspetti collettivi e individuali, pubblici e privati e sorellanza.


Gli obiettivi erano di carattere prevalentemente economico, si analizzava la posizione delle donne sia all'interno delle società capitalistiche che di quelle socialiste.


Studiavamo documenti, statistiche sull'occupazione femminile, sulla segregazione orizzontale e verticale nei luoghi di lavoro, sul doppio lavoro a casa e fuori, sulla presenza o meno di servizi sociali, non solo in Italia ma anche in altre realtà europee e extraeuropee.


Il primo effetto degli scambi e delle visite reciproche fu senz'altro l'allontanamento degli uomini dal gruppo; in realtà erano solo due e più ascoltatori che interventisti, ma la loro presenza divenne subito imbarazzante.

Dopo il convegno niente per me fu come prima, il confronto con le elaborazioni e le pratiche degli altri gruppi mi fece avvertita del rischio di cadere in un atteggiamento paternalistico, in quanto "politica" nei confronti delle altre; la maternità, intrecciata con il lavoro, mi toglieva energie psicofisiche, dal momento che mio marito e io potevamo contare solo sulle nostre forze, senza aiuti parental, per questo concorso di cose rallentai l'impegno femminista e restai un po' alla finestra.

venerdì 30 settembre 2016

Femminismi

A volte si tende a dividere semplicisticamente la società in donne (che dovrebbero combattere tutte unite per distruggere il patriarcato) e uomini (che invece avrebbero tutto l'interesse a difenderlo, ma così si ricade nel generico, nell'astratto, trascurando la realtà concreta  di tutti i soggetti abitanti questo nostro mondo, in stato di confusione permamente, salvo poi indignarsi di fronte a improvvise alleanze tra correnti diverse di pensiero e azione politica, alleanze ritenute "impossibili" fino a quel momento.Di qui anche la polemica a tratti furiosa tra donne su temi  fondamentali della vita e delle relazioni tra persone.
La situazione è ben più articolata di una suddivisione sommaria tra donne e uomini, e quindi più difficile da governare, ma anche più ricca di prospettive.
Gli stessi concetti di autodeterminazione, libertà, etica delle relazioni, liberazione, indipendenza, identità di genere, identità sessuale -nodi fondamentali della rivoluzione di analisi, pratiche e teorie innescata circa cinquant'anni fa dal neo-femminismo in Occidente- sono messi a tema, analizzati nelle loro componenti, riformulati secondo un'attenzione nuova e positiva alle conseguenze per la vita concreta, individuale e collettiva, delle persone.
Finito il tempo delle parole d'ordine aggreganti, i movimenti, i gruppi, i filoni di pensiero si trovano davanti un grosso patrimonio di consapevolezze e conoscenze da ordinare, controllare nei possibili esiti contraddittori e, a volte,  paradossali.
Intanto i processi economico-sociali, politici e comunicativi incalzano tutti noi in modo  frenetico, aumentando la sensazione di spaesamento e confusione, questo comporta un'ansia di stabilire punti fermi, di pensiero e azione,  limiti invalicabili che permettano una riflessione secondo ritmi di vita e di pensiero più calmi.
Purtroppo la fretta è cattiva consigliera e sollecita definizioni, schieramenti, contrasti e divisioni proprio nel campo di chi crede, o vorrebbe, opporsi allo stato di cose presenti per modificarlo.
Anche in questo campo, però, occorre distinguere fini e obiettivi, senza tracciare lineee sommarie di amici e nemici, avversari e alleati.
Ci sono donne che si trovano a proprio agio nel sistema patriarcale, donne che credono che l'emancipazione risolva tutti i problemi -femminismo della parità, delle "quote rosa"- dal momento che estende anche alle donne i diritti di cui hanno goduto quasi esclusivamente gli uomini.
Va da sé che queste politiche aumentano il benessere e la vita di molte donne, permettono una più equa distribuzione di risorse e ricchezze, correggendo le ingiustizie macroscopiche e insopportabili agli occhi della cultura contemporanea,  ma non cambiano il sistema nel quale viviamo, lo modernizzano e migliorano i suoi effetti più deleteri.
Ci sono uomini che mal sopportano i ruoli sociali e le funzioni alle quali sono obbligati dal sistema, che non sopportano i tratti più nascosti e difficilmente rintracciabili del maschilismo, del sessismo e del razzismo, annidati nelle mentalità, nella lingua, nelle immagini di genere, nelle fantasie, nelle aspettative, nelle paure, nei sogni e nei desideri individuali e collettivi, ai quali siamo stati educati tutti e tutte.
Un primo momento può essere quello di fare chiarezza in se stessi/e, interrogarsi su quello che si vuole o si spera di ottenere dai possibili cambiamenti, in termini di qualità della vita, benessere individuale e collettivo, uscita dagli stereotipi e dagli schemi convenzionali di felicità, appagamento  proposti e enfatizzati dalle varie industrie culturali dominanti, ma non è una cosa semplice, alla luce della brevità della nostra vita individuale.
Credo che comunque parlarne, confrontarsi con quanti e quante più è possibile, senza schieramenti ideologici a priori, senza pretese di possedere verità inconfutabili,  sia un primo passo.

