giovedì 20 ottobre 2011

Il nodo gordiano della guerra

A proposito della celebrazione della vittoria del 4 novembre nella prima guerra mondiale, celebrazione che ci cadrà sulla testa nei soliti modi e riti, non credo che la ricorrenza, con la sua vuota retorica e la pompa istituzionale, sia poi così presente nei cuori e nelle menti delle persone, soprattutto dei giovani uomini e delle giovani donne, per non parlare dei ragazzi e delle ragazze.


Si è senz'altro appannata la memoria di questa data, ma non a causa di un'evoluzione positiva dei valori e dei costumi, per cui, senza rinunciare al conflitto, anima della democrazia, si rinuncia alla guerra, in nome di altre forme di risoluzione, ma al contrario perché la guerra è ormai esperienza quotidiana, diretta o indiretta di tutti noi, abitanti di questi sciagurati tempi.

Dove poi la guerra guerreggiata non c'è, perché la si esporta altrove, si "gioca alla guerra", a causa dell'interiorizzazione di immagini belliche come pratiche indispensabili per raddrizzare torti, porre fine a ingiustizie, rafforzare identità pericolanti e ricompattare fratellanze in crisi, lusingare narcisismi, riconfermare nei rispettivi ruoli tradizionali e patriarcali uomini e donne.

Nulla infatti più della guerra rimette a posto il "disordine sociale" creatosi rispetto ai compiti e alle funzioni di genere, nulla quindi, in ultima istanza, risulta più rassicurante dinanzi ai veloci cambiamenti di mentalità, atteggiamenti, comportamenti e costumi.

Paradossalmente è proprio questo il potere ipnotico della guerra su uomini e donne, non si spiega altrimenti la facilità con la quale moltitudini di persone si lasciano manipolare dai propri governanti e condurre a guerre sanguinose, pur conoscendone i rischi e gli orrori.

Gli uomini -guerrieri- rischiano la vita per la difesa di valori, persone, beni, ideali civili e/o religiosi, riconquistando una centralità e un'autorità che sentono messa in crisi dai tentativi di sottrarsi alla permanente subordinazione sociale e culturale da parte delle donne; le donne in trepida attesa del ritorno dei loro "eroi", da curare nel fisico e nello spirito, trovano riparo in queste attività  dalle fatiche di conquistare un'autonomia di pensiero e azione e dal senso di impotenza che spesso grava sulle spalle di chi intraprende questo percorso, esterno agli schemi di genere socialmente accettati.

Il "destino femminile", interiorizzato nell'educazione di genere, ritorna a essere risorsa sociale, collettiva e individuale, fattore di esaltazione e riconoscimento sociali, altrimenti negati.

Purtroppo concorrono all'incantamento nei confronti della guerra anche le narrazioni costanti del nostro passato collettivo e individuale, che pongono l'accento soprattutto su eventi bellici, pur mostrandone gli orrori, ma presentandoli come ineliminabili, quasi fossero tratti di specie, oscurando il fatto che molti conflitti furono risolti attraverso mediazioni, dialoghi, scambio di pensieri e parole tra uomini, e anche donne.

Innamoramento per la guerra, dicevo, mi sembra sia proprio questa una delle molle che ha determinato i fatti occorsi durante la manifestazione del 15 ottobre a Roma. 



1 commento:

  1. Già parlare dell'incantamento della guerra è uno svelamento, direi strategico. La fascinazione che tutti/e subiamo. Torna in mente ad esempio Il terribile amore per la guerra di J. Hillman. E poi c'è la nozione di guerra come soluzione ai disordini sociali. E qui ci stanno dentro la prima come la seconda guerra mondiale. ma la nozione di guerra come riparazione al disordine di genere, questa viene solo dal femminismo mi pare. E mi sembra davvero fondamentale. Senza questo tipo di riflessione non riuscirei a spiegare perché persone di età considerevole e non, ma tutte con una radicata e inespugnabile mentalità patriarcale, affermano di subire quella fascinazione con vergogna perché si tratta di violenza ma poi finiscono col dire che la guerra è in fondo un male minore. Nulla come la guerra ristabilisce i compiti del maschio e della femmina, li rimette al 'suo posto naturale'.

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