domenica 20 ottobre 2024

Memorie di una femminista non pentita XI, il Centro studi di Milano, I parte

Con la fine del Gruppo per l’espressione della donna terminò per me la pratica dell’Autocoscienza, l’ultimo periodo era stato faticoso sia nella dimensione politica che in quella personale, ero entrata in una fase di turbamenti e confusione, mi dedicai a cercare di risolvere le difficoltà materiali e psicologiche di vita e lavoro.

Mi allontanai dai luoghi del Movimento e persi di vista le mie amiche femministe.

Nell’agosto dell’’80 conobbi a Londra Pierrette Coppa, che era lì per approfondire i suoi studi di psicoterapeuta.

Mi aveva messo in contatto con lei Laura Grasso, compagna del gruppo di autocoscienza, Pierrette mi trovò anche la sistemazione in casa di un’amica.

 Passammo insieme tutto il mese, spesso mi accompagnava a scoprire luoghi particolari di Londra,
lontani da quelli turistici, città che conosceva benissimo perché più volte aveva trovato lavoro, anche come dogsitter.

La sua famiglia, di modeste condizioni, era emigrata in Francia al tempo del fascismo, al ritorno in Italia Pierrette aveva svolto vari lavori, andando anche spesso in Francia e Inghilterra, mentre studiava, finché era approdata alle edizioni Mazzotta di Milano, dove aveva conosciuto Elvira Badaracco, autrice di testi sulla salute e sulla condizione delle donne lavoratrici, pubblicati dalla casa editrice.

Elvira aveva lasciato  il Partito Socialista quando Craxi ne era diventato Segretario, era ancora piena di energia e di voglia di politica e accettò con entusiasmo il progetto di Pierrette,  che la considerò la persona giusta per occuparsi del Centro a tempo pieno.

A Londra Pierrette, venuta a conoscenza del  mio recente passato di femminista, mi invitò a frequentare il Centro, mentre osservava ironicamente che appena costituito il Centro studi se ne era andata per studio e lavoro.


Nell’agosto dell’’80 il Centro aveva sette mesi di vita, essendo stato costituito il 28 Dicembre 1979.

 Le intenzioni delle socie fondatrici a proposito delle attività del Centro divergevano alquanto. All'inizio Pierrette, di fronte alla massa di manoscritti di donne che affluivano alla casa editrice e finivano per essere  scartati, aveva pensato di raccoglierli e salvarli. Elvira pensava piuttosto a testi di carattere politico-istituzionale. Le giovani femministe contattate per affiancare Elvira nel lavoro del Centro, Maria Beatrice Perucci e Pucci Selva insieme con altre socie che aderirono da subito all’iniziativa, orientarono la raccolta su documenti e testi del  femminismo.

Il primo Bollettino del Centro, del Marzo 1981, riporta lo Statuto e l’elenco delle socie: 30 tra ricercatrici, accademiche, sociologhe in prevalenza, più  due Centri già attivi: DWF e la Cooperativa Lenove, più una socia corrispondente dall’università del Quebec.

 Il Bollettino numero 1 del  Centro inizia in questo modo:
"Facciamone in breve la storia.
La voglia di raccogliere, conservare, capire i tracciati della nostra storia di donne è nelle cose da anni: Centri di documentazione, Libreria di donne, Gruppi di ricerca, Radio Libere, sorti un po’ ovunque, sono segno di un procedere spesso per piccoli gruppi, in questa direzione.
Di questi gruppi, alcuni hanno voluto e saputo riferirsi ad una realtà ampia, nazionale, e sono oggi molto conosciuti; altri sono ‘visibili ‘solo al contesto locale.
Ma tutti sono sorti, sempre con pochissimi mezzi, per una forte volontà delle donne.

Forse l’intenzione prima che muove ognuna di queste realtà…è la volontà di capire…la nostra realtà di oggi.
…..

Negli incontri del primo periodo abbiamo individuato e definito tre settori di lavoro su cui impegnare il Centro:

-raccogliere e organizzare l’archivio del materiale documentario prodotto in Italia negli anni del nuovo femminismo

-creare un nucleo di biblioteca specializzata

-creare al nostro interno situazioni di ricerca e nello stesso tempo raccogliere l’informazione e farla circolare su ciò che che nei diversi ‘luoghi’ si sta producendo...."

 Seguono lo Statuto, composto di 14 articoli, che delinea anche la struttura organizzativa: presidenza, segreteria, poi l’elenco delle socie, quindi la comunicazione della ricerca in corso, che intende raccogliere tutto quanto espresso dalla nuova coscienza delle donne, materiale edito e inedito, che darà luogo al volume “Dal movimento femminista al femminismo diffuso. Ricerca e documentazione nell’area lombarda”, Battisti, Calabrò, Confalonieri, Gay, Ghezzi, Grasso, Perrotta Rabissi, Perucci, Pezzini, Scaramuzza, Selva, a cura di Annarita Calabrò e Laura Grasso, Franco Angeli, Milano, 1985, pp.558

Purtroppo oggi circola un’edizione di 267 pagine, pubblicata nel gennaio 2004, privata della seconda parte, quella che dava conto delle attività delle altre città lombarde, ricche di iniziative, condotte in situazioni problematiche per molte donne, ad esempio le Valli alpine, caratterizzate dalla emigrazione degli uomini verso la Svizzera.
Realtà considerate “periferiche” in un’ottica da un lato milanocentrica, dall’altro schiacciata sul filone del femminismo delle analisi dell’inconscio, del simbolico, della psicanalisi.

La rappresentazione del femminismo nei mezzi di comunicazione di massa e anche le ricostruzioni di femministe, purtroppo, hanno alimentato l’idea che il  femminismo focalizzato sull'inconscio, sul simbolico con i suoi sviluppi teorici, sia stato l’unico filone di femminismo attivo e valido, almeno a Milano, a discapito dei filoni materialisti, concentrati su temi sociali, economici, di conflitto di classe.

Distorsione che è stata in parte corretta a partire da 2000.
L’analisi di questa seconda parte della ricerca Dal Movimento femminista...sarà l’argomento della prossima puntata della mia Memoria.
 
Il cuore del progetto del Centro fu l’archivio, quindi, che diede vita a tutte le intense attività di studio e ricerca  di sistemi di classificazione che consentissero la rappresentazione dei contenuti specifici espressi dal patrimonio del materiale raccolto, edito e inedito.

Si arrivò all’organizzazione a Milano nel 1988 del Convegno Internazionale sulle esperienze di organizzazione e informazione delle donne europee, patrocinato dalla CEE.  

Convegno che registrò la partecipazione di numerosi Centri, Archivi e Biblioteche italiane e estere nel quale si confrontarono i vari sistemi adottati dai Centri per fare emergere la specificità dei contenuti dei testi, editi o inediti,  a firma di donna..