lunedì 16 maggio 2016

Memorie di una femmninista non pentita XX, Femminismi oggi


E’ appena uscito un libro dal titolo Generazioni di donne (scaricabile gratuitamente a questo indirizzo http://www.youcanprint.it/.../generazioni-di-donne-ebook...di Giuseppina Debandi, Paola Pierantoni, la presentazione sul sito avverte:
Il libro riporta il diario di diciassette incontri durante i quali un gruppo di donne diverse per età ed esperienze di vita hanno discusso dei temi che sono stati, e sono, al centro della riflessione femminista. Questa esperienza ha avuto specificamente lo scopo di mettere a confronto donne della generazione degli anni'70 che avevano vissuto l'esperienza del femminismo, e giovani donne contemporanee, digiune di questa esperienza e di quella storia, che vivono in un mondo che aveva vissuto il passaggio del femminismo e che, almeno in parte, ne era stato trasformato.

In tempi di stucchevoli domande se il femminismo è vivo o morto, se è stato o no complice di un’accelerazione del neocapitalismo, proponendo un’emancipazione di donne che utilizzano a proprio vantaggio ogni possibilità offerta dal mercato e dalle tecnologie, le voci raccolte in questo libro risultano quanto mai necessarie per fare ordine nella confusione, per alcun* inconsapevole, e per altr* voluta, tra emancipazione e femminismo. Basti soffermarsi n attimo sulla pubblicizzazione che si sta facendo su molti quotidiani dell’articolo di Nancy Fraser che, oltre a risalire a tre anni fa, esplicita chiaramente di riferirsi al fenomeno dell’emancipazione.

La prima differenza tra emancipazionismo e femminismo, quello che storicamente è nato in Italia negli anni Settanta, consiste nella volontà di scardinare un ordine culturale e sociale fondato sulla divisione patriarcale di ruoli e funzioni, invece che limitarsi a richiedere diritti per correggere gli aspetti strutturali di discriminazione e subordinazione delle donne rispetto agli uomini. Se la prospettiva emancipazionista si propone di migliorare l’assetto del sistema rendendolo più giusto, ricorrendo al concetto di uguaglianza, il femminismo mira a rovesciare il sistema.

Tornando al Generazioni la prima cosa che colpisce è l’originale metodo di lavoro: nel corso di cinque anni, dal 2009 al 2014, sedici donne (avevano cominciato in venti) di diversa età, la più giovane aveva 23 anni, la più anziana 72, di diversa formazione culturale, esperienza di vita e di lavoro, si sono incontrate un giorno a stagione (primavera, estate, autunno, inverno) per riflettere a partire da sé su temi di volta in volta individuati come interesse urgente nella propria vita.

Le conversazioni sono state trascritte, poi lette e sintetizzate da due partecipanti al gruppo (le autrici del libro) ciascuna per proprio conto, a seconda della sensibilità personale, restituite alla riflessione collettiva, con successive riletture sino a giungere a un prodotto condiviso, pur nella differenza di posizioni espresse.

Il libro è arricchito dalle presentazioni delle donne del gruppo, ciascuna scritta secondo il proprio stile, ironico, riflessivo, sintetico o ampio, corredate dalle foto, scattate da una partecipante e anche dalla presentazione delle donne che hanno permesso la realizzazione del libro; da una breve saggio sulla storia del diritto matrimoniale in Italia, e dall’elenco dei libri analizzati durante le riunioni.

