mercoledì 2 novembre 2011

Contraddizioni della "cura"

Da qualche tempo si fa un gran parlare di cura, si organizzano convegni dedicati all'argomento, articoli di giornali, dalle diverse opzioni politiche, considerano questa attività come fattore principale per uscire dalle crisi;  contemporaneamente viviamo in Italia e in Europa la crisi politico-finanziario-sociale che sta impoverendo ulteriormente chi è già in precarie condizioni, chi è a rischio proletarizzazione, oltre che le e i migranti che a rischio lo sono sempre.

Conseguente a questo interessamento c'è l'esaltazione delle donne, da secoli dedite alla "cura" per destino sociale o per scelta di vita -più recentemente-; si attribuiscono alle capacità e alle attitudini  elaborate nel corso della storia e considerate l'essenza più preziosa del femminile, virtù salvifiche dal degrado incalzante, sociale e culturale, in ogni angolo del mondo.

Accanto a questi fenomeni resiste, anzi si intensifica, l'urgenza di moltiplicare gli interventi di carattere caritatevole, da parte di persone e istituzioni laiche e religiose, in parallelo al'aumento di richieste di aiuto.

Il settore del volontariato costituisce da anni il luogo di incontro tra la domanda e l'offerta di cura.
Prima contraddizione: escludendo ogni tipo di malafede, cioè di ogni tentativo di coprire con l'immagine di attività di volontariato la ricerca di lucro, visibilità, consenso, mi sono spesso chiesta che cosa ci fosse dietro il desiderio di impegnarsi in questo ambito da parte di donne e uomini, che in questo campo sono molto numerosi, più di quanto si pensi.

Altruismo, vero desiderio di rendersi utile a chi attraversa momenti di necessità, amore per il prossimo laicamente e cristianamente inteso, molto spesso esigenze di socialità, uscita da condizioni altrimenti di solitudine, probabilmente tutto questo e anche altro.

Ma come la si mette con il discorso che in tal modo si supplisce a carenze dello stato sociale, carenze di governi che, contando su questo, abdicano a compiti e funzioni che Stati veramente democratici dovrebbero  assicurare a tutti gli abitanti del proprio suolo, permanenti o temporanei, cittadini o no?

E' sempre lo stesso discorso della carità per strada, farla o non farla per non incrementare il vagabondaggio, lo sfruttamento di minori..., ma le persone che vengono aiutate, in un modo o nell'altro traggono comunque vantaggio,  questo basta a giustificare il gesto.

Seconda contraddizione: quante di quelle persone così solerti verso il prossimo magari sono state meno pazienti e accoglienti nei confronti dei propri familiari, malati o vecchi o importuni...e hanno scaricato le attenzioni e le funzioni di cura ad altri/e, a pagamento o a titolo gratuito?

Che cosa può giocare?

La scelta sempre revocabile, che nel caso dei familiari non è possibile? La gradualità dell'impegno, che nel caso dei familiari è quasi sempre a tempo pieno? La gratificante riconoscenza  da parte dei /delle beneficiati/e, che fa sentire superiori, mentre non è così davanti alle recriminazioni e ai rancori dei familiari, che spesso pretendono come dovere la cura e l'assistenza? L'uscita cioè da vincoli sociali -etici, morali, economici - cioè da costrizioni in nome di una libera scelta?

Forse tutto questo e altro.

1 commento:

  1. Provo un po' di noia a sentire parlare così tanto di cura; non capisco bene se si tratta del solito discorso sul lavoro domestico, sul fare figli, sulla condizione delle casalinghe, o su che.
    Oggi i tempi sono cambiati, casalinghe per forza non esistono quasi più, almeno tra le donne giovani, se una donna vuole andare a lavorare può farlo, almeno da noi, basta sbattersi un po'.
    Se poi non trova lavoro può sempre svolgere qualche attività di volontariato, che la porta fuori di casa, la fa socializzare.
    Qui a Milano esistono efficienti Centri per anziani, per aiutare a combattere le solitudine.
    Mi sembra che più che altro questo sia un paese per vecchi piuttosto che per giovani.
    Il vero problema è che i vecchi non ci pensano neppure a lasciare i piccoli o grandi posti di lavoro o/e di potere.

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