Gli Atti  e gli interventi al Convegno sono pubblicati nel libro  "Perleparole. Le iniziative a favore dell’informazione e della documentazione delle donne europee", a cura di Adriana Perrotta Rabissi  e Maria Beatrice Perucci, Roma, Utopia, 1989.

 Il lungo lavoro di ricerca di un linguaggio di indicizzazione che rappresentasse adeguatamente i contenuti dei documenti delle e sulle donne portò alla costruzione  di "Linguaggiodonna. Primo thesaurus di genere in lingua italiana", di Adriana Perrotta Rabissi e Maria Beatrice Perucci, con la collaborazione, una vera e propria supervisione, di Piera Codognotto, Milano, Centro di studi storici sul movimento di liberazione della donna, 1991, Bollettino n. 6

"Linguaggiodonna" fu adottato come strumento di indicizzazione  dalla Rete Lilith, la rete dei Centri, Librerie, Archivi e Case delle donne in Italia.

 L’idea dell’Archivio non fu apprezzata da alcune femministe, che lo considerarono un congelamento della memoria e della sua documentazione, non ne fu intesa la valenza dinamica di organizzazione  delle  analisi e teorizzazioni del Movimento delle donne, per renderle fruibili alla nostra riflessione  e a chi volesse interessarsene,  oltre alla sua propria funzione di salvaguardia dalla dispersione dei documenti. prodotti dalla nuova coscienza delle donne.

Il contrario quindi di una mummificazione, ma una ripresa di temi e proposte.

In realtà nei 15 anni di vita del Centro, dal 1980 al 1994, anno in cui morirono a pochi mesi di distanza Elvira e Pierrette, nelle riunioni di Segreteria e nella pratica del Centro si confrontarono due  tendenze, una di Movimento, concentrata a lavorare sui temi della documentazione e dell'informazione, l'altra tesa a approfondire temi di carattere storico-letterario.



sabato 21 settembre 2024

Memorie di una femminista non pentita X, Perché non i fiori

 


Nel momento in cui abbiamo scelto di fare autocoscienza nel nostro sottogruppo di Lotta femminista di Milano  -eravamo in dodici, di diversa età, estrazione sociale e impegno professionale- separatismo significava la possibilità di analizzare liberamente temi intimi quali la sessualità, il rapporto con il nostro corpo, le relazioni con uomini e donne, cose delle quali mai saremmo riuscite a parlare in presenza di uomini.
Ma non c'erano solo le ragioni di riservatezza, avevamo incontrato nella nostra esperienza politica precedente il maschilismo di sinistra, nelle sue varie articolazioni, dalle più benevole e protettive alle più intolleranti, se da un lato non sarebbe stato più possibile sottoporsi al controllo politico che molti avrebbero esercitato nelle riunioni, dall'altro eravamo consapevoli del fatto che la presenza di uomini, anche in minoranza e muti, avrebbe fatto scattare automaticamente in noi il bisogno di approvazione.
E' stato difficile fare accettare questo aspetto a molti compagni di gruppi extraparlamentari, e infatti si sono verificati, non a Milano, episodi di violenza di compagni in contesti di riunioni di donne.
Qualche tempo dopo, nelle riunioni di autocoscienza ci siamo rese conto che quel famoso occhio giudicante nei nostri confronti, con lo stesso corredo di criteri di valutazione, lo sguardo maschile sul mondo e sulle relazioni, l’avevamo interiorizzato nelle nostre esperienze di vita, di lavoro e di politica, e lo esercitavamo inconsapevolmente tra di noi nella riproposizione dei ruoli, chi era più politica e razionale continuava a utilizzare schemi e parole consuete, tendeva a prendere la parola con frequenza, mostrando a volte insofferenza verso chi non concordava, chi era meno abituata a parlare in pubblico, stava in silenzio, ma un silenzio pesante e colpevolizzante.
Di fronte a questo ostacolo ci siamo proposte di aggirarlo affiancando allo strumento della parola il disegno.
Nelle riunioni di autocoscienza parlavamo contemporaneamente disegnando.
Il frutto della riflessione è contenuto in un libro, pubblicato nel 1975, nel quale noi autrici risultiamo tutte nominate rigorosamente solo con il nome di battesimo, dal titolo Perché non i fiori, Milano, La salamandra.
I nostri nomi: Franca, Ombretta, Laura G., Giulia, Laura P., Silvana, Carla, Eliana, Adriana, Luisella, Nuccia, Paola. 
In quell'occasione ci siamo chiamate Gruppo per l'espressione della donna.
Il titolo del libro e del gruppo non sono casuali, una donna dell'altro sottogruppo di Lotta femminista in risposta alla mia illustrazione del nostro lavoro mi aveva invitato in modo un po' sprezzante a andare in giro per la città a dipingere fiorellini sui muri, per sottolineare l'irrilevanza della nostra iniziativa, in seguito a questo colloquio proposi il titolo Perché non i fiori.
L'introduzione chiarisce le nostre intenzioni, ricorrere a uno strumento meno logorato del linguaggio, capace di far emergere quanto rimane di non detto nei discorsi, spesso dominati da preoccupazioni di natura logico-razionale, alla ricerca di una modalità nuova di comunicazione tra donne.
Due di noi avevano a che fare con professioni artistiche, una era pittrice-scultrice, l'altra fotografa, poi insegnanti, impiegate, una industriale-manager, un'attrice.
Il libro è diviso in otto capitoli, all'inizio di ogni capitolo abbiamo riportato delle brevi riflessioni come chiavi di lettura, poi i disegni, non firmati, che illustrano quanto ci eravamo scambiate nelle riunioni.
Infanzia è il primo capitolo, seguito da lavoro, sessualità, verginità, matrimonio, bellezza, età, femminismo, che è il capitolo conclusivo e segna un approdo, dopo un percorso costituito da storie individuali, segnate da tratti comuni di disagio, ribellioni, resistenze.
Nella prefazione si presenta il lavoro come un modo nuovo di fare politica tra donne.
Intanto questo lavoro di autocoscienza provocava conseguenze nella relazione con mio marito, che per la sua storia parentale e per le sue scelte non corrispondeva al modello di maschio del quale parlavano le mie compagne nelle riunioni di autocoscienza, se questo da un lato mi facilitava la vita, perché condividevamo completamente anche il lavoro di cura, dall'altro mi poneva il problema di temere una sudditanza psicologica nei suoi confronti che mi impedisse di cogliere fino in fondo la mia mancanza di autonomia da lui.
Dibattendomi in questo dilemma, mi stavo avviando verso un bagno di ideologia, che avrebbe provocato alcune conseguenze di lì a poco nel mio nucleo familiare.

martedì 4 giugno 2024

Lotta Femmista a MIlano. Memorie di una femminista non pentita, IX

  

Alcune donne di un gruppo di Lotta Femminista di Milano insieme ad altre che frequentavano  i Gruppi di Via Cherubini costituiscono un gruppo di lavoro e di studio sul tema della salute, in particolare la salute sessuale e riproduttiva,  partendo dalla messa a fuoco del corpo delle donne come luogo dell'oppressione materiale, simbolica e ideologica, il nome è Gruppo femminista per una medicina delle donne, vi partecipano alcune dottore e alcune studenti di medicina. 