Alla fine di ogni riunione una sorta di rubrica, intitolata La parola Le Parole, contributo personale di una delle donne, prende in esame a volte concetti esplicitati nell’incontro, a volte invece suggestioni personali dell’autrice, spesso tendenti a una presa poetica .

Tre domande finali hanno guidato il lavoro di riflessione: ci sono stati cambiamenti reali nella nostra quotidianità negli ultimi trent’anni? Cos’è oggi fare politica? E il separatismo?

Alcuni temi affrontati più frequentemente nei discorsi rimandano a questioni ampiamente dibattute da chi ha preso parte ai movimenti femministi degli anni Settanta, l’interesse sta appunto nella verifica delle permanenze e rotture presenti oggi.

Per questo ho confrontato alcuni concetti frequenti nelle analisi con i descrittori di Linguaggiodonna. Primo thesaurus di genere in Italia, un testo che non ricopre più la funzione documentale per la quale è nato, descrivere il contenuto semantico della letteratura grigia (volantini, cisclostilati ad uso interno dei collettivi, lettere) raccolta dal Centro di studi storici sul movimento d liberazione della donna in Italia, ma si può considerare lui stesso un documento che descrive il patrimonio di analisi, teorie e pratiche del femminismo degli anni Settanta in Italia.

Linguaggiodonna è stato costruito da me e da Beatrice Perucci in un paio di anni, dal 1988 al 1990, l’attenzione alle relazioni gerarchiche e orizzontali che legano i termini del thesaurus tra loro danno conto di tutti gli argomenti e i temi affrontati nelle riunioni di gruppi e collettivi del nascente movimento delle donne.

La prima grande mutazione di contesto rispetto agli anni Settanta è il riferimento all’lslam: in Generazioni si parla spesso di questioni relative al velo, ai rischi e vantaggi di contaminazione tra culture diverse delle/sulle donne, argomenti che non figurano nel thesaurus.

Una seconda rottura con il passato è il tema del conflitto tra i sessi, che non viene più chiamato così, nel libro ricorrono frequentemente le espressioni conflitto uomo donna, e conflitto tra maschile e femminile.

Conflitto tra i sessi è collocato in Linguaggiodonna nell’area della Politica, come area di pertinenza, da subito è apparsa chiara la valenza politica del discorso, e non semplicemente sociale, come è in prospettiva emancipazionista.

Inoltre il linguaggio di Generazioni esprime la consapevolezza, anche se non esplicitata, di tutte le analisi e le discussioni degli ultimi trent’anni in merito ai concetti sesso-genere, alla luce delle critiche rivolte alla semplificazione di considerare il genere come costruzione culturale e il sesso nella dimensione puramente biologica, oggi l’espressione conflitto tra i sessi non sarebbe più valida..

In termini di permanenza abbiamo il tema della maternità, declinato allora nella prospettiva di maternità cosciente. In una situazione nella quale in Italia era proibita la contraccezione, se non quella ammessa dalla chiesa, definita metodo naturale i discorsi variavano dalla denuncia delle morti bianche nei luoghi di lavoro all’aborto.

La questione dell’aborto, sovente riassunta nei mezzi di comunicazione con la semplicistica espressione diritto di aborto, era inserita nella prospettiva della scelta autonome delle donne di avere o non avere figli, l’espressione diritto d’aborto era rifiutata da una parte consistente del movimento femminista allora come oggi, perché maschera la dimensione di violenza e sofferenza fisica e psichica che procura un aborto ad ogni donna che decida di farvi ricorso.

Un’altra permanenza riguarda il tema della sessualità, affrontato più volte dalle donne di Generazioni, se da un lato la tanto sbandierata rivoluzione sessuale, in realtà  modernizzazione dei costumi avvenuta negli ultimi trent’anni,  ha cancellato il ritardo storico di cui soffriva l’Italia in questo campo, non si sono risolti i problemi, molti discorsi di oggi sono simili a quelli che si facevano allora. 

Rispetto poi alle domande che cosa è cambiato negli ultimi trent’anni e cos’è oggi fare politica,
c’è da osservare che sono cambiate certe condizioni, ci sono più donne nei posti che contano, nel lavoro, nella politica, si fanno discorsi sulla femminilizzazione del lavoro, sul valore aggiunto dell’avere donne nelle organizzazioni, ma se questa massiccia presenza delle donne non esita in un reale cambiamento delle relazioni donne uomini, nella sostanza, non nella superficie, anche in questo caso si tratta di modernizzazione semplicemente.