Inizia così un intenso lavoro di analisi sul ruolo della Medicina e sul potere dei medici sulle donne, l'obiettivo primario è la conoscenza del proprio corpo e delle fasi fisiologiche che si attraversano nel ciclo di vita,  medicalizzate e bollate come malattie, primo passo verso l'autodeterminazione. 

Il gruppo affianca allo studio la pratica del self-help, la prima uscita pubblica è l'opuscolo Anticoncezionali dalla parte della donna, nell'aprile del 1974, stampato a proprie spese e diffuso in maniera militante,  che ebbe grande diffusione a livello nazionale e di cui si avranno numerose ristampe negli anni successivi. L'obiettivo, nelle parole di una fondatrice era: un primo progetto di informazione per rompere la cortina dei tabù e dei silenzi, per dire basta alla sofferenza e alla vergogna legate a un corpo trattato come se fosse senza cervello  né coscienza. Diffondere informazioni sulla contraccezione quando era ancora proibito parlarne significava imparare a conoscere il nostro corpo e a controllare la nostra fecondità  come primo passo per riflettere su di noi e diventare padrone di noi stesse (Luciana Percovich, Il corpo, la medicina, la scienza,  in Il movimento delle donne negli ultimi vent'anni, Milano, Unione femminile, 1989). 

Parallelamente  si fa strada, non senza contrasti,  un progetto più ambizioso da parte di un altro gruppo,  l'idea di aprire  un consultorio  autogestito alla periferia di Milano, un Centro per la Medicina delle Donne,  partendo dalla dalla consapevolezza che le donne vanno dal medico anche quando non sono malate, si configura così un luogo di riflessione e ricerca collettiva, non certo un semplice servizio per le donne, come saranno i Consultori familiari istituiti con Legge 29 luglio 1975, n. 405 e dichiarati servizi socio-sanitari.

In tutta Italia, nel 1974 e '75  si moltiplicheranno nelle varie città le iniziative e i Centri impegnati su questi temi, legati all'esperienza di vita quotidiana, si terranno Convegni, si discuterà sul modo di intendere il rapporto con le altre donne, che affluivano numerose.

La proposta milanese era  frutto di un lungo e raffinato lavoro di presa di coscienza e si focalizzava sulla costruzione di una politica nuova rispetto alle forme tradizionali, questa caratteristica la distingueva da analoghe realtà ma la rendeva invisa a  chi era propensa a mediare con le Istituzioni, inoltre prendeva corpo la battaglia per l'aborto condotta dai partiti e dalle loro organizzazioni femminili, che avrebbe catalizzato l'attenzione.

Ma soprattutto era malvista a Milano dai collettivi di autocoscienza e di pratica dell'inconscio.

Per un breve periodo si aprì un consultorio in un quartiere periferico, la Bovisa, luogo di pratica di autocoscienza e di self-help, oltre che di ricerca teorica e di servizio sul territorio.

Un altro gruppo di Lotta femminista di Milano praticò l'autocoscienza, affiancandola all'intervento intenso nei quartieri, davanti ai supermercati, ai giardinetti territoriali, nelle aziende, negli uffici e nelle scuole.

Nel momento in cui abbiamo scelto di fare autocoscienza nel nostro sottogruppo di Lotta femminista eravamo in dodici, di diversa età, estrazione sociale e impegno professionale. La pratica che ormai si era affermata in Italia significava  la possibilità di analizzare liberamente aspetti intimi della nostra vita, quali la sessualità, il rapporto con il nostro corpo, le relazioni con uomini e donne.

Ben presto ci siamo rese conto che quel famoso occhio  controllante e giudicante nei nostri confronti, con il corredo di criteri di valutazione, lo sguardo maschile sul mondo e sulle relazioni, l’avevamo interiorizzato nelle nostre esperienze di vita, di lavoro e di politica, e lo esercitavamo inconsapevolmente tra di noi, malgrado il separatismo dagli uomini, nella riproposizione dei ruoli: chi era più politica e razionale continuava a utilizzare schemi e parole consuete, tendeva a prendere la parola con frequenza, mostrando a volte insofferenza verso chi non concordava, chi era meno abituata a parlare in pubblico stava in silenzio, ma un silenzio pesante e colpevolizzante.
Di fronte a questo ostacolo ci siamo proposte di aggirarlo affiancando allo strumento della parola il disegno.

Nelle riunioni di autocoscienza parlavamo e contemporaneamente disegnavamo.
Il frutto della riflessione è contenuto in un libro, pubblicato nel 1975, nel quale noi autrici risultiamo tutte nominate rigorosamente solo con il nome di battesimo, dal titolo Perché non i fiori, Milano, La Salamandra.
In quell'occasione ci siamo chiamate Gruppo per l'espressione della donna.

Il titolo del libro e del gruppo non sono casuali, una donna di un altro gruppo di Lotta femminista in risposta alla mia illustrazione del nostro lavoro mi aveva invitato in modo un po' sprezzante a andare in giro per la città a dipingere fiorellini sui muri, per sottolineare l'irrilevanza della nostra iniziativa, in seguito a questo colloquio proposi il titolo Perché non i fiori.

L'introduzione del libro chiarisce le nostre intenzioni: ricorrere a uno strumento meno logorato della lingua, capace quindi di far emergere quanto rimane di non detto nei discorsi, spesso dominati da preoccupazioni di natura logico-razionale, alla ricerca di una modalità nuova di comunicazione tra donne.
Due di noi avevano a che fare con professioni artistiche, una era pittrice-scultrice, l'altra fotografa, le altre insegnanti, impiegate, una industriale-manager, un'attrice.

Il libro è diviso in otto capitoli, all'inizio di ogni capitolo abbiamo riportato delle brevi riflessioni come chiavi di lettura, poi i disegni, non firmati, che illustrano quanto ci eravamo scambiate nelle riunioni.
Infanzia è il primo capitolo, seguito da lavoro, sessualità, verginità, matrimonio, bellezza, età, femminismo, che è il capitolo conclusivo e segna un approdo, dopo un percorso costituito da storie individuali, segnate da tratti comuni di disagio, ribellioni, resistenze.

Nella prefazione si presenta il lavoro come un modo nuovo di fare politica tra donne.

Intanto  stavo entrando in una fase di  trasformazione personale contrassegnata da una torsione ideologica, non ero certo la sola, ricordo che in una Assemblea cittadina sui temi della maternità, sessualità e aborto ("Sottosopra n°3", 1975) una donna di Lotta Femminista esordì scusandosi per il fatto di continuare ad avere una relazione  d'amore con il suo compagno (un uomo, quindi un nemico), riscuotendo grandi applausi e anche il mio pieno consenso.

Mio marito per la sua storia personale e per le sue scelte di vita non corrispondeva al modello di maschio-maschilità tossica-  del quale parlavano le mie compagne nelle riunioni di autocoscienza. 
Se questo da un lato mi facilitava la vita, perché ad esempio condividevamo completamente anche il lavoro di cura nei confronti della casa e dei figli,  dall'altro  temevo di nutrire inconsapevolmente  una sudditanza psicologica nei suoi confronti, che mi impedisse di cogliere fino in fondo la mia mancanza di autonomia da lui.
Dibattendomi in questo dilemma mi stavo avviando verso un bagno di ideologia che avrebbe provocato alcune conseguenze di lì a poco nel mio nucleo familiare.

Entrambi i gruppi proseguivano gli incontri con altri collettivi dapprima in via Cherubini, poi nella Libreria delle Donne in Via Dogana, che nel frattempo era stata aperta con il concorso di tutte le donne del Movimento milanese, così come il giornale "Sottosopra. Esperienze dei gruppi femministi in Italia"(1973-1976).

Un' altra iniziativa di Lotta femminista fu l'audiovisivo Siamo donne, siamo tante, siamo stufe, realizzato da alcune donne del Gruppo femminista milanese per il salario al lavoro domestico, un documentario molto completo sullo stato delle cose presenti, sul doppio sfruttamento in casa e al lavoro, sulle lotte condotte  non solo in Italia ma anche nel resto del mondo, conosciuto attraverso la Rete internazionale alla quale aderiva Lotta Femminista.
Il video è consultabile in PDF al link:  
https://www.bibliotechecivichepadova.it/sites/default/files/opera/documenti/sezione-4-serie-1-12.pdf

(continua)















Alcune donne di 

venerdì 31 maggio 2024

1974-1977 esplode il Movimento delle donne Memorie di una femminista non pentita VIII

È dura  arginare le emozioni che piombano addosso quando ci si abbandona agli ambagi della memoria 

Consapevole da tempo dei tranelli tesi dai ricordi inventati più invecchio e meno mi sento sicura di loro, così abbandono ogni cautela e strumento di controllo in dotazione alle/gli appassionate/i di Storia  per lasciarmi andare alla mia ricostruzione personale degli eventi di quei quattro anni  fecondi di pratiche e pensiero.

Nel 1974 nasce a Milano il gruppo Lombardo di Lotta Femminista, che si differenzia dalla maggior parte dei gruppi analoghi operanti in molte città d'Italia per la pratica dell'Autocoscienza.

La storia dei gruppi Lotta Femminista e Salario al Lavoro Domestico  è poco conosciuta, fino a tempi recenti, per i fraintendimenti ai quali ha dato vita la parola d'ordine del Salario al lavoro domestico, strumentalmente accostata allora alla "pensione alle casalinghe" portata avanti da forze politiche istituzionali, depotenziandone il valore di lotta contro la gerarchizzazione patriarcale del dualismo  produzione e riproduzione.

Gran parte del Movimento di allora accettò senza approfondirle le critiche, e marginalizzò e cancellò nel dibattito politico e nelle immediate ricostruzioni di memorie nodi politici del pensiero e della pratica femminista, relativi al doppio sfruttamento, in casa e al lavoro, alla violenza domestica, alla salute, alla maternità, alla sessualità, all'amore, alla prostituzione...

Così è stato possibile che una tale ricchezza di analisi e di proposte politiche di un Movimento di dimensione nazionale, radicato in venti città italiane, collegato con realtà impegnate in lotte dello stesso tenore in Inghilterra, USA eCanada (Lotta Femminista faceva parte di una rete collegata alla International Wages for Housework Campaign), abbia avuto così poca risonanza mediatica e sia stata quasi ignorata dal resto del Movimento di allora in Italia, così da determinare una deplorevole separazione tra due filoni di pensiero e pratiche che avrebbero dovuto procedere strettamente connesse; una separazione che ha nuociuto non poco al contrasto di processi messi in atto dalle istituzioni politiche e sociali del paese, contro i quali ci troviamo oggi a combattere.

A Milano in particolare, il prevalere delle  pratiche di autocoscienza, con la torsione verso l'analisi dell'inconscio, ha comportato il discredito di Lotta femminista, volta a tenere insieme la dimensione della modificazione di sé con quella dell'intervento nel sociale. 

Il femminismo che praticava l'autocoscienza e l'analisi dell'inconscio considerava prioritaria per una reale modificazione dello stato delle cose la ricerca della complicità delle donne con l’ordine del discorso vigente, interiorizzato attraverso l'educazione di genere.

 D'altra parte le analisi e le pratiche dei gruppi di Lotta Femminista mancavano dello sguardo dentro le soggettività, in merito alle fantasie, alle paure, ai desideri, alle aspettative delle donne derivanti dalla interiorizzazione dell'ordine patriarcale.

Il linguaggio usato nei documenti, poi,  risentiva molto di quello delle lotte operaie in atto in quegli anni, mentre nel Movimento era diffusa la diffidenza nei confronti degli strumenti analitici marxiani impiegati nelle analisi, per timore di un assorbimento e conseguente neutralizzazione dei contenuti di lotta femministi nella più generale lotta di classe.

 Sta di fatto che la mancanza di lavoro comune tra i due filoni del Movimento italiano non è stato un elemento positivo per il Femminismo.

Ho accennato al fatto che al Convegno del Giugno 1971 erano presenti anche donne di Torino, oltre a Bologna, Padova, Ferrara, Pisa, Trento e Firenze, appartenevano a un Gruppo che si chiamava CR, un'organizzazione che traduceva e diffondeva materiali del Terzo Mondo, le donne di questo gruppo avevano cominciato a riunirsi separatamente, dando vita al Collettivo delle Compagne, da cui  avranno origine i gruppi del femminismo torinese, una parte di questi manterrà stretto contatto con i collettivi di Milano.

 Da Torino venne la traduzione del libro Noi e il ostro corpo, testo che risulterà fondamentale per tutte le donne che si sarebbero occupate del tema della sanità, della medicalizzazione delle fasi fisiologiche del corpo femminile, del rapporto medico-paziente, della contraccezione, della maternità cosciente.....

A Milano molte donne di Lotta Femminista scelsero di coniugare le lotte politiche con l'autocoscienza, si formarono quindi piccoli gruppi tra i quali alcuni più attivi degli altri nel sociale.

 La scelta della pratica politica  determinò un allontanamento  dai gruppi di Lotta Femminista  delle altre città, che non praticarono l'autocoscienza, ad eccezione di Ferrara e Modena.