Infine la riflessione tra solo donne, il separatismo, alla ricerca dei vincoli interiori, della immagini di genere che abbiamo assorbito fin dalla pancia materna, l’attenzione all’occhio patriarcale che abbiamo interiorizzato e che agisce in noi inconsapevolmente, in noi come negli uomini, è il gesto politico più importante, e ancora oggi valido.

giovedì 28 aprile 2016

Memorie di una femminista non pentita, XIX, Della serie: i vari modi per denigrare il femminismo, che evidentemente fa sempre più paura


Circola in rete da qualche giorno un articolo della filosofa femminista statunitense Nancy Fraser dal titolo: Modaiolo e neoliberista, il femminismo ci ha tradite.
L''articolo riscuote consensi, specie tra donne, e commenti del tenore: finalmente! quasi si svelasse una verità finora negata.
Mi viene il dubbio, leggendo qualche commento, dubbio legittimato dalla frase: "non leggo tutto l'articolo della Fraser perché non ho tempo, ma sulla base della mia esperienza lavorativa, ha ragione" (!!!) che questo attacco sottintenda un tentativo di normalizzazione in atto, donne tornatevene ai vostri ruoli, l'illusione è finita..
Come sempre siamo in ritardo, questo articolo è apparso nel 2013 sul Guardian, è stato commentato,  e ha avuto anche qualche risonanza mediatica.
 La descrizione delle conseguenze del femminismo in prospettiva emancipatoria è condivisibile, infatti Fraser esordisce nel suo articolo: Come femminista ho sempre pensato che, combattendo per l’emancipazione delle donne, stavo anche costruendo un mondo migliore, la conclusione è che così non è stato, che anzi l'identitarismo di genere perseguito da molte ha sdoganato un individualismo del quale si è giovato il neoliberismo. L'ingresso massiccio delle donne nel mondo del lavoro, l'adozione delle competenze relazionali, nell'organizzazione ( la femminilizzazione del lavoro) ha spianato la strada al neocapitalismo per incrementare lo sfruttamento di donne e uomini.
Ma il femminismo italiano, o meglio un filone dei femminismi italiani degli anni Settanta, ha cominciato a dire queste cose da allora, partendo proprio dalla critica all'emancipazionismo come leva per il cambiamento reale del mondo, sostenendo che la semplice integrazione delle donne nel sistema economico-sociale-culturale e politico avrebbe attuato semmai una modernizzazione dei costumi, correggendo lo squilibrio economico e sociale tra donne e uominini, senza cambiare l'ordine vigente, patriarcale-capitalistico.
Fraser parla dalla sua collocazione di statunitense,  a volte certe americane sono un po' sommarie nelle analisi e soprattutto non tutte la pensano così.
Sta di fatto che fare cassa di risonanza all'articolo di Fraser per la situazione italiana dimostra una scarsa conoscenza delle analisi e delle riflessioni prodotte  negli ultimi quarant'anni dalle nuove consapevolezze di molte donne e molti uomini.
Certe affermazioni contenute nell'articolo suonano poi davvero strane,  quale l'idea che con la partecipazione massiccia delle donne al mondo del lavoro si sarebbe interrotta la divisione sessuale del lavoro imposta dall'ordine patriarcale,  senza tenere conto del fatto che questa si basa sull'attribuzione del mondo della cura -materiale, psicologica, affettiva, sessuale - di persone, cose e animali alla femminilità,  come prerogativa naturale, e quindi alle donne, o tutt'al più alla parte femminile degli uomini, oggi riscoperta e valorizzata."femminile". 
E' questo il nocciolo duro della  la divisione sessuale del lavoro patriarcale, indipendentemente dal fatto che contingenze storico-sociali confinino le donne solo nelle case e/o contemporaneamente nel mercato.
Il femminismo degli anni Settanta, che comunque continua qui in Italia, nelle sue pratiche discorsive e non discorsive in centri, associazioni, luoghi delle donne, viene totalmente ignorato dai media per la sua eversività
Allora si da voce a chi recrimina e rivendica, a chi lamenta subordinazione e discriminazione, nel lavoro, nella cultura, nella politica, a chi ricerca una parità,  quale elemento di giustizia sociale, a chi si batte per i diritti civili. 
Tutte cose che vanno benissimo, visto che abbiamo una vita sola da vivere, basta che non ci si aspetti che questo trasformi  pratiche culturali e sociali.
Se non ci si interroga sul luogo d'origine del patriarcato, la relazione donna-uomo, quel groviglio dal quale si dipanano le attese, le fantasie, le paure, le speranze sia per gli uomini che le donne, il grumo matrice di amore e violenza,  protezione e confinamento,  non è possibile alcun vero rovesciamento di paradigma.