I gruppi  di Lotta Femminista milanese più attivi furono il Gruppo femminista per una medicina delle donne,  il Centro per la Medicina delle Donne,  il Gruppo femminista milanese per il salario al lavoro domestico, che realizzò  l'audiovideo Siamo donne, siamo tante, siamo stufe e il  Gruppo per l'espressione della donna che pubblicò il libro di autocoscienza disegnata Perché non i fiori.





giovedì 2 maggio 2024

Il mio primo femminismo. Memorie di una femminista non pentita, vii

I primi anni del femminismo (1970-1973) mi avevano visto animatrice di gruppi di analisi e confronto sui temi dell'oppressione delle donne, della loro marginalità rispetto ai luoghi di potere, del carico del doppio lavoro, delle difficoltà dell'autodeterninazione rispetto al proprio corpo, della salute, degli ostacoli e dei vincoli esterni opposti alle donne nei loro tentativi di conquistare indipendenza economica e autonomia di pensiero e azione

mercoledì 24 aprile 2024

Non solo Milano.Memorie di una femminista non pentita, VI

 Mentre si moltiplicano i Collettivi e si sperimentano nuovi modi di stare tra donne, non solo per riflessione e elaborazione ma anche per divertimento, si registra un po’ di stanchezza nei gruppi che hanno iniziato per primi l’autocoscienza, alcune avvertono l’esigenza di indagare l’inconscio, nascono  nel 1974 due gruppi dedicati a questa pratica.

La stessa funzione di via Cherubini si modifica; da punto di riferimento e luogo di incontro tra donne a sede di un unico collettivo che diventa nel 1974 di Collettivo di Via Cherubini.

lunedì 22 aprile 2024

Dalla relazione tra donne alle relazioni tra femministe, parte II. Memorie di una femminista non pentita, V

Memorie di una femminista non pentita (V puntata)

venerdì 19 aprile 2024

Dalle relazioni tra donne alle relazioni tra femministe, parte I Memorie di una femmiista non pentita IV



Forse ci fu un affollarsi troppo repentino di eventi personali e sociali, di idee, scoperte di dimensioni diverse da quelle un po' claustrofobiche nelle quali ero vissuta fino ad allora, ne avrei scontato anni dopo la precipitosità e la mancanza di assimilazione emotiva e intellettiva, però furono tempi caotici anche per molti e molte della mia generazione.
La mia adolescenza, come ho già detto,  era trascorsa nel chiuso di un piccolo nucleo familiare, i miei genitori erano entrambi emigrati a Milano, rompendo in modo più o meno definitivo con la propria famiglia d'origine, non ho frequentato né zie/i, né cugine/i, se non per brevi incontri occasionali.
L’unica parente frequentata con grande amore fu la mia nonna materna, "fuggita" a Milano con la figlia poco più che ventenne e per questo messa al bando dalla propria famiglia d'origine, entrambe furono considerate dai e dalle loro parenti, famiglia patriarcale infarcita di suore e preti, alla stregua di puttane.

D'altronde mio nonno materno, 
il più giovane di undici tra fratelli e sorelle, era socialista e per questo  considerato pecora nera della famiglia benestante, ultracattolica e clericale, Pur essendo socialista poi, mio nonno era anche razzista dato che sembra si sia scandalizzato all'idea che sua figlia sposasse un poliziotto per di più meridionale, non andò neppure al matrimonio della figlia, suppongo fosse anche sessista, allora non si usava questo termine, visto che ha impedito a mia madre di continuare gli studi, mentre si è adoperato per fare studiare il figlio svogliato, con scarso esito.
Mio padre era un proletario, poliziotto e fascista, i miei nonni paterni erano  morti.
Questo conosco della mia storia familiare, dai pochi accenni di mia madre quando avevo quindici o sedici anni.

Non so se mi fa bene andare a risvegliare certi ricordi, da un lato è la prima volta che li analizzo senza l'incalzare di una emozione contingente, in una dimensione più conoscitiva, come è per me la scrittura, dall'altro però mi accorgo di procurarmi un'agitazione imprevista e un sotterraneo disorientamento, pericoloso per la mia fragilità emotiva di donna "anziana", che spesso si manifesta in sogni notturni molesti.

Credo di essere spinta dal desiderio di capire una buona volta, arrivata a questo punto della mia vita, qualcosa del mio rapporto con le donne, passato, presente e futuro.
Non posso che partire da due eventi cardine : il rapporto interrotto bruscamente con mia madre, l'esperienza di vita e di pensiero femminista.
Il nodo è apparso da subito stretto quando, dopo qualche tempo di pratica di autocoscienza condotta con il mio Collettivo ininterrottamente per cinque anni dal 1973 al 1978, ho fatto un sogno ancora vivido nella mia memoria e alquanto terrorizzante, ho sognato mia madre, in figura di morta, che mi inseguiva in un corridoio con un pugnale in mano per colpirmi alle spalle.

Non ho mai fatto analisi, non sono mai ricorsa a colloqui psicologici, non ho mai molto indagato la mia interiorità. Durante l’adolescenza ho sofferto di un eccesso di fantasia compensativa, pari all'impotenza della quale mi sentivo preda. Un'attività fantastico-ossessiva  che mi faceva preferire l'isolamento alla dimensione collettiva amicale, eccesso che mi si è puntualmente ripresentato altre volte nel corso della vita in situazioni di forte frustrazione emotiva.
Gli unici momenti di riflessione sul mio mondo interiore sono stati quelli dell'autocoscienza, in quegli incontri confrontavamo il nostro vissuto nelle relazioni con donne e uomini, nella sessualità agita o patita, nel lavoro, nella rappresentazione del mondo e nella autorappresentazione, mai però, nel mio gruppo, scendevamo a considerare qualcosa di più profondo, sia perché, consapevoli della nostra inesperienza nel campo psicologico, temevamo i possibili disastri derivanti da arbitrarie interpretazioni, sia perché volevamo evitare momenti di "sfogo emotivo", pratica largamente agita nelle tradizionali situazioni amicali tra donne. Consuetudine, questa, che serviva senz'altro a sollevare il morale al momento, ma non incrementava per niente la conoscenza delle responsabilità personali, individuali e collettive nel mantenere l'ordine simbolico vigente e rischiava di incrementare il vittimismo comune, accettato come dato ineluttabile, smorzando ogni volontà di modificazione di sé e del. Mondo.

La pratica dell'autocoscienza ha significato molto per me in termini di comprensione del mondo e di me, mi ha aiutato a uscire dalla dimensione claustrofobica nella quale ero stata -e mi ero- rinchiusa, ma la mancanza di abitudine ad una pacata autoriflessione (sostituita da fantasie compensative esasperate che hanno agito da barriera difensiva) ha inciso in qualche modo sulla deriva ideologica che a un certo punto del percorso ha preso il mio femminismo.

 

giovedì 11 aprile 2024

Un passo indietro. Memorie di una femminista non pentita, III

 Sono stata una credente convinta, a quindici anni insegnavo catechismo alle bambine del mio oratorio, sono cresciuta in una famiglia nostalgica del fascismo e tradizionalista nei costumi e nelle relazioni, ma con una madre che cercava di motivare fortemente le sue figlie all'emancipazione economica, attraverso lo studio, anche e soprattutto nei confronti di un marito, sempre supposto.

Fu una battaglia costante per lei, condotta con determinazione contro mio padre che avrebbe voluto farci diventare segretarie d'azienda. Un' emancipazione che a lei era mancata, pur avendo un padre "socialista", al quale rimproverava  una maggiore 'attenzione al figlio maschio, che poi sarebbe entrato nella milizia fascista.

lunedì 8 aprile 2024

Dal femminismo al movimento delle donne.Memorie di una femminista non pentita, II

Negli anni Sessanta del '900 il benessere che cominciava a interessare anche l'Italia ha permesso a generazioni di ragazzi e soprattutto ragazze di origini modeste di studiare e progettare un futuro lavorativo migliore rispetto a quello dei propri genitori, bastavano l'ambizione e molto impegno nello studio.

Certo non era ancora diffusa, come oggi, la mentalità di fare sacrifici per investire sugli studi dei figli, specie delle figlie; ancora si sosteneva nelle fasce medio basse della popolazione che il destino delle ragazze fosse di trovare un  marito, un buon partito, e sistemarsi.

Nel 1963 all'Università di Milano ho incontrato qualche ragazza che confessavano candidamente di non sapere se avrebbe continuato gli studi nel caso si fosse sposata, non potevo crederci dopo tutta la fatica del liceo!

Comunque anche se le condizioni economiche non permettevano di essere mantenute/i agli studi, si poteva contare su strumenti che aiutavano, borse di studio, presalario, e lavoretti saltuari assegnati dai professori agli/alle studenti volonterosi/e e con ottimi voti agli esami.
Iniziava il processo che avrebbe condotto alla scuola di massa da lì a un decennio, con i suoi lati positivi, l'accesso all'istruzione e quindi la possibilità di promozione sociale di fasce della popolazione fino ad allora escluse, negativi, l' inizio della dequalificazione della scuola pubblica, politicamente perseguita da forze politiche conservatrici e reazionarie.

Alla fine del decennio gli avvenimenti politici, che hanno scosso l'Occidente e non solo, hanno mutato il quadro di riferimento e impresso un'accelerazione a trasformazioni culturali che forse avrebbero richiesto un tempo maggiore per essere metabolizzate.

Iniziò una stagione di lotte nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nella società tutta, oltre che nelle fabbriche, che ebbero come protagoniste/i anche i e le neodiplomati/e.

Ebbe inizio anche in Italia il femminismo, che sarebbe stato chiamato neofemminismo, o femminismo della seconda ondata per distinguerlo da movimenti storici precedenti.
Si apri da subito il conflitto con la rigida identità femminile tradizionale che comportò per le donne la rottura dell'universo simbolico di riferimento, in altre parole quello che era stato inteso fino ad allora il destino biologico-sociale inevitabile per una donna: la realizzazione prioritariamente nell'ambito familiare e semmai anche in quello lavorativo, a patto di assolvere la funzione "naturale" e quindi primaria.

Anche la nostra Costituzione, faro di democrazia e di libertà, tiene ben fermo questo precetto quando recita  all'articolo 37, comma I:
"La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione."

Il neofemminismo si caratterizzò da subito per la messa in discussione dell'emancipazionismo, inteso come processo di promozione delle donne al mondo maschile del lavoro, delle professioni, della cultura dell'arte e della politica, fatte salve le prerogative della "femminilità" necessarie al mantenimento dell'ordine sociale.  

Non che non ci siano stati casi di donne che si sono ribellate a questo destino, nel passato recente e remoto, ma si è sempre trattato appunto di casi individuali, spesso pagati con sofferenze e patimenti di varia natura, frutto di soggettività eccezionali per coraggio e determinazione.

Già la scelta di Franca Viola, che nel 1965 a soli diciassette anni, d'accordo con i familiari, rifiutò il matrimonio riparatore propostole dal fidanzato dopo il rapimento e lo stupro, scelta fatta individualmente, senza il conforto di reti sociali di consenso, prefigurava in qualche modo quello che di lì a pochi anni sarebbe stato teorizzato dal movimento delle donne.
Ricordo ancora l'ammirazione che provai a quel tempo per il suo coraggio.
Sembrano cose lontanissime, e infatti appartengono al secolo scorso.

Rompere con l'identità femminile tradizionale significava mettere in crisi la codificazione patriarcale di ruoli e funzioni sociali assegnati in base al sesso, quindi la divisione del lavoro considerata naturale, e non invece determinata storicamente da rapporti sociali di dominio.

Ma significava anche rinunciare a tutta una serie di vantaggi che le donne si erano ritagliate nella situazione, così come di contropoteri reali e/o immaginari nell'ambito degli affetti familiari.
Mi riferisco a un senso di onnipotenza affettiva, esercitata prevalentemente su figli e figlie, che pareva compensare per molte donne l'insignificanza reale, sentimento quello dell'onnipotenza derivante dall'esaltazione della figura materna, condotta in accoppiata da religione e senso comune.
Esaltazione accentuata fino alla santificazione dal cattolicesimo, con la proposta della  madonna come modello (giustamente inarrivabile come tutti i modelli) e dalla cultura popolare della madre, centro degli affetti e unica detentrice dell'unità familiare.

Mettere in discussione tutto questo però per alcune giovani donne non ha significato solo affacciarsi sulla scena pubblica senza più certezze e consolidate nicchie protettive, ma anche sovente mettere in crisi le scelte delle proprie madri, amate, odiate, ma comunque interiorizzate  come modello, da imitare, da combattere, da modificare, ma pur sempre modello.
Quelle più fortunate poterono aprire direttamente con le loro madri conflitti e discussioni, a volte con esiti positivi, pur dopo contrasti e lacerazioni.
Chi non aveva più la madre reale dovette accontentarsi di confliggere con la figura interiorizzata, rischiando anche cantonate, senza possibilità di smentita.
 Credo che questa sia stata una delle battaglie più dure per molte donne di vent'anni che parteciparono ai momenti di presa di coscienza, e in seguito di autocoscienza,  agli inizi degli anni Settanta.

venerdì 5 aprile 2024

Una valigia di carbone. Memorie di una femminista non pentita


Valigia di carbone, 3 giorni senza uscire di casa, una poesia, che si concludeva con un “Viva Adriana”.
Le uniche notizie sulla mia nascita presenti nei racconti di mia nonna e mia madre, insieme alle osservazioni che raggiungevo a fatica due kili di peso, che ero molto carina malgrado la magrezza, e soprattutto che mio padre per tre giorni di seguito non era uscito di casa.
Quest’ultima espressione era detta con tale enfasi che fino all’età di sette o otto anni ero molto orgogliosa di questo segno di elezione e di affetto nei miei riguardi, tanto che lo dicevo a chiunque incontrassi anche casualmente.