mercoledì 30 marzo 2016

Memorie di una femminista non pentita, XVIII: dubbi e certezze

Mi rendo conto di essere sempre più infastidita, forse perché il tempo che mi resta si accorcia sempre più, da comportamenti ammonitori, con o senza ditini alzati, da posizioni assolute e intransigenti nei confronti di chi esprime dubbi su temi di grosso impatto motivo.
Nei primi vent'anni della mia vita non ho avuto molte incertezze, protetta dalla fede religiosa, la bussola che mi faceva correggere agevolmente  le mie erranze.
Quando la cultura, intesa come conoscenza del mondo, delle idee, delle vite di persone più o meno lontane nel tempo e nello spazio, mi ha fatto crollare quella che da allora in poi mi è sembrata un'illusione, è cominciata la mia vita di dubbi riguardo al senso generale della mia vita e di quella degli altri e altre.
Ho ceduto ancora a forme di rassicuranti certezze -presenti nelle ideologie- ma non sono durate a lungo.
Il risultato è che di fronte a argomenti, questioni che mi toccano nel profondo cerco sempre di documentarmi il più possibile, attratta soprattutto dalle idee diverse dalle mie, per cercare di capirci qualcosa; anche quando arrivo a formulare dentro di me un'argomentazione che mi soddisfa, non riesco a eliminare un aroma di dubbio, un breve sostare se.. ..forse..., è come se presentissi che potrei anche dover rivedere tutto, di fronte a considerazioni nuove.
Una posizione comoda per niente comoda.
Ha influito anche la deformazione professionale di abituare i e le mie studenti, negli anni di insegnamento, a esercitare un controllo critico su quanto veniva loro insegnato da testi scolastici e insegnanti stessi, senza prendere tutto per oro colato o, simmetricamente, senza rifiutare in blocco tutto per partito preso. Cosa che mi è stata facilitata dal fatto di insegnare storia e italiano, mi rendo conto che sarebbe stato più difficile tenere lo stesso comportamento insegnando matematica e fisica, almeno a livello delle scuole secondarie.
Torno al fastidio iniziale, seguo da mesi il dibattito sulla GpA, la gravidanza per altri, come mi ostino a chiamarla, anche se neanche questa espressione mi convince. Sono sicura che per tutte e tutti è un tema che afferra le viscere, ho letto contrapposizioni molto nette tra chi si dichiara favorevole e chi contraria, con una vis polemica sia da una parte che dall'altra che mi ha respinto.
Io apprezzo chi difende con passione le proprie idee,  anche io mi scaldo nei dibattiti, ma non sopporto chi nel difendere la propria posizione toglie legittimità a qualunque altra, bollandola di ingenuità e superficialità, se va bene, di complicità con il nemico, se va male.
Forse questo è il modo di comportarsi dei e delle leader, di chi sente la responsabilità di guidare verso la verità, delle guide spirituali e religiose, ma il mio problema è che dopo la religione non ho più trovato verità assolute, ma frammenti di percorsi, barlumi di speranze, sempre a rischio di ripensamenti.
Mi guidano l'attenzione ai dati di realtà, oggi largamente disponibili in rete, agli eventi quotidiani di donne e uomini in carne e ossa, alle riflessioni di chi a mio parere si sforza di tenere a bada dentro di sé pregiudizi e aprioristche covinzioni.
Oggi che dopo più di quarant'anni di femminismi si è squarciato finalmente il tessuto  patriarcale che nascondeva la realtà delle relazioni donne uomini, donne donne, uomini uomini, ci sono le possibilità di allargare smagliature e strappi, di bucare punti lisi, tenendo come sfondo e  obiettivo da raggiungere il rovesciamento di un sistema e un ordine del discorso millenario.
Non è un'impresa da poco e soprattutto rapida,  perché ha a che fare con trasformazioni di natura antropologica, e i tempi antropologici sono molto più lenti di quelli storici.
Ma gli strumenti cominciano a essere a disposizione.