 Più tardi appresi da qualche frammento di racconto di mia madre dell’abitudine paterna di stare fuori casa la sera, gioco e forse donne (?) tanto da costringerla a passare lunghe ore seduta sugli scalini davanti alla porta, per la paura di stare in casa da sola, salvo rientrare precipitosamente al suono dell’ascensore.

La valigia piena di carbone e la poesia invece erano regali del mio padrino di battesimo, al quale ho voluto molto bene, che è stato un’assidua presenza nella nostra vita familiare, fino al momento in cui si è sposato, abbastanza tardi negli anni.

 Non so altro, mia madre è morta quando avevo vent’anni, non mi ero ancora interessata ai dettagli della gravidanza, del parto, e dell’allattamento e non ho fatto in tempo a rivolgerle domande; non mi sono neanche sognata di chiedere notizie a mio padre, morto molto più tardi.
Del che resto neanche lui ha mai accennato alla nascita mia o di mia sorella, come se la cosa non l’avesse riguardato per nulla, neanche al tempo delle mie due gravidanze, o dei miei parti.
La divisione dei compiti e la distinzione dei ruoli hanno operato nel profondo della mia e della sua psiche, anche quando avevo maturato una nuova coscienza e consapevolezze femministe.

Oggi penso che abbia influito molto la sensazione di distanza che ho avvertito fin da subito in mio padre rispetto al mio mondo emotivo-sentimentale, del quale si impossessò mia madre, in maniera troppo invadente, mi dichiarò che avrebbe voluto che condividessi con lei i momenti dell’adolescenza che le erano stati negati per vicende familiari.
Acconsentii per amore verso di lei, ma non andava bene, ora lo so, non potei confrontarmi con altre donne adulte perché i miei genitori si erano allontanati dai rispettivi luoghi di origine e dalle famiglie, fui pertanto esposta senza difese alle sue ansie e angosce, fobie, e divenni troppo dipendente da lei in una dimensione simbiotica.

L’unica parziale compensazione  nei confronti di una relazione madre figlia malata mi fu offerta dal femminismo negli anni Settanta, dall’Autocoscienza, dal confronto con donne di età diverse nei collettivi e nei gruppi.

Non so se mio padre sia stato escluso da mia madre o si sia autoescluso, sta di fatto che la dimensione intima non si recuperò più, contò dapprima il fatto che avrebbe voluto un figlio maschio, in seguito la mia scelta di un orientamento politico opposto al suo. Non ci confrontammo mai, entrambi evitammo accuratamente.
 
Sono nata il 3 febbraio 1945, di sabato. Nei primi tredici giorni del mese a Milano ci sono stati gli ultimi attacchi aerei, quattordici; Milano era allo stremo, al freddo e alla fame, tanto che il Comune organizzava mense collettive.

domenica 24 marzo 2024

Parole maltrattate 2 Politica

 Tra le parole più compromesse oggi c’è la parola politica.

Nel pensiero e nella mentalità comuni persistono espressioni svalutative che oggi dovrebbero essere superate, contemporaneamente la parola è depotenziata a civile, dai potenti ( e dai  loro servi) che in realtà detengono le leve della politica ma preferiscono che le popolazioni si esprimano solo nel momento delle elezioni, momento preceduto da richieste di consenso spesso truffaldine.

Uno dei campi dove si occulta maggiormente il termine politica , sostituendolo con civile, è il campo dell’arte, a meno che non ci siano prese di posizioni dichiarate da parte degli artisti e delle artiste.

 Avevo sentito in famiglia negli anni 50 frasi pronunciate con amarezza da chi si trovava dalla parte dei vinti della Storia rispetto alla dittatura: la politica è una cosa sporca, tutti sono uguali, chi va al potere fa il proprio interesse, mangiano tutti,sia  gli uni che gli altri….

Dalla seconda metà degli anni 60 fino alla metà dei 70, stagione dei terrorismi, ho invece  vissuto l’entusiasmo per la politica, intesa come partecipazione, desiderio di cambiamento di situazioni di oppressione sia che si trattasse dello sfruttamento sul lavoro che della subordinazione delle donne, dell’autoritarismo residuo del fascismo, ancora presente nelle persone fisiche, e nei luoghi pubblici soprattutto nelle scuole.

Era il tempo delle manifestazioni di massa,  della riflessione nei collettivi delle scuole e dei luoghi di lavoro, degli intrecci tra vari soggetti delle lotte, dei conflitti, che coinvolgevano persone di età, provenienza sociale, tenore economico e anche prospettiva politica diverse tra loro ma tutte unite dall’idea svecchiare una classe politica e sociale ancorata ai miti e i temi del passato

A questo proposito mi sembra importante riflettere su un documento che a 35 anni di distanza ha perso il suo valore come strumento di analisi documentale, ma  ne ha acquistato uno come documento storico.

Mi riferisco a Linguaggiodonna. Primo thesaurus di genere in lingua italiana, di Adriana Perrotta Rabissi e Maria Beatrice Perucci, Milano, 1991.

Come indica il titolo si tratta di un insieme di parole tratte dalla lingua  usata nei  documenti sui quali è stato costruito, che sono collegate fra loro per permettere il recupero dei documenti in un archivio.

Un dizionario di descrittori maggiori e minori, organizzati in relazioni gerarchiche, che descrivono il contenuto dei documenti.

I documenti sono quelli del femminismo, del periodo fine anni 60 anni 70, raccolti nell’archivio del Centro studi storici di Milano, con  l’intenzione di preservarli dalla dispersione e quindi dalla distruzione, in primo luogo, e di organizzarli e renderli fruibili innanzitutto per  un riflessione politica nel Movimento delle donne del tempo, e poi far  conoscere la storia del femminismo dalle parole stesse che circolavano nelle discussioni, nei volantini, nelle sedute di autocoscienza nelle dichiarazioni, nelle riviste che nascevano numerosa, tutto quanto  ha costituito il patrimonio di analisi, teorie e pratiche delle donne in quegli anni.

In questo modo Limguaggiodonna può rivelarsi uno strumento utile da affiancare a tutte le ricostruzioni e memorie pubblicate dalle donne che hanno fatto parte del movimento, memorie che possono sempre tradire inconsapevolmente.

Linguaggiodonna è in rete, pubblicato  sul sito della Fondazione  Elvira Badaracco, fondazionebadaracco.it.

Se si va alla parola Politica, si nota prima di tutto che si tratta di un microthesarus, che  contiene una cinquantina di descrittori, tra i quali fino a allora molti  non appartenevano all’area concettuale della politica tradizionale, per esempio tutti i termini riferiti ai Centri delle donne, ai Collettivi, Centri antiviolenza, Centri per la salute delle donne, alla depenalizzazione dell’aborto, al partire da se, ai rapporti tra donne, al rapporto madre-figlia, al selph-help, al separatismo, al sessismo, al lesbismo, Autocoscienza…

Questo e molto altro era quanto si intendeva per Politica , che contemplava la partecipazione a vari momenti di organizzazione e di apertura di conflitti, temi questi e molti altri che si possono leggere nel micro Thesaurus che oggi se va bene sono confinati nell’ambito dei diritti civili, e quindi depotenziati, mentre i venti di guerra vengono considerati l’unica vera espressione politica  umana.





domenica 10 marzo 2024

Parole maltrattate

In una  trasmissione alla BBC del 1937 Virginia Woolf analizza la lingua dal punto di vista dei suoi elementi fondamentali, le parole,  e osserva

....Le parole sono piene di echi, di ricordi, di associazioni è naturale. Sono tanti secoli che vano girando sulle labbra della gente, elle case, elle strade, nei campi. E una delle maggiori difficoltà dello scrivere, oggi,  è proprio che le parole hanno accumulato tanti significati, tanti ricordi, hanno contratto tanti matrimoni famosi. Sono le parole le più selvagge, le più libere le  più  irresponsabili, le meno insegnabili di tutte le cose.Naturalmente si possono acchiappare, scegliere e mettere nei dizionari in ordine alfabetico. ma le parole non vivono nei dizionari, vivono nella mente...e come vivono nella mente? In modo strano e diversificato,  proprio come vivono gli esseri umani, andando qua e là,  innamorandosi e accoppiandosi....In breve odiano qualsiasi cosa imprima loro un solo significato o le costringa a un solo comportamento: perché è loro natura cambiare. È forse questa la loro  più notevole peculiarità, il loro bisogno di cambiamento. Perché la verità che tentano di catturare è molteplice, ed esse la trasmettono con il loro essere molteplici, schizzando ora da una parte ora dall'altra. (L'incanto delle parole, Adriana Perrotta Rabissi, Dispensa dell'Associazione per una  Libera Università delle Donne, Milano, 2002)

Così quasi cento anni fa Woolf, da allora con lo sviluppo delle ICT (tecnologie dell'informazione e della comunicazione), lo scenario è molto cambiato, e il nostro mondo attuale è fatto prevalentemente di parole, i mezzi di comunicazione, le e gli operatori della comunicazione sono specializzati nel costruire la realtà attraverso le parole, senza bisogno di confronto con i fatti, cosi che purtroppo  sovente il falso ha il sopravvento sul vero.

Siamo poi all'inizio di un processo secondo il quale testi raccolti in rete e  aggregati da un intelligenza artificiale si presentano come verità inconfutabili alle e ai più sprovvedute e sprovveduti.

Oggi è indispensabile porre attenzione alle rappresentazioni culturali e sociali trasmesse dalle parole che usiamo e ascoltiamo per evitare di essere "parlate/i dalla lingua".  Di qui  i rischi di manipolazione delle parole, che non sono certo una novità, ma risultano più pericolosi a causa dell'importanza della lingua in ogni settore della nostra vita,  nella formazione della pubblica opinione e nella costruzione del consenso o del dissenso.

Le parole, quindi, a causa della loro polisemia e della costellazione di sensi, emozioni, ricordi delle quali sono portatrici, a causa del forte potere evocativo possono essere forzate a suggerire i significati che si vuole siano intesi.

Lo scrittore Edoardo Galeano in un articolo de il Manifesto, 18 aprile 2002, scrive:

...nel dizionario della macchina tradisci-parole si chiamano "contributi" le tangenti ricevute dai politici, e "pragmatismo" i tradimenti che commettono. Le "buone azioni" non sono nobili gesti del cuore ma quelle ben quotate in Borsa, e nella Borsa accadono le crisi dei valori. Dove si dice "la comunità internazionale esige" sostituire con "la dittatura finanziaria impone".....Come regola generale, le parole del potere non esprimono i suoi atti, ma li camuffano e in questo on c'è nulla di  nuovo ...

E ciascuna o° potrebbe continuare l'elenco.

Ho in mente tutto questo  nella sciagurata epoca che stiamo vivendo, in merito alla propaganda di guerra,  alla proclamazione di successi da parte di governi e istituzioni, all'occultamento di pensieri e azioni di persone non in linea con il discorso dominante, alle distorsioni strumentali di parole non conformi.

Condivido con Woolf  il dato della libertà selvaggia delle parole,  ma mi oppongo a due azioni  che considero mistificatorie: 

1) l'attenersi a un significato unico, sostenendolo con argomentazioni pratiche e teoriche, bollando come eretica qualunque altra interpretazione, costituendo in tal modo una norma, mi riferisco alle parole femminismo e alla parola rivoluzione.

2) usare le parole come armi per colpire persone, teorie e pratiche che non si condividono.

Per dare una determinazione storica a femminismo riporto il descrittore tratto dal primo thesaurus di genere in lingua italiana, Linguaggiodonna, 1991, redatto da me e da Maria Beatrice Perucci, costruito sulla parole contenute nella documentazione nazionale e internazionale  raccolta dal Centro studi storici sul movimento di liberazione della donna in Italia, ora consultabile anche in rete all'indirizzo https://www.fondazionebadaracco.it/wp-content/uploads/2021/05/Linguaggiodonna.pdf. 

Sono passati più di quarant'anni, molti eventi e processi si sono dispiegati,  da un certo punto di vista il termine è datato, ma le parole, mentre si arricchiscono di nuove valenze, non perdono del tutto il significato originale che le avvolge come un'aura. 

Inoltre a leggerla oggi funziona anche come documento storico.

Femminismo

Nota: con questo  termine si fa riferimento sia alla pratica che alla riflessione politica del Movimento delle donne

Descrittori  collegati: affidamento, autocosciennza,  autodeterminazione delle donne,  autonomia delle donne, contraddizione tra i sessi, differenza sessuale, femminismo diffuso, lesbismo, liberazione delle donne, maternità cosciente, movimento delle donne, politica, pratica dell'inconscio, rapporti tra donne, salario per il lavoro domestico, self-help, separatismo, sessismo, soggettività femminile.

Non si parlava di diritto d'aborto,  espressione riduttiva che era la parola chiave dei partiti, specie dl MLD, ma di maternità cosciente che implicava, oltre all'aborto, la libertà di scelta delle donne, l'autonomia, la contraccezione i consultori.


Rivoluzione:

Descrittori collegati: liberazione delle donne, lotta armata.

Il termine Lotta armata era presente nei documenti femministi di allora, perché era una realtà che si viveva negli anni Settanta, collegata a due altri descrittori: guerra, rivoluzione.

Oggi, riflettendo sull'esperienza di  duecentocinquanta anni dell'uso di questa parola, mi sento di associarla  all'espressione di un'anarchica femminista, Emma Goldman, 1869-1940 che nella sua Autobiografia scrive:

se non posso ballare, allora non è la mia rivoluzione.




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